La conoscenza è davvero in pericolo e il dibattito è più difficile oggi di quanto non lo fosse 50 o 100 anni fa?

Recensione del libro «The Death of Expertise: The Campain Against Established Knowledge and Why it Matter» edito dalla Oxford University Press

, di Grazia Borgna

La conoscenza è davvero in pericolo e il dibattito è più difficile oggi di quanto non lo fosse 50 o 100 anni fa?

Quando vediamo in un giorno di festa una grande famiglia a pranzo al ristorante e non sentiamo nessuna conversazione, ma vediamo tutti, dai nonni ai piccolissimi, smanettare compulsivamente sugli smart phone, sentiamo che è necessaria una riflessione. Così come quando davanti alla Gioconda vediamo che la maggioranza dei visitatori, invece di soffermarsi ad ammirarne la bellezza, di chiedersi chi era questa donna, in che tempi è vissuta, chi era l’artista che l’ha ritratta, si limita ad un frettoloso selfie e via.

Ci chiediamo, senza voler drammatizzare, come potranno i cittadini, soprattutto i giovani, arrivare ad avere una concezione obiettiva, critica, ma soprattutto approfondita del mondo in fieri del quale fanno parte. Come potranno, se la loro visione deriva soprattutto da internet e dai social network, contribuire alla formazione della nuova società e trarre il massimo beneficio da questa rivoluzione che avanza. Invece di subirne gli effetti negativi rimanendone ai margini, diventarne i principali attori.

Questi ed altri interrogativi sono quelli che si è posto Tom Nichols, intellettuale statunitense (professor at the U.S. Naval War College, at the Harvard Extension School, a Sovietologist), osservando e analizzando l’evoluzione dell’attuale società americana in modo molto approfondito e documentato. In un recente volume intitolato The Death of Expertise: The Campain Against Established Knowledge and Why it Matter egli, osservando la profonda crisi che sta attraversando la società americana, cerca di individuare quali siano i comportamenti che possono aggravarla, mettendo in pericolo la tenuta del sistema democratico. Ma cerca anche di dare una risposta: cosa è necessario fare concretamente per contrastare questa pericolosa involuzione.

Egli osserva che, nella società americana, è in corso una nuova tendenza, a suo giudizio molto pericolosa, che, se non fermata o almeno ostacolata con forza, può mettere in serio pericolo la democrazia. Negli ultimi cinquant’anni i cambiamenti sociali hanno infranto le vecchie barriere di razza, classe e sesso. Ma invece di produrre un aumento del livello di istruzione e competenza, negli Stati Uniti, si è verificata un’involuzione culturale il cui effetto più evidente è un atteggiamento fortemente critico, un distacco, nei confronti di esperti, intellettuali, scienziati, vissuti come nemici. Un rifiuto delle gerarchie e delle competenze. Atteggiamento presente soprattutto nelle nuove generazioni.

Questa opposizione dei “profani” agli “esperti”, non riconosce il ruolo, le opinioni di questi ultimi, ai quali contrappone tesi e soluzioni che fanno leva su sentimenti e paure, più che su dati reali. Viene contestata l’importanza dell’istruzione formale e dell’esperienza “la disinformazione scaccia il sapere”. Nichols afferma che il rapporto tra esperti e cittadini si è sempre basato sulla fiducia. Se questa crolla la democrazia entra in crisi. Tutti possono intervenire. Tutti hanno il diritto di essere trattati su un piano di parità. L’aspirazione si colloca nel contesto del più generale “rifiuto delle diseguaglianze”. Un problema che, per trovare soluzione o almeno attenuazione, deve essere affrontato sul piano politico e porsi come obiettivo di perseguire, a livello globale, una diversa distribuzione della ricchezza tra Stati e, a livello nazionale, una più equa distribuzione del reddito.

Nichols porta a suffragio delle sue affermazioni molti esempi. Fa rilevare che sul piano politico la critica agli esperti è stata al centro della campagna elettorale, che con accenti molto strumentali, ha portato Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Fenomeno analogo si è manifestato nella propaganda per la Brexit. A livello europeo Pier Cauch e André Zilberberg, in un recente libro su “Il negazionismo. Perché in economia serve più rigore scientifico” (2018, Università Bocconi, Milano) rafforzano con le loro analisi le argomentazioni di Nichols. Essi notano che troppo spesso si assiste alla costruzione di verità non fondate sui risultati della Comunità scientifica. Citano le false verità espresse nelle campagne elettorali di Marine Le Pen, Trump, Salvini e Di Maio. Osservano che, nonostante tutte si basassero sulla sistematica denigrazione degli esperti e su falsità, sono diventate parte del dibattito politico e sono difficilissime da smascherare. La denigrazione degli esperti è stata anche al centro di altre campagne che Nichols cita, ad esempio, quelle sul rifiuto delle vaccinazioni, contro il consumo di uova, per il consumo di latte crudo e le campagne “complottiste”. Queste promuovono con sicumera opinioni estemporanee e scenari grotteschi come l’idea che ci sia un’élite che trama contro i cittadini. Tutte campagne che negano i dati forniti da scienziati, delle più prestigiose organizzazioni mondiali, contrapponendo pareri che fanno leva sulle paure, sul ritorno alle tradizioni e alla “saggezza popolare”, su leggende metropolitane e in qualche caso sui pareri di esperti diverso da quello delle Organizzazioni riconosciute (le affermazioni più note sono la negazione dell’AIDS, che le crisi climatiche non dipendano dall’inquinamento, il terrapiattismo, il mancato sbarco americano sulla Luna, l’attentato alle torri gemelle come complotto del Governo Bush, l’antivaccinismo, gli immigrati rubano il lavoro ai nativi e portano malattie, gli aiuti all’estero sono uno spreco di denaro ecc.).

Il fatto è che meno le persone sono competenti meno probabilità hanno di accorgersi che sbagliano. Faticando a conoscere la complessità della vita contemporanea i cittadini nutrono aspettative sempre meno realistiche di ciò che il loro sistema politico e economico è in grado di offrire. Sono facile preda delle crociate contro qualsiasi potere costituito (per sostituirgli cosa?) e indifesi di fronte alle manipolazioni dei dati. Se le informazioni dei motori di ricerca possono alterare le percezioni della realtà politica da parte dei cittadini, questo, dice Nichols, è un grave problema. Stanno venendo alla luce ad esempio seri pericoli di condizionamento del voto.

Nichols osserva che alcuni politici fautori della Brexit, dopo la vittoria, hanno ammesso pubblicamente di aver usato in campagna elettorale dati e argomentazioni false. Ma queste ammissioni non hanno generato reazioni indignate da parte degli elettori che tendono a schierarsi acriticamente a sostegno del proprio “campo”. Atteggiamento che contribuisce ad aumentare la polarizzazione politica e ad inasprire lo scontro. Questi fatti, a giudizio dell’autore, testimoniano lo scadimento progressivo del livello culturale dei cittadini statunitensi e sono strettamente connessi con l’uso distorto delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Nichols denuncia il forte aumento delle notizie false soprattutto in rete. Nota che le informazioni che vengono diffuse su internet sui più svariati temi e problemi senza un controllo sulla loro attendibilità, hanno creato nei cittadini l’illusione di poter conoscere, in tempo reale, tutte le tematiche e di potersi pronunciare anche su temi molto tecnici e di difficile decodificazione. I “tuttologi” tendono a cercare su internet e sui social le notizie che confermano le proprie convinzioni secondo il meccanismo irrazionale del bias di conferma. Conferma di qualsiasi idea anche sbagliata e pericolosa. Tutto diventa una questione di opinione. Ma “se tutti sono esperti nessuno è esperto”. Si rischia una visione unilaterale, intransigente e dogmatica della realtà, fondata su notizie consolatorie che confermano i propri desideri. Una trappola subdola nella quale cadono anche intellettuali raffinati.

Questo non vuol dire, dice Nichols, che si debba dare credito assoluto agli specialisti che, talvolta, possono seguire interessi secondari. Uno scetticismo ragionato è essenziale non solo per la scienza ma anche per una sana democrazia. Anche gli esperti hanno commesso e commettono errori (Talidomide, Vietnam, Iraq, ecc.). Ma gli sbagli sono più rari perché sui dati prodotti da esperti, intellettuali, scienziati, esiste un controllo istituzionale che riduce i margini di errore. Non basta essere appassionati o interessati, le credenziali devono essere fornite da Istituzioni accreditate che garantiscono il rigore rispetto alla Comunità scientifica e al grande pubblico. Gli esperti lavorano per capire i fenomeni e producono utili generalizzazioni, che aiutano a decodificare situazioni complesse. I profani spesso producono stereotipi che non vanno confusi, dice Nichols, con la spinta verso l’innovazione e il superamento dei vecchi schemi mentali. Sono proprio il contrario. Le conclusioni che traggono sono basate su giudizi preventivi e quindi senza accettare nulla che contrasti con la loro visione del mondo.

Nella rete sono presenti anche siti autorevoli e di qualità di centri studi, Università, Think Tank, ma sono mescolati a milioni di siti superficiali e notizie fasulle. Non c’è modo di distinguerli dagli altri. Inoltre, non sempre sono di facile comprensione perché usano un linguaggio tecnico e difficile. Ai cittadini serve avere accesso agli strumenti che consentano loro di orientarsi nell’immenso universo di notizie che li tempestano 24 ore su 24 e che li inducono ad intervenire nei talk show. Anche il pubblico dibattito risulta fortemente pilotato. Raramente basato su un confronto leale, da spazio a interventi “urlati” contro chi non ha le medesime convinzioni. Spettacolarizzazione che non mira, attraverso un approfondimento e un confronto civile, ad arrivare a conclusioni razionali. Avviene spesso che in questo confronto gli esperti vengano confusi con i politici, generando un equivoco sui rispettivi ruoli. Questa confusione è fuorviante perché mentre agli esperti, afferma Nichols, compete il compito di fornire studi, statistiche, ricerche, ai politici spettano le decisioni che terranno conto dei pareri, ma non necessariamente li condivideranno.

L’autore è convinto che questa situazione possa rappresentare un pericolo per le istituzioni democratiche che potrebbero degenerare in senso tecnocratico o verso forme di gestione del potere basate sulla cosiddetta democrazia digitale. Un plebiscitarismo che metterebbe in serio pericolo i regimi liberali fondati su Costituzioni e Carte dei diritti, sulla divisione dei poteri e sulla rappresentanza parlamentare. Egli afferma che la gravità della situazione richiede che gli esperti reagiscano e facciano sentire con più forza la loro voce, iniziando dai settori strategici come le Università e le scuole per giornalisti. Il progressivo scadimento di questi due importanti settori è una delle principali cause dell’incompetenza dei cittadini, soprattutto dei giovani. Nel giornalismo contemporaneo, l’aumento dell’accesso a Internet e all’istruzione universitaria, è avvenuto a scapito dell’esperienza sul campo e ha fortemente contribuito ad un abbassamento del livello di competenza. La ricerca di sempre nuovi finanziamenti e la spettacolarizzazione dell’offerta universitaria si è avvitata su sé stessa e ha contribuito sia ad abbassare il livello della cultura sia ad aumentare la distanza tra cittadini e esperti. Nichols, afferma che la denuncia non è più sufficiente a cambiare la tendenza in corso: va combattuta e superata l’attuale visione che riduce a “merce” e spettacolarizzazione l’offerta culturale e formativa. Si è “clienti più che discenti”.

Il disimpegno per le questioni pubbliche dei giovani sotto i trent’anni è un dato molto grave per il futuro della democrazia. Privilegiare la competenza negli studi universitari e giornalistici può contribuire a generare un’inversione di tendenza. È necessario offrire studi più seri, approfonditi e professionalizzanti ed educare gli studenti al pensiero critico. Ma occorre agire contemporaneamente su dirigenti, professori e giornalisti con periodici controlli sulla qualità dei servizi offerti e l’accesso ad una formazione e ad un aggiornamento continuo.

Ciò che occorre, conclude l’autore, è creare una nuova responsabilizzazione dei cittadini che, se riprenderanno in mano il loro destino e la cura della cosa pubblica, porranno le basi di una nuova democrazia capace di affrontare le emergenze del XXI secolo. È necessario riuscire a superare il divario tra il proprio livello di istruzione e la velocità con cui si verificano i cambiamenti del mondo. È un’operazione molto complessa. Questo cambiamento non potrà avvenire, avverte Nichols, se non si produrrà nelle persone, sia che si tratti di semplici cittadini, sia di esperti, un cambiamento a 360°, una maggiore assunzione di responsabilità. Senza un atteggiamento collaborativo disponibile al serio approfondimento e al confronto tra diversi punti di vista e un atteggiamento basato sulla reciproca fiducia, non è possibile esercitare appieno la sovranità popolare, la democrazia.

Con questa opera, Nichols, tocca problemi molto attuali corredandoli di dati e di notizie che ci aiutano a comprenderli meglio e a raccogliere l’invito a non subirli, ma ad affrontarli. Anche se con questa pubblicazione l’autore esamina soprattutto la situazione americana, le tesi che sostiene si possono applicare ad altre realtà, soprattutto all‘Unione europea e tendenzialmente al mondo intero. A queste condivisibili tesi, che mettono in luce aspetti importanti del nostro mondo, alcune affermazioni appaiono, a mio modo di vedere, poco convincenti. La prima riguarda l’affermazione che: ”la legge Smoot-Hawley (che mirava a ridurre le forze armate americane) contribuì alla grande depressione, al crollo della Lega delle Nazioni e permise l’ascesa del fascismo e lo scoppio della guerra mondiale“ (p. 218). Si potrebbe obiettare invece che fu l’ascesa del fascismo a portare alla guerra mondiale e al crollo della Lega delle Nazioni.

La seconda affermazione riguarda la definizione del regime degli Stati Uniti: “sono una repubblica non una democrazia”. L’autore non prende in considerazione il fatto che lo scadimento culturale, ma soprattutto della partecipazione democratica dei cittadini americani è imputabile anche al fatto che gli USA, che sono nati come una federazione, stanno subendo un processo di centralizzazione. Questa è sicuramente una delle cause che allontana i cittadini dal potere perché rende loro difficile partecipare alla cosa pubblica. In uno Stato federale invece la distribuzione delle competenze e dei poteri tra diversi livelli di governo è un fattore che promuove la partecipazione alla vita politica.

Infine, Nichols, non sottolinea sufficientemente l’aggravarsi dell’uso politico, che a livello mondiale, alcuni governi stanno facendo ingerendosi pesantemente nelle questioni interne di alcuni Stati democratici. Recenti indagini stanno portando alla luce le gravissime interferenze messe in atto ad esempio dalla Internet Research Agency russa, con sede a San Pietroburgo, nata per inquinare l’opinione pubblica occidentale immettendo notizie dal forte impatto politico. È intervenuta sui social media con migliaia di false notizie nelle elezioni americane, italiane, francesi e non solo per appoggiare candidati graditi al governo russo con lo scopo di destabilizzare e infuocare il clima politico e screditare i politici europeisti e democratici.

Il libro di Tom Nichols, tradotto in italiano ed edito dalla Luiss University Press è «La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia».

Fonte immagine: Amazon.

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