La “dual army”: un modello di difesa per l’Europa e il mondo?

, di Domenico Moro

La “dual army”: un modello di difesa per l'Europa e il mondo?

Se, sull’esempio di Eurobull, il Movimento federalista ridiscutesse i grandi concetti della politica, come quelli della difesa comune e della politica estera di un sistema federale, si dovrebbe constatare che, a differenza di uno Stato unitario, le competenze in queste due materie non fanno capo ad un unico livello istituzionale, ma sono condivise tra il livello federale e il livello statale*. Invece, un articolo comparso qualche settimana fa non tiene conto di queste differenze istituzionali. Le argomentazioni sviluppate nell’articolo appena citato, purtroppo, si basano, per la maggior parte, su un grossolano errore e, per la parte residua, su una carente conoscenza dell’argomento specifico.

In merito alla difesa e alle milizie statali, si sostiene infatti che “questo impianto [della Costituzione americana del 1787] non richiese nessun emendamento nei due secoli successivi: non vi fu alcun ripensamento né alcun ulteriore trasferimento di competenze dagli stati alla federazione, perché la questione era stata chiarita una volta per tutte fin da subito [...]”. Questa affermazione non è solo approssimativa, è anche sbagliata. La Costituzione del 1787, proprio sul punto che riguarda l’istituzione delle milizie statali, fu emendata a partire dall’anno stesso in cui entrò in vigore, nel 1789, quando iniziò la discussione sui Bill of Rights, la cui approvazione era la condizione posta da alcuni Stati per la ratifica della Costituzione. Con i Bill of Rights venne introdotto il Secondo emendamento che recita: «A well regulated Militia, being necessary to the security of a free State, the right of the people to keep and bear arms, shall not be infringed»**. C’è stato quindi un cambiamento sostanziale tra la Costituzione originaria e la successiva approvazione dei Bill of Rights. Come è stato osservato da alcuni storici, “while the Constitution defines what the national government can do, the Bill of Rights (the first ten amendments) tells the national government what it cannot do, and one prohibition is that the national government cannot monopolize military power” (Millett A. R., Maslowski P., Feis W. B., For the common defense – A military history of the United States from 1607 to 2012, 2012).

La particolarità dell’esperienza americana, per quanto riguarda l’organizzazione della difesa comune, è stata l’oggetto di notevoli contributi sul funzionamento delle istituzioni di un sistema federale e che occorrerebbe leggere o, se necessario, rileggere. Il primo di questi contributi è quello di Wheare (Wheare K. C., On federal government, 1951) che dovrebbe essere letto nella versione originale in inglese, in quanto la traduzione italiana è pessima, tanto che si ricava un’impressione errata del funzionamento di un sistema federale. Wheare, a proposito della federazione americana, afferma che “there were thus contemplated by the constitution of the United States two kinds of military forces in the country, the state militia under the command of the governor, and the army of the United States” e continua sostenendo che “along the federal governments, as I have defined them, the United States tolerated this dual system”.

Wheare non è stato l’unico a notare la specificità di questa esperienza. Samuel Huntington (Huntington S. P., The soldier and the State – The theory and politics of civil-military relations, 1957), partendo da una discussione sul controllo del potere civile sul potere militare, è giunto a conclusioni simili. “The militia clauses of the Constitution hamper civilian control in two ways. First, they give constitutional sanction to a semi-military force which can never be completely subordinated to military discipline nor completely removed from political entanglements. Secondly, they give constitutional sanction to a division of control over militia between the state and national governments which necessarily involves militia in the conflicting interests of the federal system. This unique combination of characteristics – part civilian and part military, part state and part national – tends to make the militia independent of the policy-making institutions”. Huntington prosegue, osservando che “the Framers had good reasons to prefer a militia force to a regular army. But there was little rational justification for splitting up the control of this force. As Madison said, this control did not seem in its nature to be divisible between two distinct authorities. Politics if not logic, however, forced the Framers, Madison included, to support dual control”. Singolarmente, Huntington, a proposito del potere militare, fa la stessa osservazione sociologica (“Politics if not logic”) che Albertini ha fatto a proposito del potere monetario, quando ha detto che “il punto decisivo mi sembra questo: bisogna accettare, e sostenere, contro la logica, una operazione graduale di unificazione monetaria precedente, e non seguente, la creazione di un potere politico europeo perché i protagonisti del processo per quanto riguarda l’esecuzione [...], non si comportano secondo criteri logici” (Albertini M., Tutti gli scritti, VI. 1971-1975, 2008). Questa, mi pare, è l’osservazione cruciale che hanno fatto Albertini e Huntington a proposito dei processi politici e che possono portare a soluzioni istituzionali che solo il formalismo giuridico impedisce, non solo di vedere, ma anche di concepire.

A proposito del doppio controllo, statale-federale, della milizia, Huntington prosegue, osservando che “The exercise of these authorities can be divided into two periods. From 1792 to 1903, the militia was under state control in time of peace and dual control in time of war. After 1903 the militia was under dual control in time of peace and national control in time of war”. Va da sé che quest’ultimo periodo è quello in cui le istituzioni federali hanno cominciato ad indebolirsi.

Il problema di fondo, però, non è tanto la constatazione di un sistema di difesa basato sulla “dual army”, né quello del “dual control” statale e federale sulla milizia, bensì quello delle ragioni per cui si è ritenuto indispensabile, da parte degli Stati membri della federazione americana, istituire le milizie statali. Anche su questo punto, Wheare è esplicito. “The argument for state troops – afferma – is put in this way. They are needed to maintain internal order and to defend the state against external aggression, whether from other states, from general government or from foreign countries. In the United States the constitution provided for these needs”. “To defend the states against external aggression, whether from other states, from general government or from foreign countries”: più chiaro di così. La rilettura di Wheare, a questo punto, è indispensabile.

In teoria, si potrebbe obiettare che le previsioni ricordate da Wheare non si sono mai verificate. Ma anche questo non sarebbe del tutto vero e due vicende – di segno opposto -, una delle quali drammatica, lo stanno a dimostrare. La prima è la guerra anglo-americana del 1812-14, quando Presidente degli USA era Madison. In questo caso, gli Stati del New England, a maggioranza federalista, di fatto si rifiutarono di rispondere alla mobilitazione presidenziale delle milizie statali, perché contrari alla guerra contro la Gran Bretagna (in verità, non si limitarono a questo, in quanto diedero via libera alle truppe britanniche che poterono raggiungere Washington). La seconda è la Guerra di secessione, avviata da un conflitto provocato dalle milizie statali della Carolina del Sud (Cornell S., A well regulated militia – The Founding Fathers and the origins of gun control in America, 2006).

Delle competenze - concorrenti o condivise - in materia militare si è appena detto. Resterebbe da esaminare la parte relativa alla politica estera. L’articolo citato all’inizio afferma che “la possibilità di avere un potere di comando militare concorrente a quello centrale non è mai stata presa in considerazione, e lo stesso vale per la politica estera, che non può essere disgiunta dal primo”. Anche in questo caso, bisognerebbe rileggere il testo di Wheare.

Wheare, analizzando le costituzioni delle principali federazioni, tra cui quella americana, discute delle competenze in materia di politica estera, facendo una distinzione che in uno Stato unitario, generalmente, non ha senso, ma che è invece fondamentale con riferimento ad un’unione federale. Wheare, infatti, invita a distinguere tra il momento dell’approvazione di un trattato commerciale con paesi terzi – che è il principale strumento di una politica estera – il quale è una competenza esclusiva del livello federale, e quello della sua attuazione che, invece, deve essere condivisa con gli Stati membri. È proprio quest’ultima fase che distingue le federazioni dagli Stati unitari ed è qui che l’azione del governo federale deve tenere conto delle competenze esclusive degli Stati membri, modificando, se necessario, il trattato. Storicamente, il confronto tra governo federale e governo degli Stati membri si è rivelato difficile nel caso delle Province canadesi, ma anche negli USA sono gli Stati membri ad avere l’ultima parola, tanto che quando uno Stato terzo firma un trattato con gli USA non sa se questo entrerà in vigore, almeno fino a quando il Senato, a maggioranza dei due terzi, non lo avrà ratificato. A questo proposito, è bene ricordare che la maggioranza dei due terzi significa che un terzo degli Stati, che rappresentano solo il 7% della popolazione americana, può bloccarne l’approvazione. A fine 2017, ben 45 trattati, alcuni di importanza cruciale per la tutela dell’ambiente e la protezione dei diritti sociali, erano ancora da ratificare, anche se l’esempio storicamente più rilevante è stato la bocciatura dell’adesione alla Lega delle Nazioni. Ancora una volta, Wheare, a proposito della politica estera nelle unioni federali è stato lapidario, quando ha affermato che “indeed those circumstances which make federalism essential and unavoidable are likely to make this division of power in the control of foreign relations [tra esecutivo federale e governi statali] also essential and unavoidable”.

Per concludere, si solleva qui un punto su cui sarebbero indispensabili riflessioni approfondite. Madison, nel Federalist Paper n. 51, fa due affermazioni: “if men were angels, no government would be necessary. If angels were to govern men, neither external nor internal controls on government would be necessary”. Di qui il sistema di checks and balances che contraddistingue il sistema costituzionale americano. È molto probabile che l’istituto delle milizie statali sia stato previsto in questo contesto. Ci si potrebbe però porre la domanda in termini più generali e provare a rispondere al quesito che Karl Jaspers si è posto nel libro scritto alla fine degli anni ’40 del secolo scorso (Jaspers K., Origine e senso della storia, 2014). Jaspers, alla luce delle innovazioni tecnologiche nel settore dei trasporti e delle comunicazioni, sostenne che l’umanità era avviata verso l’unificazione politica a livello mondiale, ma aggiungeva anche che non si poteva ancora dire se questo sarebbe avvenuto nella forma di un impero o di una federazione.

Premesso che, nel tentativo di provare a dare una risposta all‘interrogativo di Jaspers, ci si muove su un terreno incerto, l’esperienza americana – anche alla luce delle considerazioni di Madison – può, forse, dare una risposta, nel senso che, per un lungo periodo di tempo, probabilmente, gli Stati membri della federazione mondiale dovranno essere dotati di una competenza condivisa – se non concorrente – con il governo mondiale, su forze armate statali. Non ci si troverebbe di fronte ad una previsione del tutto campata in aria. Si tratterebbe, di fatto, del riconoscimento di un “diritto di resistenza” degli Stati membri di una federazione mondiale, nel caso di derive autoritarie da parte del governo mondiale. Questo istituto – su cui Kant non era d’accordo – era previsto, ad esempio, dalle costituzioni francesi del 1791 e del 1793, verosimilmente per difendere i valori appena conquistati della libertà e della democrazia. Ma esso è attualmente riconosciuto anche da alcune costituzioni federali. Per fare un esempio, le costituzioni dei Lander dell’Assia, di Brema e di Brandeburgo, prevedono il diritto di resistenza e la stessa costituzione della Repubblica federale tedesca lo prevede all’art. 20.4. Si tratta, ovviamente, di un tema molto complesso che qui si vuole solo accennare e che, come detto, richiede una discussione più approfondita. Ma l’esperienza federale americana, indubbiamente, ha affermato un principio di cui potrebbe essere utile tenere conto.

L’articolo citato all’inizio, e che ha dato spunto a queste note, inquadra gran parte delle sue critiche nel contesto di una discussione sul gradualismo piuttosto che su un passaggio “secco” delle competenze in materia di difesa e di politica estera al livello europeo. Premesso che, con riferimento ad un sistema federale, il tema, posto in questi termini, non ha molto senso, in quanto si parla di competenze condivise (nel caso specifico, un termine forse più corretto di “concorrenti”), l’articolo dimentica che il Trattato di Lisbona, all’art. 24 TUE, afferma che “La competenza [sottolineo “competenza”] dell’Unione in materia di politica estera e di sicurezza comune riguarda tutti i settori della politica estera e tutte le questioni relative alla sicurezza dell’Unione, compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune”. Come è noto, il problema è il voto all’unanimità in queste materie, ma continuare a non vedere, come fa l’MFE, che è possibile avviare un’iniziativa specifica per il passaggio al voto a maggioranza, mi sembra incomprensibile. Nel frattempo, la Commissione ha presentato delle proposte in merito, su cui l’MFE continua a tacere.

Come si è detto all’inizio, nelle nostre discussioni si tende sempre a dimenticare che quando un gruppo di Stati decide di associarsi e, per farlo, sceglie la via della federazione, lo fa perché c’è divergenza di interessi (salvo, ovviamente, il motivo di fondo dell’associazione che, nel caso americano ed europeo, è stato la pace) e non omogeneità di interessi, altrimenti si sceglierebbe la via dello Stato unitario: è per questo che siamo federalisti.

* Purtroppo, su Eurobull circolano anche informazioni non corrette. Una, in particolare, non deve passare sotto silenzio (https://www.eurobull.it/l-importante-sfida-delle-prossime-elezioni-europee). Nell’articolo in questione si afferma che “Solo con una lunga battaglia politica portata avanti da Altiero Spinelli, gli europei hanno ottenuto l’elezione diretta dei loro rappresentanti nel Parlamento”. Quest’affermazione non corrisponde al vero. La battaglia per le elezioni dirette del Parlamento europeo è stata voluta e condotta da Albertini. Spinelli era indifferente, se non scettico, salvo ricredersi qualche anno dopo l’avvio dell’iniziativa federalista, impegnandosi attivamente, prima, nella delegazione italiana al Parlamento europeo e poi presentandosi come candidato alle elezioni europee. La frase citata, quindi, più di un errore madornale, è un’ingiustizia nei confronti dell’opera di Albertini.

** Il Secondo emendamento, oltre a costituire la base giuridica per l’organizzazione di milizie statali, è oggi il principale ostacolo alla regolamentazione della vendita di armi ai privati cittadini.

Fonte immagine: Wikipedia.

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