L’Ucraina, la Russia e l’Unione europea in cerca di una politica di vicinato

, di Salvatore Sinagra

L'Ucraina, la Russia e l'Unione europea in cerca di una politica di vicinato

1. Storia delle relazioni Bruxelles-Mosca, dalla casa comune di Gorbaciov alla casa comune senza la Russia

L’Unione Sovietica per lungo tempo non riconobbe l’Unione europea, considerata uno strumento dell’imperialismo americano e Mosca negli anni Cinquanta aveva richiesto una soluzione ONU per l’Europa. Negli anni ottanta Gorbaciov riconobbe Bruxelles e propose la costituzione di una «Casa Comune europea». Nel 1994 Eltsin siglò lo storico accordo di partenariato e cooperazione Russia-UE, ma pochi mesi dopo Bruxelles offrì accordi che gettarono le basi per l’adesione all’UE di molti Paesi che durante la guerra fredda erano Stati satelliti di Mosca. Tra il 2004 ed il 2007 dieci paesi postcomunisti aderiscono all’Unione europea e nel 2013 è la volta dell’undicesimo, la Croazia.

Certamente Mosca non ha mai visto di buon occhio gli allargamenti ad est dell’UE, eppure se quelli a Paesi come la Repubblica Ceca e la Polonia sono avvenuti senza la seccata reazione del Cremlino, quelli che hanno coinvolto Paesi che furono parte dell’Unione Sovietica sono stati visti come un atto di ostilità, come un’invasione di quello che i russi consideravano il proprio giardino di casa. Si noti tra l’altro che i negoziati che portarono all’adesione di dieci stati postcomunisti, tra cui i tre Paesi Baltici, all’Unione europea si svolsero quando la Russia era troppo debole sul piano economico per poter avere una voce sul piano geopolitico: alcuni economisti affermano che per la Russia gli anni novanta furono comparabili al 1929 per gli Stati Uniti; particolari polemiche vi furono comunque con riguardo all’adesione dell’Estonia all’Unione europea.

Taluni esperti di relazioni internazionali sottolineano che probabilmente senza le pressioni americane gli allargamenti ad est dell’UE sarebbero stati più lenti: l’UE sarebbe penetrata nel baltico se Bush non avesse portato nel 2004 Estonia, Lituania e Lettonia nella NATO?

2. Russofobi Europei, europeisti ma non troppo

In non pochi Paesi dell’ex-cortina di ferro e che oggi aderiscono all’UE, si pensi all’Estonia, alla Lettonia, alla Polonia, i sentimenti russofobi sono fortissimi. In Lettonia ed in Estonia esistono consistenti minoranze russofone, ed addirittura nella capitali Riga e Tallin i russi costituiscono la maggioranza della popolazione. Molti di loro nonostante abbiano sempre vissuto in Lettonia ed in Estonia non hanno la cittadinanza del Paese di residenza, con la conseguente esclusione dai posti di lavoro nella pubblica amministrazione dal diritto al voto. Eltsin nei primi anni Novanta paragonò la condizione dei russofoni di Estonia e Lettonia all’Apartheid.

Nel periodo di pre-adesione Bruxelles chiese ai Paesi Baltici di concedere i diritti della cittadinanza alle minoranze russofone, e lavorando di concerto con Mosca, ottenne limitati miglioramenti quali per esempio il diritto di voto alle elezioni amministrative per i residenti non cittadini.

Nel 2007, a Tallin, la rimozione della statua di bronzo di un soldato dell’armata rossa ha prodotto una guerriglia urbana ed ha dimostrato che anche in uno dei Paesi più progrediti dell’ex URSS si è ancora lontanissimi da una serena convivenza tra le due principali comunità linguistiche.

Nei Paesi baltici l’adesione all’Unione europea fu approvata tramite referendum con risultati nettissimi sia in termini di partecipazione al voto che in termini di si, tuttavia vi è la sensazione che se i cittadini russofoni non fossero stati in gran parte privi del diritto di voto, i risultati sarebbero stati più risicati.

La prima cosa che notai al mio arrivo a Praga nel 2006 fu un chioschetto di un venditore di hot-dog con su scritto «Eurofood» ed con i colori della bandiera dell’Unione europea; nella “vecchia Europa” in pochi hanno capito che negli anni dell’adesione i cittadini dell’Europa Orientale non erano innamorati dell’Unione europea, dei suoi valori e della libera circolazione delle merci e delle persone, ma erano attratti dalla possibilità di allontanarsi da una Russia, che guidata da Putin stava rispolverando le sue velleità imperialistiche.

Negli anni dell’adesione all’UE è stato coniato l’acronimo CEE- central eand estern european countries - per costruire una nuova identità che potesse aggregare Paesi con un chiaro passato mitteleuropeo come la Repubblica Ceca e l’Ungheria e Paesi che sono sempre stati un crocevia tra il mondo di lingua tedesca e quello di lingua russa, come la Polonia ed i paesi Baltici. A Praga come a Varsavia c’era una gran voglia di avere un’identità nuova, di non essere identificati più come Paesi post-comunisti.

All’Università economica di Praga (Visoká Škola Economická) furono addirittura istituiti insegnamenti celebrativi dell’adesione all’Unione europea, eppure entrati nella “casa comune europea” è passata la paura di una nuova sovranità limitata sotto il cappello di Mosca ed è scemato l’entusiasmo europeista, la partecipazione alle elezioni europee si è rivelata estremamente bassa ed i governi conservatori di diversi paesi, la Polonia e la Repubblica Ceca su tutti, si sono prestati ai progetti militari aggressivi dell’amministrazione Bush junior.

I valori dell’UE sono sembrati particolarmente sbiaditi quando, alla fine dello scorso decennio, due eroi delle rivoluzioni del 1989 come Lech Walesa e Vaclav Havel si sono spesi tantissimo a favore delle operazioni di Bush in Europa Orientale ed in medio oriente, tanto da scioccare l’opinione pubblica europea. La democrazia secondo i polacchi ed i cechi ha ancora quasi esclusivamente i colori della bandiera americana.

L’Unione europea, rinunciando a combattere la russofobia che dilaga da Varsavia a Tallin, e dimostrando di non avere un progetto di difesa comune che avrebbe potuto mettere la parola fine ai programmi militari di Washington in Europa Orientale ha perso credibilità nei confronti di Mosca e delle minoranze russofone di molti Paesi dell’ex URSS. Se a 25 anni dal 1989 si rischia una nuova guerra fredda, tante responsabilità gravano su Barroso e su molte cancellerie d’Europa, che non hanno saputo immaginare una seria politica di vicinato.

Oggi chi si identifica nei valori dell’Unione europea non può dimenticare la lezione dell’allargamento a est del decennio scorso. Molti di coloro che occupano le piazze dell’Ucraina con la bandiera blu-stellata dell’UE non aderiscono ai valori europei, ma cercano un’agevole strada per allontanarsi da Mosca. Non si dimentichi che tra i manifestanti c’è una rilevante componente di estrema destra anti-russa, ma anche anti-polacca. C’è una frangia in Ucraina che oggi firmerebbe accordi anche vessatori con l’UE per fare uno sgambetto a Putin, ma i cui comportamenti di domani sono assai imprevedibili.

3.Quali relazioni con la Russia e le ex repubbliche sovietiche?

L’Unione europea non ha una funzionante politica estera comune e soprattutto non ce l’ha verso i grandi player come la Russia, poiché i principali Stati dell’UE preferiscono mantenere il diretto controllo delle relazioni con i grandi attori globali; se Paesi come la Gran Bretagna sono stati per lungo tempo allineati agli Stati Uniti per quanto riguarda alle relazioni con la Russia, le cancellerie italiana, francese e tedesca sono state sempre orientate a mantenere buoni rapporti con Mosca.

L’allargamento dell’Unione europea ad una decina di paesi postcomunisti ha reso ancora più evidenti le divisioni, poiché alcuni dei nuovi Stati membri, tra cui spicca la Polonia, hanno subito palesato intenzioni antirusse degne della più rigorosa dottrina Kennan.

Particolarmente debole è stata la politica dell’Unione europea verso le repubbliche dell’Ucraina e della Georgia. Inizialmente Bruxelles sembrava intenzionata a dialogare con i presidenti europeisti di Ucraina e Georgia, Juščenko e Saakasvili; successivamente, anche su pressione dei Paesi desiderosi di non deteriorare le relazioni con la Russia, l’UE ha sostanzialmente congelato la questione dell’allargamento. Sono proliferate le dichiarazioni contradditorie di esponenti della commissione.

A ciò si aggiunge il fatto che mentre a Tbilisi il governo ha cercato più spesso contatti con Washington che con Bruxelles, a Kiev si sono succeduti governi e presidenti con diverse sensibilità: Yushenko è iper-europeista, Yanukovic filorusso, Tymoshenko si dichiara europeista me quando si avvicina al potere fa sempre un giro a Mosca con il cappello in mano.

Nel 2008-2009 su iniziativa della Polonia fu lanciato il partenariato orientale tra l’Unione europea, l’Ucraina, la Bielorussia, la Georgia, l’Azerbaijan, l’Armenia e la Moldova. Al di là dell’imbarazzante dialogo politico con uno dei regimi più impresentabili al mondo, la Bielorussia, il partenariato ha subito dimostrato significativi limiti. I polacchi hanno sponsorizzato l’iniziativa in chiave anti-russa, mentre Sarkozy durante la presidenza francese ha fatto del partenariato il clone di nord-est dell’Unione del mediterraneo: come l’Unione del Mediterraneo è stata utilizzata per tenere la Turchia fuori dall’UE, il partenariato orientale è stato utilizzato per tenere fuori Georgia ed Ucraina.

Così mentre il liberale Radoslaw Sikorski, ministro degli esteri polacco dal 2007, ha affermato che esiste un diritto di europei come gli ucraini a divenire un giorno cittadini dell’UE, le istituzioni dell’UE sono spesso state poco chiare ed hanno preferito rinviare sine die la discussione di determinati dossier, trascurando tra l’altro le differenze tra paesi come la Georgia, ove il popolo approverebbe a larga maggioranza l’adesione all’Ue e paesi come l’Ucraina ove l’opinione pubblica è divisa ed esprime posizioni contrastanti.

L’Unione europea è quindi apparsa priva di una chiara Ostpolitik, la sua linea è sembrata talvolta dipendere dal Paese che ha esercitato la presidenza di turno; è ragionevole chiedersi a cosa servano il presidente permanente dell’Unione europea (Van Rompuy), l’alto rappresentante per la politica estera (Ashton) e il dovere di coordinarsi che grava su tre presidenze di turno consecutive se l’Unione non riesce ad esprimere una linea politica neanche su una questioni macroscopiche come le relazioni con la Russia e con gli altri Paesi postcomunisti dell’ex Unione Sovietica.

È stato un gravissimo errore di prospettiva politica dell’Unione non denunciare le sistematiche violazioni dei diritti della Russia di Putin, a partire dalla libertà di stampa e dalla repressione degli oppositori politici, è stato un altrettanto grave errore non denunciare le violazioni dei diritti dei ventuno milioni di cittadini russi che vivono fuori dalle frontiere della federazione giusta.

Su tali questioni, tra le nebbie del Baltico e dell’Ucraina, è evaporata l’identità “value-based” dell’Unione europea.

Oggi Putin vuole sbarrare la strada che porta repubbliche come l’Ucraina e la Georgia nelle organizzazioni regionali occidentali per riportarle sotto il controllo di Mosca con un percorso che parte da un’Unione doganale.

4. Quale soluzione per l’Ucraina?

Una scissione del Paese costituirebbe l’epilogo più drammatico della vicenda; non sappiamo chi ne trarrebbe beneficio tra USA e Russia e avrebbe di sicuro impatti negativi per gli Ucraini e per l’UE. I Paesi europei finirebbero per prendere atto del fatto individualmente ed in tempi diversi. Si ricordi che gli accordi di Monaco del 1938 che concessero ai Sudeti, in gran parte di lingua tedesca, di secedere dalla Cecoslovacchia e il tracollo dell’ex-Jugoslavia negli anni Novanta si conclusero entrambi con una cruenta guerra. Al di là del principio dell’intangibilità dei confini una scissione servirebbe a ben poco in una terra ove non è possibile con una matita individuare Stati linguisticamente omogenei, ove le identità sono discutibili ed ove in pochi anni, a causa di fattori demografici, i rapporti di forza tra i diversi gruppi possono variare in maniera consistente. Un ambasciatore di uno stato dell’ex Jugoslavia faceva spesso una battuta: la Serbia è come la Nokia, ogni anno abbiamo un suo modello più piccolo. Le secessioni dalla Serbia non hanno aiutato a risolvere le contraddizioni emerse dalle guerre balcaniche degli anni Novanta.

Il politologo di origini polacche Zgbiniew Brzezinski suggerisce che l’Ucraina possa diventare uno Stato neutrale, come fu la Finlandia durante la guerra fredda; uno Stato che non faccia parte né della NATO, né dell’UE, né di un’organizzazione a cui prende parte la Russia; con questa soluzione di compromesso le cancellerie europee uscirebbero da una situazione difficile ad imbarazzante e Bruxelles avrebbe finalmente una posizione sull’Ucraina.

Fonte immagine: Flickr

Parole chiave
Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom