Le prime storiche elezioni del Parlamento europeo

, di Andrea Aiace Colombo

Le prime storiche elezioni del Parlamento europeo
Foto di Communautés européennes 1979 - EP - Source: EP Multimedia Centre

Quelle del prossimo giugno saranno solo le decime elezioni a suffragio universale del Parlamento europeo. Era il 1979 quando l’Istituzione divenne espressione diretta della volontà dei cittadini in Europa, segnando una data storica nel processo di integrazione europea. Da allora, l’Unione europea è cambiata, come le sue Istituzioni, ma certe problematiche relative al Parlamento sono ancora lì.

Tra il 6 e il 9 giugno 2024, 360 milioni di cittadini europei saranno chiamati a votare per eleggere i 720 membri del Parlamento europeo. Sarà la decima tornata elettorale da quando, nel 1979, cominciò a essere eletto direttamente con suffragio universale. Da allora, le Istituzioni europee sono cambiate profondamente e così anche il ruolo del Parlamento, ma le principali problematiche sono ancora presenti, sotto diverse forme. La storia del Parlamento europeo è esemplare delle tensioni e dei dibattiti che hanno segnato l’evoluzione storica del grande esperimento politico che chiamiamo Unione europea. Ricostruirne i tratti salienti è quindi più che mai utile.

L’antenato del Parlamento europeo iniziò le proprie attività nel 1952, con il nome di Assemblea Parlamentare europea, in quanto organo deliberativo e di controllo nell’ambito della neonata CECA. All’epoca – e fino al 1979 – era composta da rappresentanti nominati dai Parlamenti nazionali degli Stati membri e i suoi poteri erano molto limitati. Per lo più, l’Assemblea esprimeva pareri non vincolanti su richiesta degli altri organi. Il potere più importante risiedeva nella possibilità di emendare il bilancio comunitario, ma senza che ciò costituisse un vincolo per le altre Istituzioni. Il ruolo che l’Assemblea ha rivestito negli anni ’50 e ’60 rispondeva a un preciso progetto politico, abbracciato dai primi padri del progetto europeo (come Jean Monnet), che poneva il liberalismo e l’economia di mercato al centro, nella convinzione che la tecnocrazia fosse una garanzia di buon governo del mercato e di successo dell’organizzazione comunitaria, essendo capace di sterilizzare le divisioni politiche che avevano dilaniato l’Europa nei decenni precedenti. L’inquadramento del progetto europeo in un quadro economico e giuridico permise di superare le reticenze degli Stati a rafforzare la politica comune e di porre l’equilibrio e l’efficienza del sistema al di fuori dello scontro politico. Tale approccio riconosceva nelle Istituzioni gli attori chiave del processo di integrazione europea e poneva il quadro tecnico-istituzionale come precondizione della nascita di un senso di appartenenza a un’entità comune. Gli individui erano attori del mercato prima che cittadini europei [1].

Non un “deficit democratico” accidentale, dunque, ma una precisa impostazione i cui strascichi persistono tutt’oggi, resistendo a decenni di pressioni e dibattiti che vorrebbero l’Unione orientarsi in altro senso. Protagonisti di tale tentativo furono molti pensatori dell’unificazione europea, primo fra tutti Altiero Spinelli, e i movimenti federalisti, che trovarono nel Parlamento europeo degli anni ’70 un valido alleato, deciso a creare un sistema comunitario basato su principi democratici e partecipativi [2]. I decenni che precedettero il 1979 videro il Parlamento spendersi nel tentativo di trasformare i cittadini degli Stati membri in cittadini europei, da attori del mercato unico ad attori politici. Il problema principale rimanevano i suoi limitati poteri, che ne inficiavano la capacità di azione e influenza – e quindi la legittimità – nel caso avesse ottenuto l’elezione diretta. Approfondire il processo di integrazione europea, legittimando tramite un processo di democratizzazione, richiedeva quindi di agire su due fronti: includere i cittadini nel processo decisionale – ossia indire delle elezioni dirette per il Parlamento europeo – e rafforzare i poteri attribuiti a tale Istituzione, in modo da renderla incisiva. Se in un primo momento il Parlamento decise di affrontare le due questioni separatamente, nella speranza di ammorbidire il cambiamento e ottenere il favore degli Stati, ben presto ci si rese conto dell’indivisibilità delle questioni: non si trovava un accordo sull’ordine con cui affrontarle. Per Spinelli e altri federalisti, l’ampliamento dei poteri del Parlamento era precondizione perché esso assumesse legittimità e si guadagnasse il ruolo di attore rappresentativo dei cittadini che l’avrebbero eletto. Per altri sarebbe stata l’elezione diretta e quindi la legittimità a conferirgli l’autorevolezza di cui necessitava per imporsi successivamente verso le altre Istituzioni europee.

Alla fine, nel modo più classico, la svolta avvenne sulla falsariga del famoso motto d’oltreoceano “no taxation without representation”. Quando il Trattato del Lussemburgo (1970) e il Trattato di Bruxelles (1975) ampliarono il sistema di risorse economiche proprie della Comunità e le attribuirono un potere di prelievo fiscale, il coinvolgimento dell’Assemblea Parlamentare non poteva più essere rimandato. Accrescerne la rappresentatività tramite elezione diretta diventò una necessità “costituzionale”; passaggio necessario per legittimare i nuovi poteri acquisiti. L’agitazione sociale del ’68 e il bisogno di controbilanciare la perdita di centralità dei Parlamenti nazionali dopo la crisi economica dei primi anni ’70 contribuirono alla svolta [3].

Tra il 7 e il 10 giugno 1979 si presentò ai seggi il 62% degli aventi diritto, una percentuale che deluse molti, in un periodo storico in cui l’affluenza alle elezioni nazionali era sensibilmente più alta. A ottenere più voti fu il gruppo dei socialisti, seguito dai popolari e dai democratici europei. In Italia, la Democrazia Cristiana prese il 36% dei voti, seguita dal Partito Comunista di Berlinguer con il 29% [4].

La questione dell’affluenza, in questo senso, è importante e merita qualche parola. Spesso percepite come elezioni di secondo livello, la partecipazione alle elezioni europee è andata calando dal 1979 ad oggi, ad eccezione dell’ultima tornata, nel 2019. La bassa affluenza è sempre stata indicata come sintomo di una disaffezione dei cittadini europei verso le Istituzioni che dovrebbero rappresentarli, sia essa per disinteresse, per scoraggiamento o per ostilità verso il processo di integrazione. Ma il quadro è più complesso di come sembra. Nel 1979, un terzo dei votanti viveva in Paesi dove il voto era obbligatorio, una percentuale diminuita notevolmente con i progressivi allargamenti dell’Unione. Il calo di affluenza, quindi, può essere, almeno in parte, frutto di una falsa percezione. Inoltre, se confrontato con le elezioni di altre assemblee “federali”, come le elezioni di mid-term statunitensi o quelle federali svizzere, il dato sull’affluenza in Europa non sembra così fuori scala. Tuttavia, se è condivisibile l’ipotesi per cui è fisiologico che in un sistema federale – o ad esso in qualche modo simile, come l’Unione europea – l’affluenza alle elezioni federali sia minore rispetto a quella alle elezioni statali, per via di una minore identificazione in Istituzioni percepite come più distanti, è anche vero che casi come la Germania ci mostrano una realtà diversa, e l’affluenza alle urne resta condizionata da una molteplicità di fattori difficilmente semplificabile. Ma soprattutto è innegabile che, al di là delle percentuali di affluenza alle urne, la cittadinanza europea non si è ancora trasformata nel sentimento di identificazione e appartenenza comune cui molti avevano aspirato [5].

In questo senso, i temi e i confronti che portarono alla prima elezione diretta del Parlamento Europeo nel 1979 sono più che mai attuali. Oggi, quarantacinque anni dopo quelle storiche elezioni, il Parlamento ha ampliato i propri poteri e prerogative, entrando a pieno titolo nella procedura legislativa ordinaria dell’Unione con il Trattato di Lisbona (2007). È stato l’organo più attivo nella lotta per il rafforzamento in chiave politica dell’integrazione europea, con la convinzione che la creazione di un legame di cittadinanza fosse l’unico modo per realizzarla. Le elezioni dovevano essere lo strumento per creare e legittimare tale legame; condizione necessaria per un futuro sviluppo in senso federale. Nel corso del tempo la sfera politica ha sicuramente assunto maggiore importanza e il Parlamento europeo ha oggi un maggiore potere decisionale, ma la democratizzazione del sistema-Europa non può dirsi conclusa. Lo sforzo messo in campo per la creazione di “cittadini europei” sembra essersi fermato al livello di “elettori europei” e il passo successivo è ancora da compiere [6]. L’integrazione istituzionale non sembra aver generato l’integrazione identitaria sperata e il Parlamento stesso è lontano dall’essere un organo che rappresenti un popolo europeo sovrano. È infatti composto da quote di parlamentari attribuite agli Stati membri, che fungono inevitabilmente da entità intermediarie; ostacoli frapposti tra le Istituzioni europee e un popolo europeo (non ancora) concepito come unità indistinta.

Note

[1Bin, Roberto, Paolo Caretti, e Pitruzzella, Giovanni. 2015. Profili costituzionali dell’Unione europea. Bologna: Il Mulino.

[2Kaiser, Wolfram. 2024. Federalism in the European Parliament. From Ventotene to the Spinelli Group. European Parliament History Series.

[3Pittoors, Gilles. 2024. The European Parliament, its powers, and the 1979 European elections. European Parliament History Series.

[5Bertoncini, Yves. 2014. European elections: the abstention trap. Jacques Delors Institute.

[6Pittoors, Gilles. 2023. The European Parliament and the European citizen as voter. European Parliament History Series.

Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom