La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD)

, di Rita Campus

La Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD)

La CSDDD, Direttiva sulla Due Diligence ai fini della Sostenibilità Aziendale, divide le opinioni degli Stati membri dell’UE e della comunità internazionale. Nonostante il suo fine ultimo sia nobile, gli svantaggi che potrebbe portare, sia sul piano economico che su quello politico, non sono da sottovalutare.

Venerdì 15 marzo gli ambasciatori degli Stati membri dell’Unione europea (UE) si sono riuniti presso il COREPER (Comitato dei Rappresentanti Permanenti) per votare a favore della tanto controversa Direttiva sulla Due Diligence ai fini della Sostenibilità Aziendale (la Corporate Sustainability Due Diligence Directive, anche detta Supply Chain Act, da qui in avanti “Direttiva” o “CSDDD”).

Non è stato un processo facile e il perimetro d’azione dell’attuale CSDDD è molto ridotto rispetto alla bozza originale. L’ultimo tentativo di approvazione è avvenuto non troppo tempo fa, mercoledì 28 febbraio, ma per far sì che la CSDDD venisse correttamente approvata era necessaria una “maggioranza qualificata” dei Paesi dell’UE, vale a dire il voto favorevole del 55% dei Paesi facenti parte dell’Unione, con un minimo di 15, che rappresentino almeno il 65% della popolazione. Il fallimento di febbraio sarebbe dovuto soprattutto all’astensione di Italia (la quale ha modificato la propria posizione il 15 marzo) e Germania (insieme ad altri 10 Paesi), mentre la Svezia ha deciso direttamente di votare a sfavore, rendendo di fatto impossibile il raggiungimento della soglia richiesta. Inoltre, un’ulteriore votazione era prevista per il 9 febbraio, successivamente rimandata dopo che alcuni Stati Membri (compresi Italia e Germania) avevano già assicurato la loro astensione al voto.

Prima di parlare dei fatti odierni, che cos’è la CSDDD? Il 23 febbraio 2022, la Commissione europea ha presentato una proposta di legge relativa agli obblighi di sostenibilità aziendale; a seguire, nel dicembre 2022, il progetto è stato adottato dal Consiglio europeo. Il primo giugno 2023, gli Eurodeputati hanno votato a favore di un’intensificazione della proposta legislativa originale, ma la Direttiva potrà entrare in vigore solamente quando il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea riusciranno a concordare una posizione comune. Paesi parte dell’Unione aventi già leggi proprie sull’argomento, come la Germania (dove la nuova LkSG è entrata in vigore proprio a gennaio 2023), dovranno rivedere e inasprire la legislazione per equipararla agli standard UE.

Nello specifico, come riportato dal South China Morning Post (SCMP), la CSDDD prevedeva per le aziende dell’UE con più di 500 dipendenti e un fatturato netto di almeno 150 milioni di euro di condurre valutazioni (anche chiamate “audit” in economia) dettagliate sui propri fornitori e partner (compresi, quindi, anche i fornitori cinesi). L’intento è quello di gestire in maniera trasparente gli impatti sociali e ambientali lungo l’intero processo di produzione e distribuzione (andando ben oltre la legislazione esistente a livello nazionale), promuovendo un’economia che possa considerarsi sostenibile ed equa globalmente, soprattutto dal punto di vista dell’ambiente e dei diritti umani. Nel caso in cui le norme non venissero rispettate, le aziende verrebbero punite non solo tramite onerose multe, ma sarebbero anche costrette a interrompere i rapporti con i fornitori. L’adempimento della Direttiva, per questa tipologia di aziende, avrebbe dovuto essere obbligatorio a partire dal 2026, mentre le aziende con oltre 250 dipendenti e aventi un fatturato netto superiore a 40 milioni di euro avrebbero dovuto conformarsi alla legislazione a partire dal 2028. Inoltre, a tre anni dalla prima entrata in vigore, l’obiettivo sarebbe quello di estendere queste valutazioni anche alle imprese extra-UE che realizzano in Europa un fatturato netto superiore ai 150 milioni di euro.

Dopo il voto del 15 marzo, però, la CSDDD ha assunto una nuova forma più diluita rispetto all’iniziale ambizione del testo. Il margine d’azione della Direttiva sarà ristretto alle imprese che contano oltre 1000 addetti (e non più 500) e un fatturato mondiale superiore a 450 milioni di euro (e non più 150 milioni). Sebbene la CSDDD sia sopravvissuta, c’è da sottolineare che ora circa il 70% delle aziende che sarebbero state coperte dalla bozza precedente saranno ora esentate. Adesso, il prossimo passo sarà l’adozione formale della Direttiva da parte del Consiglio dell’UE e la successiva votazione del testo dalla Commissione Affari Legali del Parlamento europeo. Il voto finale è atteso ad aprile 2024.

Nonostante i tentativi di sabotaggio, la Vicepresidente del Parlamento europeo, Heidi Hautala, in un post su LinkedIn, definisce il nucleo della CSDDD intatto. Le organizzazioni, attraverso la Direttiva, hanno l’opportunità di migliorare la propria reputazione e fiducia con i partner, dimostrando il loro impegno verso l’adozione di pratiche commerciali etiche e sostenibili, oltre che di garantire una maggiore efficienza e risparmiare sui costi grazie a una più diretta identificazione dei rischi collegati alle catene di approvvigionamento. In aggiunta, la CSDDD abbraccia i principi delle Nazioni Unite (NU) sulle imprese e sui diritti umani, anche detti UNGPs. Questi ultimi si basano su tre pilastri fondamentali:

  1. Il dovere dello Stato di proteggere i diritti umani;
  2. La responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani;
  3. L’accesso a mezzi di ricorso per le vittime di abusi legati alle imprese.

Le principali disposizioni della Direttiva comprendono:

  • Due diligence obligation: le organizzazioni sono tenute a sottostare alla due diligence obligation in termini di diritti umani e impatti ambientali, non solo per quanto riguarda le proprie operazioni, ma anche riguardo a quelle dei loro fornitori e subappaltatori;
  • Divulgazione delle informazioni sulla sostenibilità: le organizzazioni hanno tutte l’obbligo di divulgare informazioni sulle loro politiche e pratiche relative ai diritti umani, all’ambiente e alle questioni sociali, anche relative ai propri dipendenti;
  • Reporting sui rischi e gli impatti della sostenibilità: le organizzazioni sono tenute a riferire sui rischi e sugli impatti delle loro operazioni e delle catene di approvvigionamento in termini di diritti umani, dell’ambiente e delle misure adottate per prevenire o mitigare tali rischi.

Complessivamente, la CSDDD mira a promuovere trasparenza e responsabilità nelle operazioni e nelle catene di approvvigionamento delle grandi imprese che operano nell’UE, oltre che a incoraggiare le stesse ad adottare pratiche commerciali sostenibili e responsabili, dimostrando il proprio impegno verso operazioni di rilevanza etica. Il fine ultimo è quello di evitare sanzioni e impatti negativi sull’ambiente e sulle comunità locali, vietando pratiche quali il lavoro forzato o la deforestazione.

Quindi, perché la Direttiva è considerata altamente controversa? La comunità imprenditoriale ha criticato la norma fin dall’inizio, soprattutto perché si teme che le regolamentazioni possano creare burocrazia e incertezze giuridiche per le aziende dell’UE. Non solo audit così dettagliati potrebbero essere usati come strumento per politicizzare le attività commerciali, ma il risultato di queste valutazioni potrebbe portare anche a una interruzione delle catene di approvvigionamento globali e ostacolare la normale cooperazione tra le imprese UE e i loro partner.

A questo proposito, durante il lungo processo di approvazione della CSDDD, il professore dell’Accademia di governance regionale e globale dell’Università degli Studi esteri di Pechino, Cui Hongjian, ha sottolineato: “il fatto che la Direttiva non sia stata approvata dimostra che la politicizzazione delle attività economiche e commerciali non è in linea con gli accordi della maggior parte degli Stati Membri”, e ancora: “il problema più grande che l’Europa deve affrontare in questo momento è la crescente contraddizione tra il suo desiderio di avere un impatto politico e la necessità di considerare i propri interessi reali.”

A sfavore della CSDDD è anche il Presidente del gruppo minerario australiano Fortescue, Andrew Forrest, il quale ha dichiarato al Financial Times: “Se volete assicurarvi che tutte le vostre catene di approvvigionamento riportino direttamente in Cina, se volete continuare a lamentarvi e lamentarvi senza fare nulla a riguardo, allora… non adottate la Direttiva sulla responsabilità aziendale sui diritti umani.”

È innegabile che le opinioni sulla Direttiva siano tante e diverse. Da un lato, l’obiettivo dell’UE è quello di rendere le catene di approvvigionamento delle imprese europee più trasparenti e sostenibili, soprattutto per quanto riguarda problemi di natura ambientale o dei diritti umani. Dall’altra parte, si teme che la CSDDD possa portare alla politicizzazione di attività economiche e commerciali, deteriorare ulteriormente la cooperazione economica e commerciale tra Cina e UE (cosa non solo altamente complessa, ma anche estremamente svantaggiosa per entrambe le parti data l’interdipendenza reciproca che le lega) e rendere le attività commerciali delle aziende UE più complesse ed economicamente svantaggiose dato che sarebbero le uniche ad avere questo tipo di obbligo sul mercato.

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