Già in diverse occasioni Eurobull ha trattato il tema dell’accesso alle risorse, sottolineando quanto ciò sia importante in termini di sicurezza strategica, considerazioni che ora trovano conferma anche rispetto ai minerali strategici. Ciò è tanto più evidente se lo si considera nell’ottica europea di realizzazione del Green Deal, il quale, mirando alla transizione dell’industria europea verso la neutralità climatica, comporterà certamente una riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, senonché quest’ultima sarà poi sostituita da una nuova forma di dipendenza dalle materie prime. È evidente che l’autonomia strategica dell’UE in questi nuovi settori costituisca uno dei presupposti necessari alla buona riuscita della transizione verde, ma a cosa ci si riferisce esattamente quando si parla di minerali strategici?
Anzitutto, con l’espressione materie prime critiche ci si riferisce a tutti quei metalli, minerali e materiali naturali che, oltre ad essere importanti dal punto di vista economico, si caratterizzano per un elevato rischio di approvvigionamento. È proprio sulla base di questi due parametri che, ogni tre anni, la Commissione europea pubblica un report finale sulle materie prime critiche dell’UE, aggiornando di volta in volta l’elenco. Osservando le varie pubblicazioni (2011, 2014, 2017, 2020) si nota come l’elenco delle materie prime critiche sia progressivamente aumentato, indice del loro crescente ruolo economico così come del sempre più accentuato rischio di approvvigionamento la cui determinazione tiene conto di diversi fattori, tra cui la governance dei paesi fornitori. [1] Fino al 2010, questi minerali erano largamente sconosciuti al di fuori delle industrie minerarie e tecnologiche, sebbene essi fossero già impiegati nel settore dell’energia rinnovabile per il funzionamento di turbine eoliche e pannelli solari, così come in quello delle applicazioni high – tech come computer, cellulari e dispositivi medici. Tanto è vero che, tra gli analisti, pochi erano coloro che già allora avevano pensato di includere questi minerali nel tema circa la competizione tra Stati per l’approvvigionamento delle risorse e ciò, soprattutto, in ragione del ruolo di prim’ordine che i combustibili fossili hanno sempre ricoperto. Solo nel corso dell’ultimo decennio la competizione geopolitica ha messo in luce il potenziale enorme di questi minerali, trasformando gli stessi da mere realtà industriali a materiali di fondamentale importanza strategica ed economica. In tal senso, è indicativo come il primo report della Commissione europea sulle materie prime critiche sia stato pubblicato proprio nel 2011.
L’elenco UE del 2020 contiene in tutto trenta materie prime, tra le quali figurano il cobalto e il litio, elementi indispensabili per la transizione energetica che seguirà nei prossimi decenni e che, peraltro, è già iniziata con l’espansione dei veicoli ibridi ed elettrici, i quali, entrati nel mercato già a partire dagli ultimi anni Novanta, hanno fortemente accelerato la trasformazione dell’industria dei trasporti. Si tratta di veicoli che, indispensabili per un futuro a impatto climatico zero, richiedono però lo sviluppo e la produzione di batterie ad alta intensità di energia rinnovabile, tra le quali figurano certamente le batterie agli ioni di litio. A tale proposito, le riserve di litio mondiali sono localizzate principalmente in America del Sud, in particolare in Argentina, Bolivia e Cile, tant’è che alla luce della netta posizione dominante di questi Paesi ci si riferisce spesso agli stessi come al “triangolo del litio”. Va da sé che, tenuto conto della priorità massima che è stata attribuita all’approvvigionamento di litio negli Stati Uniti così come in Asia, sono conseguentemente sorte numerose alleanze strategiche tra aziende tecnologiche e compagnie dedite all’esplorazione del litio nel mondo e, difatti, vi è chi evidenzia come il comparto industriale sembri aver adottato un approccio più proattivo alla sicurezza del litio piuttosto che a quello delle terre rare. [2] Anche in questo caso non può però essere trascurato lo spiccato dinamismo cinese, laddove Pechino ha continuato a muoversi, nel corso degli anni, per un rafforzamento della sua posizione strategica nella produzione di litio, senza peraltro essere ostacolata da significative iniziative concorrenti. Le aziende cinesi hanno infatti realizzato investimenti minerari sia in America del Sud che in Australia, Paese che segue il sopracitato “triangolo del litio” per quantità di risorse disponibili, garantendosi in tal modo una posizione dominante. La portata degli investimenti è tale da rendere di fatto la Cina il principale partner commerciale dell’Australia nel settore minerario, essendo Pechino, non solo il più importante investitore nell’industria mineraria australiana, ma anche un grande importatore dei suoi minerali, ciò favorito anche dalla vicinanza geografica tra i due Paesi. Considerando brevemente il cobalto, minerale essenziale per la produzione di batterie, cellulari, laptops e ancora veicoli elettrici, lo scenario non sembra mutare. Si tratta infatti di un minerale localizzato principalmente nella Repubblica Democratica del Congo, uno dei Paesi più poveri dell’Africa e che, tuttavia, detiene oltre il 60% della produzione mondiale di cobalto. La combinazione di quest’ultimo con il rame costituisce ben l’80% delle entrate derivanti dalle esportazioni della Repubblica Democratica del Congo, Paese nel quale la Cina si distingue ancora una volta per l’aver sviluppato una strategia tale da assicurarle una posizione dominante anche nel settore industriale del cobalto. [3]
Ora, sebbene qui siano stati richiamati brevemente solo il litio e il cobalto, l’approvvigionamento di molte altre materie prime critiche è fortemente concentrato e, in tale scenario, l’Europa dipende dalle importazioni per un valore percentuale compreso tra il 75% e il 100%: è pertanto evidente che la sfida che l’UE dovrà affrontare in termini di approvvigionamento e sostenibilità sarà ingente. Ciò detto, la Commissione europea ha però mostrato una certa sensibilità al tema, affermando che le materie prime critiche costituiscono il settore nel quale l’Europa deve essere più resiliente, anche ai fini di una maggiore autonomia strategica. Si è visto che la Cina sta lavorando da anni affinché siano assicurati approvvigionamenti futuri in questi settori minerari emergenti, ma lo stesso si può dire di Stati Uniti e Giappone; pertanto, l’UE dovrebbe intervenire con una certa urgenza al fine di diversificare le catene di approvvigionamento globali, altresì rafforzando la circolarità delle risorse. Il 2020 potrebbe però essere stato l’anno della svolta, tanto è vero che, in contemporanea con la pubblicazione del report della Commissione europea contenente l’elenco aggiornato delle materie prime critiche, è stato lanciato anche un nuovo piano d’azione e con esso la European Raw Materials Alliance (ERMA), la quale dovrebbe contribuire a garantire un accesso sicuro e sostenibile alle materie prime critiche. In particolare, il piano d’azione europeo verte su quattro principali obiettivi che tengono conto dell’importanza della circolarità delle risorse, al fine di ridurre la dipendenza dalle materie prime critiche, e della diversificazione delle forniture, alla base delle quali vi deve però essere un approccio sostenibile e responsabile da parte dei Paesi terzi: ciò si traduce, come spesso accade nei trattati di scambio dell’UE, nell’implementazione di precise norme che tengano conto dei principi di apertura, trasparenza e di rispetto delle regole di concorrenza dell’UE. Ciononostante, le difficoltà che l’Europa deve affrontare non dipendono solamente dalla mera allocazione delle risorse, le quali si è visto essere per la maggior parte localizzate in differenti aree del mondo, ma anche dal fatto che l’UE soffre ancora di significative carenze in termini di estrazione, trasformazione, riciclo, raffinazione e separazione delle materie prime critiche. Ciò significa che, quantunque alcuni materiali, tra cui il litio, vengano estratti in Europa, essi siano però trasformati al di fuori, incidendo negativamente sugli ecosistemi industriali europei.
Alla luce di quanto evidenziato, la nuova strategia industriale europea propone anzitutto di sviluppare nuove alleanze, volte in particolare al settore delle materie prime, cosicché aumenti la resilienza dell’UE in catene del valore quali quelle dei magneti o delle terre rare, indispensabili per gli ecosistemi industriali europei comprendenti, non solo le energie rinnovabili, ma anche la difesa e lo spazio. Inoltre, la Banca europea per gli investimenti ha adottato una nuova politica di prestiti nel settore dell’energia, tale da offrire sostegno ai progetti relativi alla fornitura di materie prime critiche per le tecnologie a basse emissioni di carbonio nell’UE. Ciò ha dei risvolti importanti in termini di attrattività degli investimenti privati nell’UE, così come nei Paesi terzi ricchi di risorse che rientrano nel mandato operativo della banca. Fondamentale è poi, come già anticipato, la circolarità delle risorse, il che significa agire ai fini della mobilitazione del potenziale delle materie prime secondarie. Difatti, il passaggio a un’economia più circolare e fondata sul riciclo delle materie prime è da considerarsi imprescindibile ai fini di un’economia climaticamente neutra, quale intende essere quella annunciata con il Green Deal europeo. Estendere il ciclo di vita del prodotto permette di soddisfare quote crescenti della domanda di materie prime, senza incidere negativamente sul livello di dipendenza dalle importazioni, tuttavia, è qui bene evidenziare che quello dell’economia circolare è un settore nel quale l’UE si è rivelata essere all’avanguardia. Difatti, vi sono metalli come il ferro, lo zinco e il platino che vengono riciclati per oltre il 50%, contribuendo in tal modo a coprire il 25% del consumo interno dell’UE. Ovviamente, il discorso muta parzialmente allorquando si considerano materie prime come le terre rare, le quali sono impiegate in applicazioni altamente tecnologiche per le energie rinnovabili e la cui produzione secondaria rappresenta soltanto un contributo marginale. Ciò determina un’ingente perdita di valore potenziale per l’economia europea, a cui è però possibile porre rimedio tramite programmi di ricerca in materia di ritrattamento dei rifiuti. Per quanto riguarda, infine, il potenziale europeo di materie prime critiche, queste ultime sono localizzate in diverse regioni dell’Europa la cui economia dipende già, in modo significativo, dalle industrie carbonifere o ad alta intensità di carbonio. Pertanto, una corretta transizione dovrebbe essere tale da favorire la diversificazione economica di queste regioni, attenuando al contempo l’impatto socioeconomico derivante dalla transizione verso la neutralità climatica, tenuto conto tra l’altro che vi sono competenze minerarie che possono essere trasmesse anche allo sfruttamento di metalli e minerali. Ciò detto, è pur vero che rendere operativi i nuovi progetti concernenti le materie prime critiche è tutt’altro che scontato, trattandosi di progetti dall’elevato costo e sui quali pesa fortemente anche l’assenza di incentivi per l’esplorazione. Infine, come spesso avviene, un altro limite ai grandi progetti infrastrutturali è invece rappresentato dalla durata delle procedure nazionali di autorizzazione, sebbene la Commissione stia già lavorando sul tema nell’ambito dell’agenda Legiferare meglio.
Ora, al netto delle varie iniziative qui brevemente riportate, rimane comunque la necessità di procedere verso un approvvigionamento diversificato da parte dei Paesi terzi, dal momento che i limiti geologici dell’UE sono tali per cui la domanda di materie prime critiche continuerà a dipendere in larga parte dalle importazioni. In tale contesto, la strategia europea dovrà adoperarsi per un rafforzamento dell’uso degli strumenti di politica commerciale, ivi compresi gli accordi di libero scambio, ma collaborando altresì con le organizzazioni internazionali affinché il commercio e gli investimenti nel settore delle materie prime critiche avvengano in assenza di distorsioni del mercato. È quindi evidente che esiste un grande potenziale per lo sviluppo e la nascita di partenariati strategici con i Paesi ricchi di risorse, i quali devono mirare a politiche responsabili e sostenibili, migliorando la governance locale e la qualità delle pratiche minerarie impiegate.
In conclusione, la svolta geopolitica che muove dai combustibili fossili verso i minerali strategici, oltre ad essere destinata ad una ancora più accentuata polarizzazione, si pone al centro della futura - o forse già attuale - competizione tra Stati e i rispettivi comparti industriali. La transizione green - tech porterà con sé, oltre che grandi speranze per un futuro a impatto climatico zero, anche ingenti sfide in termini di approvvigionamento delle materie prime critiche, le quali, indispensabili per le nuove tecnologie, rendono però manifesta l’impossibilità per l’uomo di progredire svincolandosi dal suolo. Come tutte le attività estrattive, anche quelle qui richiamate pongono seri rischi dal punto di vista ambientale e, dunque, la priorità dovrà rimanere sempre quella di procedere allo sviluppo di queste catene del valore assicurando, al contempo, che l’estrazione mineraria avvenga in buone condizioni dal punto di vista ecologico e sociale. La Cina si conferma Paese leader nella corsa ai minerali strategici, seguita dalla collaborazione tripartita tra Stati Uniti, Giappone e UE, laddove quest’ultima ha urgente necessità di rendersi quanto più resiliente possibile rispetto a eventuali shock futuri e di guidare più compiutamente la trasformazione green - tech che il Green Deal intende realizzare, divenendo così un esempio di trasformazione e modernizzazione dell’economia a livello mondiale. La posta in gioco è dunque molto alta, trattandosi peraltro di un processo che ha subito una forte accelerazione con l’arrivo della Covid – 19, la quale ha accelerato l’implementazione di nuove applicazioni digitali e high - tech grazie all’introduzione dell’intelligenza artificiale in molti più settori della società. Fermo restando che l’UE dovrà adoperarsi per un rafforzamento della circolarità della sua economia, riducendo al minimo i rifiuti, le importazioni continueranno ad essere imprescindibili e, in tale prospettiva, il contributo dell’ERMA potrebbe essere decisivo. Difatti, oltre ad essere un forum aperto alla discussione e all’analisi, l’ERMA intende essere anche un meccanismo utile a tradurre i progetti in attività e infrastrutture reali. Nel fare ciò sarà necessario identificare barriere e opportunità di investimento, rimanendo sempre conformi alle regole di concorrenza dell’UE, nonché agli impegni commerciali internazionali assunti. Minerali e metalli sono così destinati a plasmare la supremazia tecnologica e industriale del futuro, tuttavia, l’approccio verso questo settore dovrebbe essere, da parte di tutti gli attori coinvolti, di estrema cautela, tenuto conto degli elevati rischi sociali, politici e ambientali legati all’estrazione e lavorazione di questi materiali, così come della precarietà che nella maggior parte dei casi caratterizza la governance dei Paesi ad alta concentrazione di materie prime.
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