Nel suo articolo Una difesa senza stato non ha senso, ma nemmeno uno stato senza difesa. Verso una nuova statualità europea?, pubblicato su “Eurobull” nel marzo scorso, Domenico Moro porta un contributo interessante alla riflessione sui progressi del dossier europeo sulla difesa comune, abbandonato nel lontano 1954 e riaperto di recente con l’avvio di una cooperazione strutturata permanente sotto gli auspici della Commissione e in particolare dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini.
L’analisi di Moro rappresenta un tentativo di dimostrare che nel settore della difesa il processo di integrazione può procedere con la stessa gradualità che lo ha caratterizzato fin qui. Per farlo prende a esempio il caso degli Stati Uniti (l’archetipo storico della federazione) ed esamina in particolare l’evoluzione della difesa statunitense da competenza concorrente a competenza esclusiva, che sarebbe avvenuta sostanzialmente nelle prime decadi del XX secolo. Fino a quel momento infatti una forza militare federale conviveva con le milizie dei singoli stati, in un rapporto che in seguito è stato ribaltato ma che nei primi decenni era di 1 a 8.
Tuttavia, questa impostazione rischia di essere ingannevole, in particolare se il suo scopo è di stabilire un’analogia con il caso europeo. Negli Stati Uniti l’uso della forza militare – cioè della forza per scopi militari in risposta a una minaccia esterna – è stato sempre e senza ambiguità in capo al governo federale: la possibilità di avere un potere di comando militare concorrente a quello centrale non è mai stata presa in considerazione, e lo stesso vale per la politica estera, che non può essere disgiunta dal primo. Tecnicamente parlando si è sempre trattato di competenze esclusive.
La funzione delle milizie nazionali (oggi la Guardia nazionale) era concepita unicamente per garantire l’ordine interno, al pari di una forza di polizia, e come garanzia ultima degli stati nei confronti di un ipotetico tentativo di sopruso da parte del governo federale: una riserva, quest’ultima, che servì a tacitare i timori dei federalisti più cauti nel momento in cui si dava vita a un organismo politico senza precedenti e avviato, anche per questo, verso un futuro che era impossibile prevedere.
La costituzione del 1787 non lascia dubbi in proposito: “Il Congresso avrò il potere di (...) provvedere alla difesa comune, (...) di dichiarare guerra, (...) di reclutare e mantenere eserciti, (...) di stabilire regole per l’amministrazione e il governo delle forze militari di terra e di mare, (...) di provvedere a convocare la Milizia per l’esecuzione delle leggi dell’Unione, per reprimere insurrezioni e respingere invasioni; di provvedere a organizzare, armare e disciplinare la Milizia e a disporre quale parte di essa sia impiegata al servizio degli Stati Uniti, riservando ai relativi Stati la nomina degli ufficiali e la funzione di addestrare la Milizia in conformità alla disciplina dettata dal Congresso” (art. 1, sez. 8 – mio il corsivo).
Ancora: “Nessuno Stato potrà, senza il consenso del Congresso, (...) tenere truppe o navi da guerra in tempo di pace, formare accordi o unioni con un altro Stato o Potenza straniera o impegnarsi in una guerra, salvo un’effettiva invasione o un pericolo così imminente da non consentire alcun ritardo” (art. 1, sez. 10); “Il Presidente sarà Comandante in capo dell’Esercito e della Marina degli Stati Uniti, e della Milizia dei diversi Stati quando chiamata al servizio attivo degli Stati Uniti” (art. 2, sez. 2).
Questo impianto non richiese nessun emendamento nei due secoli successivi: non vi fu alcun ripensamento né alcun ulteriore trasferimento di competenze dagli stati alla federazione, perché la questione era stata chiarita una volta per tutte fin da subito, secondo una logica che doveva apparire cristallina ai padri costituenti e agli stati che ratificarono la costituzione uscita da Filadelfia.
Il fatto che all’inizio la maggior parte delle forze armate fosse assegnata ai singoli stati, cui era riservato il diritto di nominarne gli ufficiali e addestrarle, è puramente formale, e non mise mai in discussione l’autorità del governo federale su di esse in caso di necessità: di fatto significava soltanto che i membri delle milizie erano dislocati sul territorio e inquadrati per stati, pronti a essere richiamati sotto il comando centrale appena fosse loro richiesto dal Congresso. Questo apparente decentramento di funzioni – ma non di potere politico – nel primo secolo di vita della federazione americana si spiega facilmente con la circostanza per cui all’epoca gli Stati Uniti riuscirono a tenersi fuori dalla politica internazionale, favoriti in questo, com’è noto, dal loro isolamento geografico.
La verità è che il caso americano e quello europeo non sono comparabili: con la nascita degli Stati Uniti la difesa divenne immediatamente una competenza federale, sotto il controllo del governo centrale e del Congresso. Nell’Unione europea è invece interamente in capo agli stati membri, e solo un trasferimento “secco” al livello comunitario permetterebbe di istituire una difesa europea, per quanto ridotta ed embrionale.
Il punto infatti non è l’eventuale coesistenza materiale di forze militari europee e nazionali, una coesistenza che insieme a Moro possiamo ipotizzare senza difficoltà, né la percentuale con cui entrambe potrebbero contribuire alle forze armate complessive. Il punto è a quale governo, a quale parlamento e a quale politica estera risponderebbero qualora venissero utilizzate. E qui non sembra possibile discostarsi dall’osservazione che Altiero Spinelli fece nel 1953 ad Alcide de Gasperi per convincerlo ad associare al progetto della Comunità europea di difesa quello di una Comunità politica europea: il potere militare non può essere una competenza concorrente, ma può essere solo in capo a un governo federale oppure ai singoli governi nazionali.
L’analogia con la nascita dell’Unione monetaria come tappa nella costruzione graduale di una statualità europea e il richiamo in proposito al pensiero di Albertini sull’opportunità di “forzare” in questo modo il processo, mettendo il carro della moneta davanti ai buoi di un governo federale europeo ancora da realizzare, sembrano anch’essi fuorvianti. Si può concepire una moneta senza stato anche restando consapevoli della sua intrinseca fragilità, allo stesso modo in cui si può ammettere (e perfino auspicare) l’indipendenza della politica monetaria dal potere esecutivo, mentre resta improponibile l’idea di un esercito che non sia sotto il controllo di un governo e di un parlamento.
Secondo Moro è possibile “trasferire in capo alle istituzioni europee, progressivamente, parte delle forze armate nazionali”, considerato che “a livello europeo le istituzioni – Consiglio europeo, Commissione europea, Parlamento europeo – per il controllo di un nucleo iniziale di forze armate federali europee esistono già”. Ma di queste istituzioni le due che hanno natura federale (Parlamento e Commissione) non hanno competenza in materia di difesa, perché il Trattato di Lisbona non gliela attribuisce, e non potrebbero a nessun titolo gestire anche solo una parte delle forze armate. Per consentirglielo sarebbe necessario riformare i trattati, rendendo per esempio la difesa, al pari della politica estera, una competenza concorrente, come l’analisi di Moro sembra suggerire. Ma neppure questo avrebbe senso, perché non è concepibile un dualismo spinto fino al punto di prevedere un doppio governo (europeo e intergovernativo) per gestire simultaneamente due distinte forze armate al servizio di due politiche estere, e così via.
Non ci sono dubbi: tutto sarebbe più semplice se la nascita di una difesa europea potesse compiersi per gradi, in modo da renderla via via più digeribile per i governi nazionali chiamati, in prospettiva, a rinunciare a un potere così sostanziale. Tuttavia, la lezione americana è anche qui chiarissima: la necessità di difendersi non lascia margini a processi graduali, ma richiede una decisione preliminare su quale specifico centro di potere deciderà quando, come e perché provvedervi. I costituenti di Filadelfia sapevano quello che facevano. Lo stesso non può dirsi, a tutt’oggi, dei governanti europei.
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