“Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie (…) Il fronte delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa tra le classi e categorie economiche. Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati al comando (...) nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere (…). Il punto sul quale cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno far presa sul sentimento popolare più diffuso (…) più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. Se questo scopo venisse raggiunto, la reazione avrebbe vinto. Potrebbero pure questi stati essere in apparenza largamente democratici e socialisti: il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo (…). Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione”
La lettura di queste pagine del capitolo “Compiti del dopoguerra. L’unità europea” mostra la grande preoccupazione che avevano i federalisti di Ventotene circa la configurazione che avrebbe potuto assumere l’Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale. Era forte il timore che, sconfitto il nazifascismo - per loro era una certezza, anche se le armate hitleriane avevano soggiogato quasi tutto il continente europeo (il Manifesto fu redatto nell’estate del 1941!) - gli Stati europei si fossero ricostituiti secondo il sistema delle sovranità nazionali assolute. In tal caso, a loro avviso, si sarebbe riprodotta la stessa conflittualità sociale e politica che aveva caratterizzato il primo dopoguerra.
E per capire se si fosse ripetuto o no quell’errore puntano diritto il dito su un elemento chiaro e di immediata identificazione: “Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale”. Non c’è bisogno di una lunga analisi per spiegare come sarebbero andate le cose, c’è subito l’indicazione, in modo lucido e preciso, dell’elemento che avrebbe determinato il futuro corso politico dell’Europa: il livello – nazionale oppure europeo – della lotta politica. Perché è questo elemento che determina le forme, gli strumenti e anche gli esiti della lotta stessa. Se dovesse restare un quadro esclusivamente nazionale della lotta politica, l’esito non potrà che essere quello di una riaffermazione di stati a sovranità nazionale esclusiva. E in tal caso sarebbero riemerse tutte le conseguenze negative che già si erano manifestate nel periodo tra le due guerre mondiali.
Dunque, la prima discriminante che i federalisti pongono a Ventotene è quella del “livello” della lotta politica: nazionale oppure europea. Ed è proprio sulla base di questa discriminante che poi potranno individuare la famosa nuova linea di divisione tra progresso e conservazione. E l’ulteriore conseguenza che tirano da questa prima discriminante è che se la lotta politica dovesse restare a livello nazionale sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie.
Aporia è il termine con il quale, nel greco antico, s’indicava una situazione senza sbocco – etimologicamente, priva di (a)- passaggio (pòros) – cioè, insormontabile, che non consente una soluzione. Una situazione che in politica porta ad un’acutizzazione dei problemi, ad una crisi senza uno sbocco positivo. Dunque, per gli autori del Manifesto, se, dopo la guerra, si dovesse ripercorrere la strada della “restaurazione dello stato nazionale”, l’Europa ripiomberebbe in una situazione ingovernabile, senza sbocco, cioè aporetica.
Noi sappiamo che, invece, dopo la seconda guerra mondiale, anche per merito delle battaglie dei movimenti federalisti ed europeisti, si avviò un altro percorso, quello del processo d’integrazione europea, sia pur favorita dal quadro atlantico all’interno del quale nacque e si sviluppò. È pur vero che furono ri-costituiti gli apparati politico-amministrativi degli stati nazionali, ma nel contempo vennero create le istituzioni europee, dando così vita ad un grande esperimento politico di condivisione della sovranità, non più monopolio esclusivo dello stato-nazione, bensì multi-livello. È pur vero che, in questi sessant’anni di vita europea, la lotta politica è rimasta ancora confinata sul piano nazionale, ma gli effetti negativi sono stati bilanciati dal trend positivo di un’integrazione economica, sociale e politica che avanzava continuamente.
La crisi del processo di unificazione europea di questi ultimi dieci anni, con la divaricazione che si è determinata tra istituzioni e opinione pubblica, ha riproposto la questione del livello della lotta politica, nei termini essenziali indicati in questi passi del Manifesto. L’Unione Europea è avanzata nella costruzione del mercato interno e nello sviluppo della libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali; si sono sviluppati i poteri del Parlamento europeo e codificate le norme fondamentali della cittadinanza europea; sono state create la moneta unica e le regole dell’unione monetaria e (parzialmente) economica. Ma la crisi economica e finanziaria ha colto l’Europa senza un governo politico e l’Unione è precipitata in una crisi profonda. Sarebbero necessarie scelte politiche europee coraggiose, sulla base di una lotta politica europea, entro istituzioni europee legittimate democraticamente.
Ci troviamo invece in una situazione in cui la lotta politica è ancora nazionale rispetto al punto decisivo: il potere di produzione e riproduzione del consenso politico. È questa la contraddizione di fondo, la nuova “situazione senza sbocco”, la nuova aporia, che si è prodotta e che ha finito per riproporre le immagini del passato, già identificate dagli autori del Manifesto: il fronte delle forze progressiste si è «frantumato nella rissa fra classi e categorie economiche», le forze reazionarie si «presentano ben camuffate, si proclamano amanti della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere». I movimenti nazionalisti e populisti d’ogni specie rivendicano il ritorno della sovranità nazionale, facendo leva sul sentimento popolare più diffuso, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. Abbiamo visto, in questi anni, formazioni politiche di vario tipo ricorrere al mito della nazione nella propaganda politica (prima “i nostri”), nelle proposte economiche (sovranità monetaria) o sulla sicurezza (ripristino delle frontiere) ed altro ancora.
Sono queste le nuove/vecchie aporie, situazioni che non presentano soluzioni perché puntano a mettere la democrazia e la sovranità in contrasto con l’unificazione europea. Fintantoché la lotta politica resterà ancora nazionale, le forze della conservazione avranno buon gioco a dire che l’unica forma di democrazia è quella nazionale e che la sovranità popolare sta solo nella nazione.
Era già chiaro agli autori del Manifesto che «se questo scopo venisse raggiunto, la reazione avrebbe vinto». Anche se i neo-nazionalisti si presentassero con programmi largamente democratici e socialisti il ritorno al potere delle forze reazionarie «sarebbe solo questione di tempo». Per questo, oggi come allora, «Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani».
Dunque, oggi, come allora, si pone il problema della sovranità europea, di quanta e di quale sovranità occorre trasferire alle istituzioni europee per evitare il riemergere delle vecchie aporie.
E la cartina di tornasole è data, oggi più di ieri, dal livello cui si colloca la lotta politica: occorre che questa esca dal campo nazionale e diventi europea. È questa la vera spia che ci dirà se sta nascendo o meno il potere europeo. Oggi occorre battersi per creare una lotta politica europea, attorno ad un programma europeo di governo, non in astratto, ma nella concretezza delle “prime risorse proprie” da assegnare ad un bilancio dell’Eurozona e delle prime forme di una sicurezza europea, attraverso il meccanismo delle cooperazioni strutturate permanenti.
Le prossime elezioni europee del 2019 ci diranno se la lotta politica per un potere europeo è cominciata veramente. Per sconfiggere definitivamente le vecchie e le nuove aporie.
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