L’UE e la nuova proposta di Regolamento sui rimpatri: verso un’accentuata esternalizzazione delle frontiere?

, di Demetra Santagati

L'UE e la nuova proposta di Regolamento sui rimpatri: verso un'accentuata esternalizzazione delle frontiere?

L’ormai lontano 2023 vedeva emergere il tanto dibattuto Protocollo Italia-Albania, attualmente definito da molte testate giornalistiche e politici di tutta Europa un progetto fallimentare. Eppure, L’Unione europea starebbe valutando l’adozione in ambito comunitario di un modello volto a consolidare e normalizzare il sistema di esternalizzazione delle frontiere.

Già a ottobre 2024, Capi di Stato e di Governo si erano riuniti in un vertice chiave per esplorare nuove soluzioni “per prevenire e contrastare la migrazione irregolare”, identificando tale esternalizzazione come una possibile risorsa.

La presentazione di un nuovo Regolamento da parte della Commissione europea in data 11 marzo 2025 costituisce il passo successivo rispetto al dibattito avviato a ottobre. Tale proposta si configura come un completamento del Nuovo Patto sulla Migrazione e l’Asilo, approvato nell’aprile 2024 dopo quattro anni di intensi negoziati e non poche perplessità sollevate nel contesto di possibili violazioni dei diritti umani. In ogni caso, il Regolamento proposto sarebbe inteso a colmare le lacune lasciate dalla riforma sui rimpatri, pertanto la fase in cui i richiedenti asilo non sono in possesso di permessi che consentano loro di rimanere sul suolo europeo.

Ad oggi, secondo i dati ufficiali, il tasso di ritorno effettivo rispetto agli ordini di deportazione si aggirerebbe intorno al 20%, anche se le ong li ritengono incompleti. Per far fronte alla questione, la proposta prevede l’istituzione di un sistema comune europeo per i rimpatri, che includerebbe procedure standardizzate e il riconoscimento reciproco delle decisioni di rimpatrio tra gli Stati membri. Secondo le disposizioni correnti, gli Stati membri hanno facoltà di trasferire i richiedenti asilo respinti nel loro Paese d’origine, in un Paese di transito dotato di un accordo di riammissione, oppure in altri Stati, a condizione che il migrante acconsenta volontariamente.

Con la nuova legge, però, il requisito del consenso verrebbe notevolmente indebolito e le modalità di trasferimento verrebbero ampliate. Si propone difatti che vengano definiti elenchi di Paesi terzi sicuri verso cui i richiedenti asilo respinti possano essere mandati . Con il supporto finanziario degli Stati membri interessati, in alcuni di questi Paesi si potranno costruire i cosiddetti “hub di rimpatrio”.

Seppure possano essere individuati dei punti in comune tra questa proposta, il protocollo siglato da Meloni e Rami e anche il precedente accordo UK-Ruanda, va detto che questo possibile nuovo Regolamento differisce sia dall’uno che dall’altro. Una differenza chiave tra questi sistemi di esternalizzazione e la proposta corrente è che quest’ultima non tratterrebbe i richiedenti asilo ma coloro i quali avrebbero già perso il diritto di rimanere sul suolo comunitario.

A completare il quadro, il Regolamento introduce norme più rigide per gli individui ritenuti una minaccia per la sicurezza. In questo caso, le autorità nazionali potranno disporre la detenzione per un periodo fino a 24 mesi, estendibile in presenza di seri rischi per la sicurezza - come nel caso di soggetti coinvolti in reti terroristiche - fino al compimento dell’atto di deportazione. Ciò significa che, in casi isolati, sospetti terroristi potranno essere trattenuti, sia nel Paese in cui hanno presentato la domanda d’asilo sia in uno degli hub di rimpatrio esterni al territorio UE, fino a quando il loro Paese d’origine non sarà ritenuto sufficientemente sicuro per il loro ritorno. Infine, il nuovo Regolamento prevede un inasprimento delle sanzioni per i richiedenti asilo respinti o per coloro che sono stati deportati. In situazioni estreme, tali soggetti potranno essere sottoposti a divieti di ingresso nell’UE fino a 20 anni, rispetto al precedente limite massimo di cinque anni.

Misure di questo genere sarebbero state considerate estreme fino a pochi anni fa, e infatti l’esecutivo dell’UE del 2018 aveva ritenuto inaccettabile una simile proposta di esternalizzazione di flussi migratori sostenuta invece dai partiti più a destra. Negli ultimi tempi, l’aumento della presenza di politici nazionalisti e conservatori ha convinto alcuni gruppi influenti - incluso il centrodestra del PPE - ad accogliere l’idea.

É il caso di Javier Zarzalejos, presidente della Commissione per la Giustizia e gli Affari Interni, che si è dichiarato favorevole ad eventuali accordi bilaterali per gli hub a patto che vengano imposte delle disposizioni per garantire il rispetto dei diritti fondamentali. Lo stesso Magnus Brunner, Commissario europeo per gli Affari Interni e le Migrazioni nella Commissione von der Leyen II, ha definito esistenziale la questione dei rimpatri, sostenendo che ciò che si cerca di fare è dare ai cittadini UE fiducia nelle capacità dell’Unione di gestire efficacemente la situazione.

A sollevare invece maggiori perplessità sono stati i membri dei gruppi più a sinistra, come Saskia Bricmont dei Verdi, che ha evidenziato le difficoltà pratiche nel monitoraggio di tali diritti, sovente già calpestati persino in centri presenti sul suolo comunitario. Le divisioni non si riscontrano solo tra destra e sinistra, ma anche tra Stati membri con storie e tradizioni diverse in tema di asilo e accoglienza. A dirsi preoccupati sono stati poi anche organismi comunitari, tra cui l’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione europea (FRA), e organizzazioni come Amnesty International, che ha definito la proposta “un nuovo punto più basso” per il trattamento dei migranti.

In ultima istanza, il Regolamento provvisorio rappresenta un ulteriore passo nel crescente orientamento dell’UE verso una gestione della migrazione sempre più esternalizzata. Già il Patto su Migrazione e Asilo dello scorso anno aveva evidenziato l’intenzione di rafforzare le collaborazioni con paesi terzi, estendendo l’utilizzo delle clausole sui Paesi sicuri per agevolare i ritorni. Con l’obiettivo di incrementare le deportazioni e superare la soglia dell’attuale dibattuto 20%, la nuova proposta pone l’accento su una nuova linea di pensiero incentrata sulla possibile preferenza degli Stati membri di delegare alcune responsabilità.

Il rischio che ne consegue, tuttavia, è ingente. In primis, si teme che si possa distogliere l’attenzione dal miglioramento delle procedure di ritorno e dalla promozione di una efficace e autentica cooperazione con i paesi di origine. Inoltre, il regolamento potrebbe comportare detenzioni prolungate e non sempre sufficientemente giustificate, oltre che incertezza giuridica e notevoli difficoltà di protezione dei diritti fondamentali.

La proposta rimane ancora sospesa, in attesa che venga discussa dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea. Da un lato, figure come Lukas Mandl, Eurodeputato conservatore austriaco, sono già convinte che la proposta otterrà ampio sostegno parlamentare; dall’altro, politici come Cecilia Strada di S&D, fanno appello ai valori fondanti dell’Unione europea, che verrebbero secondo l’europarlamentare lesi dall’eventuale approvazione del regolamento.

La detenzione prolungata, le sanzioni più severe e l’esternalizzazione delle responsabilità, attraverso gli hub di rimpatrio, potrebbero peraltro accentuare le divisioni interne tra gli Stati membri e minare la coesione europea, influenzando negativamente anche l’immagine internazionale dell’UE. Si attendono pertanto nuovi aggiornamenti sulla possibile approvazione del Regolamento.

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