Lettera aperta a Wu Ming

, di Marco Zecchinelli

Lettera aperta a Wu Ming

Caro Wu Ming 1,

ho ascoltato la presentazione del tuo libro “La macchina del vento” a Fano, in una bella serata di luglio. È stato un incontro piacevole, e non privo di una certa grazia: è difficile parlare per un’ora di un romanzo senza svelare troppo della trama e lasciando il pubblico con la curiosità di leggerlo. Tuttavia, come ho avuto modo di dirti velocemente al termine dell’incontro, non concordo affatto con la lettura che hai dato della figura di Spinelli e del valore del Manifesto, così come è uscita dal tuo intervento quella sera. Riporto a beneficio dei molti che non c’erano le tue parole, trascritte quasi stenograficamente (l’audio è ascoltabile qui):

“Da una ventina d’anni a questa parte, quando si parla di Ventotene, la si definisce con una serie di cliché snervanti: «Ventotene, culla dello spirito europeo», oppure «Ventotene: dove nacque l’Unione Europea». Sono delle esagerazioni, chiaramente in chiave mitologica: perché l’Unione Europea si è scelta questo mito delle origini, l’idea di confinati antifascisti che previdero l’Unione Europea e scrissero questo testo futuribile e anticipatorio, che si chiama Manifesto di Ventotene. Questo è tutto mito. Una serie di banalizzazioni, buone per i politicanti, che citano il Manifesto di Ventotene avendone letto solo il titolo; peraltro questo è un titolo che è stato dato ex post: quel testo che fu scritto al confino da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi si intitolava «Per un’Europa libera e unita». Ed è vero che in quel testo loro dicevano che bisognava fare l’Europa Unita, la federazione europea, però è anche vero che quando lo fecero leggere agli altri confinati fu rigettato con grande violenza, perché conteneva delle cose che alla maggior parte dei confinati di Ventotene suonavano inaccettabili. Perciò è un testo che non ricevette quasi alcun consenso, e che anche per lunghi decenni a seguire rimase assolutamente di nicchia; salvo poi negli ultimi venti anni essere sovraccaricato di senso, di immaginario, perché forse anche il processo di unificazione europea ha mostrato serie magagne, serie crepe: l’immagine dell’Unione Europea si è appannata e quindi si è scelto di investire fortemente in questo mito delle origini nobili. Però in realtà nessuno l’ha letto davvero. In quel testo di Spinelli c’è scritto che tutti i settori strategici dell’economia vanno nazionalizzati: quella parte lì nessuno la cita, nessuno la tira fuori; vengono citate alcune petizioni di principio, altisonanti, però vacue, fuori dal loro contesto. Quello che in realtà viene criticato, sull’isola, è che Spinelli dice che l’Europa unita va costruita dall’alto, senza un coinvolgimento diretto delle popolazioni perché non capirebbero; l’Europa va costruita grazie all’intervento di una élite di illuminati che si costituiscono in partito rivoluzionario, e che dall’alto «senza perdere troppo tempo coi processi democratici» costruisca l’Unione Europea. Per esempio, c’è scritto che i lavoratori, la classe operaia, non possono capire questi ideali, perché loro si occupano di piccole cose come gli aumenti di salario. È una roba tutta elitaria, tutta calata da sopra: e quindi gli altri confinati questa cosa gliela rigettano con forza; viene da pensare che del Manifesto di Ventotene si sia applicata solo la parte del processo calato dall’alto, mentre tutto il resto sia stato lasciato da parte. C’è stato un prelievo selettivo del testo, che in realtà quasi nessuno di quelli che lo citano ha letto: perché appunto dentro ci sono delle cose che oggi suonerebbero addirittura sovversive, mentre c’è quella tara lì che tra l’altro fu la causa di violenti dissidi sull’isola, tanto che i due estensori vennero ostracizzati dalla comunità dei confinati. Addirittura, dovettero aprirsi una mensa tutta loro in cui mangiare tra loro, in sette od otto, perché per esempio Ernesto Rossi non poteva più andare a mangiare in quella di Giustizia e Libertà: perché lui era di Giustizia e Libertà, ma con gli altri giellisti si erano tolti addirittura il saluto. Ci raccontano che sull’isola venne scritto questo prometeico Manifesto di Ventotene, si aprirono i cieli, gli arcangeli suonarono le trombe e da lì iniziò il processo che avrebbe portato all’Unione Europea: in realtà non andò assolutamente così, è appunto mito delle origini.”

Quali sono i motivi del mio profondo dissenso? Non quelli che ti sei affrettato a discutere la sera stessa: so bene che è (quasi) tutto scritto, e che molto di ciò che dici sono parole che vengono dall’autobiografia di Spinelli, più o meno fedelmente. Ma se Mario Leone e Antonella Braga ti hanno già risposto più diffusamente su alcuni errori filologici e storici della tua lettura del Manifesto, a me preme discutere di politica. Non per convincerti di nulla, impresa forse velleitaria con chiunque, ma per parlare (anche) agli stessi federalisti, che mi sembra abbiano mancato il punto nell’analizzare il tuo romanzo.

Perché la questione centrale è che, sebbene tu faccia benissimo a dire che il Manifesto rimase inutilizzato e dimenticato (è lo stesso Spinelli nella sua autobiografia a ricordarlo), è assai meno evidente che fu così perché gli stessi autori lo ritenevano sorpassato già pochi mesi dopo. E uno dei motivi principali per cui venne accantonato fu proprio il passaggio sul partito rivoluzionario; cito dall’autobiografia: “Tutta la parte finale che invocava la necessità di un partito rivoluzionario federalista si è anche rivelata caduca, perché l’esigenza, giusta, di una guida consapevole della necessità di guidare e non di seguire le masse e i loro moti, era espressa ancora in termini troppo rozzamente leninisti”.

Il Manifesto non fu mai uno strumento di azione politica per i federalisti, e non fu mai più (dopo la liberazione) oggetto di riflessione per Spinelli, che non ebbe problemi ad accantonarlo: quando scrive l’autobiografia, nella prima metà degli anni Ottanta, lo considera semplicemente “atto di nascita della più coerente azione federalista in Europa”. Questo è, niente di meno e niente di più; e questo dovrebbe essere anche e forse soprattutto per noi federalisti: non credo ci sia bisogno di “testi sacri” da difendere, laddove non siano (più) adeguati o attuali per la nostra battaglia politica per l’Unità europea. Il Manifesto (purtroppo o per fortuna) non è mai stato attuale e adeguato in molte sue parti, salvo un paio: sempre per tornare alle parole di Spinelli, “il Manifesto conteneva inoltre alcuni errori politici di non lieve portata [...] Ciononostante, il Manifesto è stato ed è ancora un testo vivo e significativo per molti suoi lettori, soprattutto grazie a due idee politiche che gli erano proprie. La prima era che la federazione non era presentata come un bell’ideale, cui rendere omaggio per occuparsi poi d’altro, ma come un obiettivo per la cui realizzazione bisognava agire ora, nella nostra attuale generazione. Non si trattava di un invito a sognare, ma di un invito ad operare. La seconda idea significativa consisteva nel dire che la lotta per l’unità europea avrebbe creato un nuovo spartiacque fra le correnti politiche, diverso da quello del passato”.

Anche questo è riportato chiaramente nell’opera di Spinelli, e trovo curioso che chi come te ha saputo cogliere l’importanza della distinzione tra “linguaggio del giorno” e “linguaggio della notte” non sia stato attento o non abbia creduto al testo cui altrove si attiene così fedelmente. Ovviamente il tuo libro non può occuparsi molto di quella che fu la battaglia di Spinelli dalla fine della guerra alla sua morte, e quindi i lettori meno informati potrebbero avere l’impressione che Spinelli sia stato l’ispiratore di un modello di Unione Europea elitario e anti-democratico: tra noi federalisti è invece ben noto quanto i pochi aspetti democratici dell’attuale modello istituzionale debbano al suo lavoro e alle sue lotte, e non ho modo di riassumerlo qui.

Mi limito a farti presente, con un paragone irriverente e caustico (sia per un comunista che per un federalista: e Spinelli fu convintamente entrambe le cose, in periodi diversi della propria vita), che tra l’Unione Europea in cui viviamo e quella che avrebbe voluto costruire chi ha scritto il Manifesto a Ventotene c’è un po’ la relazione che esiste tra quanto avvenuto in Unione Sovietica e le idee di Marx. Con la non piccola differenza che, mentre non sappiamo cosa avrebbe pensato Marx dell’URSS, sappiamo benissimo quale fu il giudizio sulla costruzione europea da parte di Spinelli: e non fu affatto tenero.

Credo che un’opera letteraria di ambientazione storica abbia il diritto di prendersi delle licenze, anche molto forti, rispetto a ciò che racconta: soprattutto quando come nel tuo caso è un’opera che parla in un certo senso di fantascienza. E credo che, resti tra noi, sia da apprezzare la tua scaltrezza di autore: volevi parlare di Ventotene fin da quell’intervista sui confinati “mandati in vacanza” durante il fascismo; ma probabilmente Spinelli ha trovato davvero il suo posto nell’opera solo tre anni fa, quando la sua tomba è stata visitata da un terzetto di coloro che, come giustamente sottolinei, parlano del Manifesto forse senza mai averlo letto con attenzione. Mi pare che la sua figura gigantesca e la sua prima opera, evocativa e ormai piuttosto nota al pubblico, ti siano servite per far discutere del tuo romanzo “parlando male di Garibaldi”; ne hai fatto insomma un uso politicamente scorretto, o forse fin troppo corretto: non ti sarà sfuggito che da parecchio tempo è diventato il massimo del conformismo contestare da destra e da sinistra il più grande e duraturo spazio di pace, libertà e benessere mai costruito dall’uomo. Certamente questo avrà un suo ritorno in termini di fascino, di aura sovversiva, di scandalo dei borghesi e dei benpensanti europeisti all’acqua di rose (che non sopporto nemmeno io). L’arte è anche questo, ci sta.

Ma la politica no, la politica è un’altra cosa: e Altiero Spinelli è stato un uomo politico, certamente sui generis, tra i più importanti che l’Italia abbia avuto l’onore di veder nascere. Per questo, e per la nostra battaglia (politica e culturale) verso un’Europa più democratica, unita e libera, il suo esempio e la sua capacità di risorgere dalle sconfitte sono troppo importanti per lasciar passare sotto silenzio una volontaria distorsione come quella che ne hai fatto. E a cui, mi auguro, non credi fino in fondo nemmeno tu.

Riparliamone, se vuoi.

Fonte immagine: Flickr.

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