L’immigrazione nel diritto internazionale

, di Paolo De Gregori

L'immigrazione nel diritto internazionale
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Il caso Ocean Viking, che ha portato allo scontro i Governi di Italia e Francia, ha riacceso il faro sulle migrazioni, sul rapporto di queste con le organizzazioni non governative e sulle leggi internazionali che regolamentano il fenomeno, spesso ignorate dalle Istituzioni e difficili da modificare anche quando evidentemente inique.

Ci risiamo, è arrivato il momento del pugno duro del Governo contro le ONG del mare. Un tema caldo, quello dell’immigrazione, ricorrente tra tutte le destre populiste dell’intera Europa. Questa volta, però, si è andati oltre creando una vera e propria crisi diplomatica tra Italia e Francia, quasi un anno dopo il Trattato del Quirinale, che sanciva un avvicinamento nei rapporti bilaterali tra i due Paesi. Lo scontro è iniziato dopo il rifiuto di Roma di concedere un porto sicuro alla Ocean Viking, che è stata quindi costretta ad attraccare a Tolone. Parigi (in maniera comunque spropositata) ha deciso di rafforzare i controlli alle frontiere con l’Italia e ha dichiarato la sospensione della redistribuzione di 3500 migranti da Roma. I Governi si accusano a vicenda del mancato rispetto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale. Ma quali sono attualmente le regole per il soccorso e l’accoglienza dei migranti?

Prima di rispondere a questa domanda, è il caso di precisare che non esiste un’emergenza immigrazione. È un evento sempre esistito nella storia dell’essere umano e che sempre esisterà, bisogna quindi cercare di gestirlo partendo dal presupposto che è un fenomeno strutturale dell’intera società globalizzata, e che i flussi attuali non sono né particolarmente numerosi né pericolosi per la sicurezza. Anzi, attualmente l’accoglienza di nuovi migranti sembrerebbe l’unica soluzione per garantire una pensione alle generazioni future. Senza contare il fatto che la causa del sottosviluppo economico e sociale di molte zone del mondo è proprio l’Occidente industrializzato e capitalista, quindi garantire una vita dignitosa alle persone che scappano da quelle zone è solo il minimo che dovremmo fare.

Finita questa premessa è bene ricordare che l’immigrazione e il diritto d’asilo sono competenze multilivello, ossia sono disciplinate dal diritto internazionale, dal diritto europeo e dalla legge nazionale. I principali accordi sovranazionali per l’Italia sono il Regolamento di Dublino del 2013 (Reg.604/2013), la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e l’accordo Search and Rescue (SAR) firmato ad Amburgo nel 1979.

Il Regolamento di Dublino si occupa principalmente della redistribuzione dei richiedenti asilo all’interno dell’Unione e, a parte alcune eccezioni difficilmente applicabili, pone la responsabilità per l’esame della domanda di protezione internazionale allo Stato di primo arrivo. Questo comporta naturalmente maggiore pressione per i Paesi di confine, come appunto l’Italia (ma non solo, ricordiamo che la maggior parte degli immigrati in Europa passa per la rotta balcanica). Giustamente la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni chiede il superamento di questo sistema, non ricordandosi però (o non volendo ricordare) che nel 2018, quando erano avvenuti i negoziati per la modifica del regolamento, l’attuale Vicepremier ed ex Ministro dell’interno Salvini aveva votato contro.

Considerando invece la Convenzione delle Nazioni Unite, all’articolo 98 vengono definiti gli obblighi di soccorso: “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera [...] presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”. Inoltre, continua l’articolo, “Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima”. Questa disposizione va integrata con l’accordo SAR, che impone il dovere di sbarcare i naufraghi in un porto sicuro (place of safety) il più velocemente possibile. Seguendo queste norme possiamo quindi constatare che le varie navi di soccorso non governative che operano nel Mediterraneo non solo non infrangono alcuna norma pattizia del diritto internazionale, ma anzi operano in un contesto di mancanza di azione da parte delle autorità statali competenti. Senza considerare che riescono a salvare migliaia di vite umane in mare aperto (fuori quindi dalle competenze dei singoli Paesi), vite che senza il loro intervento sarebbero inevitabilmente perse.

Infine, anche considerando solo la normativa italiana, si possono notare dei vizi di legittimità dei Decreti interministeriali che hanno consentito gli ormai noti sbarchi selettivi sulla base di stringenti e opinabili criteri medici (senza considerare il termine disumano “carico residuale” con cui si sono indicati degli esseri umani che hanno la sfortuna di essere nati nella «parte sbagliata» del mondo, ma che non sono sufficientemente vulnerabili da poter essere assistiti). La giurisprudenza statale in materia è disciplinata dal Testo unico sull’immigrazione del 1998, in particolare l’articolo 10-ter recita “Lo straniero [...] giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi, presso i quali vengono effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale”. Il punto è quindi che i migranti salvati in mare devono poter sbarcare nel porto sicuro più vicino per avere garantite le cure mediche e per il riconoscimento della persona. Se un immigrato non sbarca non si possono effettuare le opportune verifiche sul fatto che possa ottenere o meno lo status di rifugiato (secondo i criteri della Convenzione di Ginevra del 1951 i rifugiati hanno determinati diritti). Inoltre gli sbarchi selettivi sono una violazione del diritto in quanto un decreto ministeriale (atto secondario) non può delegare una legge (che è superiore nella gerarchia delle fonti).

In conclusione, nonostante si possa dire che l’Italia abbia effettivamente violato alcune norme di diritto internazionale, dobbiamo cercare di vedere il lato positivo. Bisogna sperare che questa situazione spiacevole che si è venuta a creare ponga finalmente le basi per una seria riforma del regolamento di Dublino e, più in generale, che crei le condizioni per ripensare e riformare lo scheletro intergovernativo dell’Unione nell’ottica di una maggiore sovranità europea. Questo, purtroppo, dipenderà anche dalla volontà e dalle doti diplomatiche dei membri del nostro Governo, che con l’Europa non hanno mai avuto un buon rapporto. Ma in politica internazionale non si può mai dare nulla per scontato.

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