Viviamo in un’epoca e in un conglomerato di staterelli sempre più instabili politicamente, dove imperversano sempre più discriminazioni di vario genere. Tutto ciò non risulta essere una caratteristica peculiare propria del nuovo secolo, bensì una costante ricorrente nel panorama europeo. Di fatti Etienne La Boétie, riferendosi all’enorme superiorità numerica dei vessati rispetto ai propri vessatori, giustificava l’evento riportando alla luce una metafora antica, il giogo o catena di Giove: i soppressi, seppur in maggior numero dei loro carnefici, accettano in prima persona la situazione dolorifica o stressante, in quanto, a loro volta, hanno dei sottoposti, parti di popolo più sfortunate, su cui riversare la propria frustrazione, diventando a loro volta oppressori.
Ecco, dunque, che per la donna europea si palesa uno scenario al limite del desolante. Il tasso di occupazione in Europa per le persone di sesso femminile si aggira intorno al 70%, ma si stia ben accorti, questa è solo una media rozza. Se si guarda al singolo caso invece che alla situazione comunitaria la situazione può risultare ben più grave, in Italia, ad esempio, la percentuale scende al 55%. Questo vuol dire che poco meno della metà delle donne nel Bel Paese è disoccupata, che sia per scelta o per contingenza. Il peggio è che un italiano su cinque ha dichiarato che quanto sopra è corretto: la donna deve stare a casa.
Ciò si deve a una visione, propria del XIX e XX secolo, in cui la figura femminile era assurta e, con questo, anche relegata ad angelo del focolare. Nel Novecento, dopo la seconda rivoluzione industriale e le due guerre mondiali, in cui le donne si erano viste parti attive e operanti in fabbriche e luoghi di lavoro per sopperire alla mancanza fisica degli uomini al fronte, la figura femminile viene di nuovo sminuita e relegata a casalinga, madre, moglie e, al massimo rappresentante porta a porta della Avon, nota casa cosmetica. Su di lei gli uomini, tornati dalla confronto bellico intercontinentale, sfogano tutto il loro stress post traumatico, costringendola tra le quattro mura di casa, insieme angelica macchina produttrice di prole e prostituta a comando.
D’altronde le stesse donne si sono più volte fatte lo sgambetto da sole nella storia. Si veda come l’americana Carol Gillian in A different voice vada a dare fondamento al sistema patriarcale, parlando di un’etica propria della donna, intrinsecamente diversa da quella maschile, ossia l’etica della cura. Ciò tristemente conferma le norme del sistema patriarcale, ancora oggi ben lungi dall’essere eradicato dalle menti del Vecchio Continente.
Si può parlare di intersezionalità, termine introdotto per la prima volta da Kimberlè Crenshaw nel 1989. Con il suddetto termine si vuole indicare una sovrapposizione di molteplici livelli di sopruso e discriminazione applicati a un unico individuo. Prendiamo ad esempio il caso di una donna afrodiscendente e impiegata sottopagata nel settore terziario: costei si troverà, con tutte le probabilità, a essere discriminata sul livello sessuale, in quanto donna, su quello razziale, in quanto persona di colore e, ultimo ma non ultimo, su quello classista, in quanto appartenente al ceto medio-basso.
La situazione degli individui di sesso femminile è desolante nella maggior parte dei casi europei. Infatti, esse si trovano a destreggiarsi tra decreti e posizioni sempre più conservatrici e limitanti la propria possibilità di azione. Addirittura le donne vengono private sempre in più Paesi del possesso dei propri corpi e vite, annientate da leggi contro l’aborto sempre più invasive. Si pensi alla Polonia, dove nell’ottobre del 2020 si è reso illegale l’accesso all’interruzione di gravidanza, astringente versione di una già severa legge contro l’aborto risalente al 1993 e blando prodromo di un disegno di legge più severo e del tutto amorale che vede come illegale il ricorso all’aborto anche nei casi di stupro e incesto. Sempre in Polonia si vede una crescente narrativa conservatorista e trasudante cattolicesimo, che nega i diritti ai membri della comunità LGBTQIA+.
Tristemente quanto sopra detto coinvolge un numero crescente di Paesi europei, i quali si mostrano sdegnati dalle pretese di uguaglianza tra sessi, classi, discendenze etniche, posizioni lavoratrici e religioni. L’Italia è lo Stato dove la pervasività dello Stato Pontificio e dei dogmi paolini riguardo le donne è più visibile. In parte ciò è dovuto alla presenza fisica del territorio pontificio sulla penisola italiana. Ormai è passato qualche anno dal meme di una Giorgia Meloni non ancora Primo Ministro, che gagliarda si pronunciava contro le unioni civili, parlando di genitore 1 e genitore 2, oppure quando si esibiva nello slogan più famoso di “Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana”, distruggendo in poco più di dieci minuti anni di lotta contro il patriarcato.
Le donne del XXI secolo hanno solo una parvenza di egualitarismo o anche fosse equità. Difatti, in tutti i Paesi europei esiste un gender gap notevole in ambito remunerativo, vedenti in tutto il Vecchio Continente stipendi più bassi alle donne, con il 22,9% di differenza dell’Estonia a capeggiare una lista che è, invece, chiusa dal 2,8% della Romania. Una visione piuttosto desolante.
In un’epoca di crisi economiche e geopolitiche, ergo di forte instabilità politica e demografica, con Governi lampo e drammatica caduta della natalità, in calo costante dal 2008, con il picco al ribasso toccato nel 2022, con 3,88 milioni di nuovi cittadini europei, si staglia sull’orizzonte la figura della Donna con la D maiuscola. La donna madre. La donna moglie. La donna casalinga per scelta in quanto, come ci ricorda Carol Gillian, caregiver per natura.
Da ciò si palesa uno scenario piuttosto scialbo dove secoli di lotte di genere e morte per la causa si dissolvono in un patriarcato ancora galoppante e uber-capitalistico, dove di norma le posizioni di potere, sia nel privato che nel pubblico e sia nel piccolo che nel grande, sono detenute da uomini fautori di un populismo à la Salvini che invita all’isolazionismo e a un ritorno a tradizioni pressoché paleolitiche per quanto riguarda l’individuo femminile.
Attenzione però, ciò non significa che in Europa non ci siano donne in posizione di potere: esempio lampante è Giorgia Meloni per l’Italia. Il problema è che, nella maggior parte dei casi, queste figure sono esse stesse, raggirate e illuse o meno, fautrici del sistema che le vede represse. Spesso inconsapevolmente le donne alimentano il patriarcato, perché vinte dalla sua forza che le trasforma in esseri inetti e da proteggere a fronte del lupo cattivo, lupo che uccide migliaia di donne all’anno per gelosia o rottura di rapporti interpersonali. Per non parlare poi dei movimenti femministi che rifiutano tra le loro fila o non perorano le cause delle donne transgender, non riconoscendo la loro femmità, ossia l’essere donna ontologicamente parlando, diverso da femminile, che spesso si confonde con sofisticato o lezioso.
Il quadro complessivo, alquanto mesto, vede le donne poste in un angolo di soli pochi gradi superiore a quello del secolo scorso, troppo impegnate nell’essere visceralmente nemiche e competitive tra loro, da non riuscire a riconoscere lo scenario deprimente in cui sono sottoposte per una fantomatica natura all’uomo. Perché, diciamocelo, Meloni non vuole farsi chiamare Presidente e non Presidentessa perchè termine più inclusivo, ma perché vuole assaporare un potere squisitamente maschile. Così facendo dà carburante al sistema fallocentrico, invece che contribuire al suo abbattimento.
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