Nel bel mezzo delle crisi ucraina e greca (e dell’emergenza profughi in fuga dalle guerre scatenate dal fondamentalismo islamico) esce un documento intitolato “Preparing for Next Steps on Better Economic Governance in the Euro Area”, in forma di Analytical Note, redatto da Jean-Claude Juncker, in stretta cooperazione con Donald Tusk (Presidente del Consiglio Europeo), Jeroen Dijsselbloem (Presidente dell’Eurogruppo) e Mario Draghi (Presidente della BCE). Questo documento, presentato alla riunione informale del Consiglio europeo del 12 febbraio è importante per diversi motivi, ma per uno essenzialmente: pone all’ordine del giorno il problema del legame che c’è tra la necessità di completare l’unione monetaria con quella fiscale ed economica da una parte, e della condivisione della sovranità politica (e la conseguente legittimazione democratica) anche in queste aree, dall’altra parte.
Mentre infuria la guerra a Donetsk e c’è una trattativa dura ed incerta sul futuro della Grecia, mentre l’Isis minaccia l’Europa, nel suo cuore e dalle sponde del nord-Africa, Juncker si pone la domanda di come “estendere la condivisione della sovranità fiscale e di quali sono le sue pre-condizioni istituzionali”, di come “si può giungere ad una comune governance sulle riforme strutturali nei vari Paesi ... e come si può ottenere una legittimazione democratica in un assetto multilivello quale quello dell’Eurozona”. Come dire: è su questo fronte decisivo che l’Europa può iniziare a rispondere, perché solo imboccando questa strada si esce dalla crisi economica e si acquisisce quella dimensione politica per rispondere efficacemente anche ad altre sfide.
L’analisi a supporto della tesi è ampia e strutturata in modo organico. Si parte dal riconoscimento solenne che l’euro è molto più che una moneta, è un progetto politico, che ha creato una comunità di destino, messa oggi in discussione dal fatto che la politica economica e fiscale è rimasta a livello nazionale e che ciò pone a rischio la stessa politica monetaria.
La spiegazione della crisi che colpisce l’Eurozona dal 2008 è dettagliata: dalla crisi finanziaria a quella dei debiti sovrani, dalla crisi di competitività del sistema europeo (rigidità del mercato del lavoro e dei prodotti) al legame tra costi unitari del lavoro e livelli di disoccupazione. Fino alla crisi dei mercati che, dopo il 2008, non percepiscono più l’area-euro come un fatto unitario a seguito delle divergenze tra i paesi europei in termini di debito e di competitività dei rispettivi sistemi.
Le misure finora prese per rispondere alla crisi - dal Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), all’Unione bancaria, alla riforma del patto di Stabilità e Crescita, fino al ‘Fiscal Compact’ - sono importanti perché hanno stabilizzato la situazione, ma sarebbe stato necessario disporre di questi strumenti già dieci anni fa. La crisi finanziaria non si sarebbe certamente generalizzata. Ciò che oggi impedisce la ripresa e la crescita economica è l’alto indebitamento, la disoccupazione e mercati del lavoro poco flessibili, così come bassa crescita e bassa inflazione rendono più difficile la riduzione dell’indebitamento.
La parte più interessante è senza dubbio quella in cui si volge lo sguardo al futuro e si affrontano i temi dell’Unione fiscale ed economica. Qui Juncker delinea i primi punti di una politica economica europea, evidenziando due blocchi di problemi.
1) È necessario elaborare una strategia europea coerente attorno al “triangolo virtuoso” rappresentato da riforme strutturali / investimenti / responsabilità di bilancio, prendendo impegni effettivi per l’attuazione di quelle riforme strutturali capaci di rafforzare la crescita nell’area-euro. Si riscontra il fatto che questa volontà è debole a livello nazionale, è necessario dunque che si manifesti al più alto livello politico, perciò occorre che l’area euro assuma questo tema come una priorità della politica economica. (È alla luce di questo imperativo che possiamo comprendere come sia difficile per le Istituzioni europee gestire alcune crisi locali, ad esempio quella greca - ma per certi aspetti anche quella italiana - caratterizzate da una spesa pubblica alta, ma inefficiente, da una endemica evasione fiscale, da un quadro normativo ed ambientale poco trasparente e da una composizione sociale strutturata su ampi settori corporativi: tutte cose che ostacolano gli investimenti produttivi e lo sviluppo economico).
2) È necessario l’approfondimento del «mercato unico», che significa: a) migliorare la mobilità del lavoro; b) integrare il mercato europeo dei capitali, con le annesse questioni della tassazione, del fallimento e della legislazione societaria: un mercato unico dei capitali offre una maggiore resilienza per l’unione monetaria e facilita la creazione di posti di lavoro, gli investimenti e la crescita. Nell’ambito del completamento del mercato unico si pongono le questioni dell’economia digitale e dell’unione energetica.
Questi due blocchi di problemi sono esattamente gli stessi già indicati nel Piano strategico di investimenti da € 315 miliardi presentato nel dicembre 2014, a dimostrazione della continuità della linea di intervento economico, ma con una sottolineatura politica di estrema importanza: questi obiettivi possono essere conseguiti solo se, per i cittadini ed i mercati, emerge una prospettiva di lungo-termine sull’evoluzione del quadro dell’Unione Monetaria, lungo la linea delle Quattro Unioni già indicate nel 2012 (bancaria, fiscale, economica e politica). Per uscire dalla crisi economica, conclude Juncker, è dunque necessario consolidare l’assetto istituzionale dell’Eurozona: è questo il vero motivo per cui la nostra ripresa è lentissima, rispetto a quella degli USA, che presentano appunto un assetto istituzionale definito.
Il documento si conclude con una serie di domande attorno alle quali aprire il dibattito, con gli Stati membri e con il Parlamento europeo, attorno all’evoluzione istituzionale dell’Unione Monetaria. Esso servirà ad alimentare il documento che sarà preparato dai Quattro presidenti in vista del Consiglio europeo del prossimo mese di Giugno.
Questo nuovo quadro di dibattito che si apre a livello della politica europea consente ai federalisti di inserire e di precisare le loro proposte sui temi che dovrebbero caratterizzare l’Unione fiscale, l’Unione Economica e quella Politica. In particolar modo il tema dell’acquisizione di una capacità fiscale autonoma dell’Eurozona diventa ora elemento strategico del dibattito europeo. Un dibattito che i federalisti hanno già iniziato ad alimentare con la Campagna per la Federazione europea e con l’Iniziativa dei Cittadini Europei “New Deal for Europe” attorno alla rivendicazione delle ‘risorse proprie’ per il finanziamento del Piano europeo di sviluppo. E che ora può divenire centrale a livello dell’opinione pubblica, delle forze politiche, dei governi e del Parlamento europeo, se i federalisti saranno capaci di prendere una forte e comune iniziativa in tal senso.
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