Libertà di stampa in pericolo: il caso del quotidiano “Domani” e la pratica SLAPP

, di Paolo De Gregori

Libertà di stampa in pericolo: il caso del quotidiano “Domani” e la pratica SLAPP

Il 3 maggio, nell’anniversario della Dichiarazione di Windhoek, si celebra la Giornata Internazionale della Libertà di Stampa, diritto inviolabile che dovrebbe essere garantito da ogni Stato liberale. Eppure, in Italia, il Governo stesso è stato ultimamente protagonista di numerose querele ai danni di quotidiani di informazione. La cosiddetta pratica SLAPP ha colpito anche l’editoriale Domani.

Come ogni anno, il 3 maggio abbiamo celebrato la Giornata Internazionale della Libertà di Stampa, un’occasione per riflettere sull’importanza fondamentale della libertà di stampa per una società democratica e informata. Questa giornata commemora l’anniversario della Dichiarazione di Windhoek, adottata nel 1991 durante una conferenza delle Nazioni Unite sull’indipendenza, l’equilibrio e l’imparzialità dei media. La libertà di stampa rappresenta uno dei pilastri della democrazia. È un diritto fondamentale che ogni Stato liberale dovrebbe garantire ai suoi cittadini per assicurare l’esistenza della libertà di parola e della stampa libera. Nello specifico in questo articolo andrò ad analizzare il caso del quotidiano “Domani”, la pratica SLAPP e la Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Magosso e Brindani c. Italia.

Il diritto alla libertà di stampa viene riconosciuto a livello nazionale, ad esempio, dalla Costituzione italiana del 1948, che all’art.21 recita “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Il diritto in questo caso è quello di manifestare un pensiero, e l’unico compito dello Stato è quello di evitare interferenze. Spostandosi nella giurisdizione internazionale, questa libertà assume una maggiore “completezza” nella definizione. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1966, infatti, all’articolo 19 parla della libertà di ogni cittadino di “cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere”. Si aggiunge quindi anche il diritto di cercare e ricevere le informazioni, che comporta un intervento attivo da parte dello Stato per favorire la pluralità dei media e l’accesso a tutte le informazioni. È ciò che in dottrina viene chiamato “obbligo correlativo”. Quindi, riconoscere la libertà di espressione a mezzo stampa significa da una parte non interferire nell’esercizio di tale diritto, ad esempio manipolando le informazioni in circolazione, o censurando articoli dei giornali, dall’altra agire attivamente per garantire il pieno accesso delle informazioni a tutti i cittadini.

Riconoscere un diritto umano quasi sempre comporta riconoscere anche la possibilità di limitarne l’esercizio, in quanto molto spesso esercitarne uno in maniera assoluta significa lederne un altro.

La tutela della libertà di stampa non fa eccezione: essa va bilanciata con la necessità di garantire il rispetto della reputazione individuale, diritto inviolabile «strettamente legato alla stessa dignità della persona». Questo equilibrio è riconosciuto all’art.10.2 della CEDU: “L’esercizio di questa libertà [...] può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie [...] alla protezione della reputazione o dei diritti altrui”. La tutela dalla diffamazione viene disciplinata anche dalla giurisdizione italiana, in particolare nell’Articolo 595 del Codice penale, secondo cui “Chiunque [...] offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1032 euro [...]. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro”. Quanto stabilito in nome della tutela dalla diffamazione può, nel concreto, rischiare di diventare un’arma che i politici usano contro i giornalisti, quando questi ultimi osano criticare le loro azioni.

Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento delle querele temerarie da parte del Governo italiano contro il mondo dell’informazione e del giornalismo. Un esempio concreto di questo fenomeno si è verificato il 7 marzo 2023, quando il sottosegretario al Ministero del lavoro, Claudio Durigon ha querelato il giornale “Domani” per una presunta diffamazione, contenuta in un articolo che metteva in dubbio la veridicità di alcune dichiarazioni riguardo all’approvvigionamento dei vaccini. Non avendo allegato l’articolo alla denuncia, si sono presentati due carabinieri nella redazione del quotidiano, allora diretto da Stefano Feltri, per aver accesso all’articolo in questione. La querela è stata poi ritirata, ma ha suscitato preoccupazioni per la libertà di stampa in Italia.

Questo episodio è riconducibile alla pratica c.d. “SLAPP” (Strategic Lawsuit Against Public Participation), il cui termine è stato coniato dai professori George W. Pring e Penelope Canan nel loro libro “SLAPPs: Getting Sued for Speaking Out” (1996). Con esso ci si riferisce generalmente a un’azione legale intentata da soggetti potenti (ad esempio un’azienda, un funzionario pubblico, un uomo d’affari di alto profilo) contro individui o organizzazioni che hanno espresso una posizione critica su una questione sostanziale di un certo interesse politico o significato sociale. Si nota chiaramente che la minaccia di una sanzione produce un effetto dissuasivo nei confronti dei giornalisti, soprattutto quelli freelance o appartenenti a testate più piccole, che non hanno modo di pagarsi avvocati o non hanno tempo per stare dietro a un processo.

Le leggi anti-SLAPP sono poco sviluppate in Europa, al contrario dei paesi anglosassoni. Tuttavia, il Parlamento Europeo ha provato a fare qualche timido passo in avanti adottando una risoluzione nel 2018, che invitava gli Stati membri a adottare normative inerenti a questa materia. Anche la Commissione Europea ha pubblicato una raccomandazione due anni dopo, nel 2020. La proposta, che vuole garantire l’equilibrio tra i diritti alla vita privata e la tutela della libertà di espressione e d’informazione, prima di poter diventare un atto legislativo dell’UE dovrà essere discussa e adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio.

Nel frattempo, la Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU) si sta già muovendo in questo senso. Il 16 gennaio 2020 ha pubblicato l’esito della sentenza MAGOSSO E BRINDANI c. ITALIA (Ricorso n. 59347/11). La questione esaminata dalla Corte di Strasburgo fa riferimento alla vicenda di due giornalisti condannati dai giudici italiani per aver pubblicato degli articoli diffamatori. Magosso raccontava di come il giornalista del Corriere della Sera, Walter Tobagi, morto assassinato, poteva essere salvato, poiché le forze dell’ordine avevano ricevuto segnalazioni circa la volontà di un gruppo armato di uccidere il giornalista. Il cronista, assieme a Brindani, l’allora direttore del settimanale “Gente”, ha dovuto affrontare un procedimento penale per diffamazione e sono stati condannati. Ricevendo la stessa sentenza anche in Cassazione, si sono poi rivolti alla Corte EDU per ottenere il riconoscimento dei loro diritti. La Corte ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla libertà di espressione dei due giornalisti (Art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo), ritenendo che il reato di diffamazione non si verifichi se il giornalista riporta dichiarazioni di terzi secondo le regole professionali. Ha inoltre dichiarato l’Italia responsabile di non aver disposto un’adeguata giurisdizione in materia di repressività del reato di diffamazione a mezzo stampa, ritenendo lo stesso art. 595 del Codice penale eccessivo nelle previsioni sanzionatorie, tanto da costituire un’ingiustificata ed indiretta limitazione alla libertà di espressione.

In conclusione, per proteggere la libertà di stampa è necessario che gli Stati adottino misure concrete, come l’introduzione di leggi anti-SLAPP, che scoraggino l’abuso del sistema legale per limitare la libertà di espressione. Allo stesso tempo, è fondamentale che le istituzioni europee si impegnino nella promozione di norme comuni a livello europeo per garantire la protezione dei diritti fondamentali e della libertà di stampa. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un forte declino della libertà di stampa, limitata in diversi paesi popolosi: Cina, India, Russia ma anche Turchia, Egitto, Indonesia, Ungheria. L’Italia è allineata all’Europa dell’Est e al Brasile, posizionandosi al 58° posto nella classifica del World Press Freedom Index, che valuta lo stato del giornalismo e il suo grado di libertà in 180 paesi del mondo. Anche nei paesi con una forte tradizione di libertà di stampa e un mercato dei media ricco e diversificato, però, ci sono limiti a ciò che il mondo dell’informazione può riportare. A mio avviso, la difficoltà delle Corti costituzionali e di quelle predisposte alla tutela dei diritti umani sta proprio nel trovare il giusto equilibrio tra queste due dimensioni, operando in una zona grigia, che però è fondamentale per il mantenimento dello stato di diritto.

Tuttavia, la protezione della libertà di stampa non può dipendere solo dalle leggi e dalle istituzioni. È un impegno che riguarda l’intera società, che deve essere consapevole dell’importanza dei media indipendenti e del ruolo che svolgono nel controllo del potere e nella promozione della trasparenza e dell’accountability. È responsabilità di tutti noi difendere la libertà di stampa e resistere a qualsiasi forma di censura o intimidazione. Solo così possiamo garantire la pluralità e la diversità della nostra società, fonti di ricchezza per tutto il continente.

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