La storia europea si può rappresentare, metaforicamente, come un grande deposito di culture e tradizioni diverse sedimentate durante i secoli nel corso di vicende in qualche caso di collaborazione e integrazione e in altri, più spesso, conflittuali. La pluralità delle culture, e in questo contesto anche delle lingue, segna oggi l’identità europea, che non può quindi essere ridotta né ad una sola dimensione né ad una sola radice.
Come ha osservato Umberto Eco, “la lingua dell’Europa è la traduzione”, cioè il processo di passaggio da una lingua all’altra. Ma la traduzione, con quel tanto o poco di “tradimento” che inevitabilmente ogni traduzione comporta, è anche nel passaggio da una cultura all’altra, in quell’ “andare e venire” fra culture e tradizioni diverse di cui, come sappiamo, fa esperienza ogni viaggiatore consapevole. Oggi, con la globalizzazione tecnologica, non solo il viaggiatore in senso fisico, ma anche il viaggiatore virtuale, il viaggiatore della rete, che compie questa esperienza anche stando seduto nella sua casa.
L’Europa attuale, in sostanza, ha inevitabilmente un’identità plurale e nello stesso tempo mobile. Plurale perché costituita, come in un mosaico, da “tessere” di diversa forma e colore, cioè dai diversi sedimenti delle molteplici tradizioni europee. Mobile perché da un lato periodicamente, e inevitabilmente, riletta e reintepretata alla luce del presente e, per altro verso, continuamente arricchita e trasformata dai contributi provenienti dal mondo esterno. La globalizzazione, oggi, è il contesto nuovo di questa pluralità e mobilità. Con i suoi sempre più intensi flussi - di persone, di beni, di informazioni, di immagini, di valori – essa rende disponibili a ciascun individuo, a ciascun gruppo umano, molteplice opzioni identitarie. Innumerevoli e diversi “mondi possibili”, modelli di “vite possibili” stanno intorno a noi, e inquietano le nostre esistenze.
Come può l’Europa attuale, e l’Unione Europea in quanto soggetto istituzionale che la rappresenta, promuovere la convivenza e il dialogo fra queste diversità? In altre parole: come realizzare un processo di unificazione che per un verso rispetti le differenze (vecchie, quelle storicamente sedimentate, e nuove, quelle originate dai più recenti processi migratori) e, per altro verso, trovi adeguate ragioni e valori comuni, in grado di garantire insieme il diritto alla differenza e il diritto alla convivenza? E’, questa, una grande sfida che ha di fronte il “cantiere Europa”, ma che ha avuto ed ha ancora, seppure in forme nuove, anche il “cantiere Italia”. In questa prospettiva, sul piano culturale, si confrontano nell’esperienza europea e mondiale diverse possibili “ricette”, diverse possibili strategie e opzioni politiche: assimilazionismo, multiculturalismo, interculturalismo e così via. Nell’esperienza storica degli Stati nazionali dell’Unione, nel “cantiere” europeo in atto, vi sono state o vi sono in qualche misura tutte queste politiche, con esiti discussi e problematici. Non esistono “ricette” facili o garantite, salvo il fatto che “in diversitate concordia” - come recita il motto dell’Unione Europea – è l’obiettivo irrinunciabile, l’orizzonte condiviso di tutti gli Stati membri dell’Unione, un aspetto fondamentale del cosiddetto “acquis comunitario”.
La sfida più grande, quella che mette in gioco tanto l’unificazione europea quanto l’unità italiana, è trovare, al di là delle differenze, adeguate ragioni e valori condivisi. Se le diverse culture non vogliono rischiare di essere “ghetti” separati e contrapposti, devono almeno in qualche misura avere linguaggi comuni, coltivare memorie comuni, condividere regole e principi.
Occorrono quindi all’unificazione europea nello stesso tempo una memoria e un progetto, che rendano disponibile a tutti gli europei una “narrazione”, del passato e del futuro, adeguatamente condivisa. La memoria, come sappiamo dalla nostra esperienza individuale, è sempre selettiva: conserva, dimentica, mette in primo piano oppure sfuma i ricordi. La memoria, ancora, in questa attività di selezione è sempre orientata dai problemi e dalle sollecitazioni del presente, e nello stesso tempo dai progetti per il futuro. Non ricorda mai le stesse cose e nello stesso modo: è mobile e plurale come lo è l’identità. Che cosa ricordavano, che cosa mettevano in primo piano i Padri Fondatori dell’Europa - Monnet, Schuman, Einaudi, De Gasperi, Adenauer, Spinelli ecc. - nel costruire i loro progetti di unità? Le tragedie delle secolari guerre europee e delle molte “pulizie etniche” che le hanno accompagnate, i mali del nazionalismo e del razzismo, i drammi del totalitarismo; e, per altro verso, i benefici della pace, i vantaggi del dialogo e della collaborazione, il valore della differenza come arricchimento comune, la grande eredità delle diverse ma dialoganti e interagenti culture europee, le conquiste della civilizzazione attraverso la democrazia e il diritto. E’ a questa memoria, seppure sempre rivisitata in relazione ai nuovi contesti, che il “cantiere”europeo di oggi può riferirsi per proseguire i suoi lavori.
Ma oltre e più che nella memoria, le ragioni comuni dell’unificazione europea stanno nel progetto. Un’Europa federata, unita da un “foedus” o patto comune fra popoli e fra Stati, che impedisca per sempre le guerre nel continente. Un’Europa dell’inclusione sociale, delle libertà e dei diritti, come si configura nella “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” oggi pienamente vincolante per gli Stati e per i cittadini, le cui norme sono azionabili di fronte a qualsiasi giudice nazionale o comunitario; un vero e proprio testo costituzionale per tutti gli europei, vecchi o nuovi come i migranti. Un’Europa “potenza civile”, in grado di parlare con una sola voce al mondo per contribuire alla pace e alla civilizzazione mediante il diritto. La Carta dei diritti, in particolare, può essere la base comune di una cultura europea condivisa. Insieme alle diverse Costituzioni nazionali, la fonte di un possibile “patriottismo costituzionale” europeo.
Esistono quindi, attraverso la memoria che rilegge ed interpreta il passato e attraverso il progetto che delinea il futuro, le condizioni possibili per affrontare la sfida della pluralità e della convivenza delle culture. Le politiche dell’Unione Europea, nel loro “costruire ponti” fra le diverse lingue e culture del continente, hanno appunto il compito di tenere viva la memoria e insieme di far crescere la consapevolezza del progetto. Si può, per questa strada, “fare gli europei”, cioè promuovere un demos (popolo) europeo che sia la fonte di legittimità delle istituzioni e che, oltre la dimensione del patriottismo costituzionale, rappresenti la dimensione “calda” del processo di unificazione, il suo immaginario collettivo? Nel “cantiere” dell’unificazione europea, insieme ai pilastri istituzionali, è necessario un pilastro culturale fatto di ragioni, ricordi, emozioni, immaginari condivisi, in grado di “parlare” ai vecchi come ai nuovi europei. Su questa sfida si gioca una parte decisiva del nostro futuro.
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