Il 23 febbraio, a Pisa e a Firenze, si è verificato l’ennesimo scontro violento tra forze dell’ordine, in tenuta antisommossa, e cortei di manifestazione pro-Palestina. Non è il primo caso di abuso della forza, poiché di questo si tratta, imputabile alle forze dell’ordine: dal giuramento dell’attuale Governo a oggi, abbiamo assistito a un incremento nell’uso più libero e personalizzato dell’azione dei nostri militari, che sembrano rispondere direttamente agli orientamenti e accordi politici impartiti dalla maggioranza in carica. Un uso personale della forza, in tutte le sue forme e intensità, abbatte pericolosamente il principio democratico del nostro Stato.
Nella raccolta “dominiamo le proteste rischiose” non può non rientrare lo scontro del 14 febbraio avvenuto sotto la sede della Rai di Napoli. Anche in quel caso, le forze dell’ordine rispondono violentemente alla manifestazione di protesta contro il documento dell’Amministratore Delegato di viale Mazzini, Roberto Sergio, fatto leggere a Domenica In da Mara Venier dopo gli appelli di «stop al genocidio» e di “cessate il fuoco” lanciati al Festival di Sanremo rispettivamente dai cantanti Ghali e Dargen D’Amico. Buona parte dei telespettatori ha reagito con stupore e confusione alla svolta autoritaria che la trasmissione più amata dagli italiani ha assunto con una condanna così ferma all’utilizzo di spazi pubblici per rilanciare inni alla pace, considerati messaggi politici, anche se è evidente che l’obiettivo del comunicato non fosse rilanciare a neutralità e imparzialità, era, piuttosto, un rilanciare in tutto e per tutto a favore di Israele. Il comunicato è stato studiato in una dialettica buono-cattivo, con una vicinanza sentita al popolo d’Israele e nemmeno una considerazione per i morti della Palestina. L’unica osservazione posta all’altra area di conflitto è stata una condanna all’organizzazione terroristica Hamas. Non è forse questo un messaggio politico?
La sintonizzazione della Rai è fortemente politicizzata. Viste le posizioni, si può dire sia in dipendenza diretta degli ideali del Governo. Il diritto di parola e di pensiero in sostegno alla Palestina ha improvvisamente assunto un carattere eversivo e da condannare, trasformando la TV di stato in uno strumento di videocrazia alla Orwell.
Il 3 ottobre dello scorso anno, la protesta è a Torino. I collettivi studenteschi contro il caro affitti si organizzano per protestare contro l’arrivo del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in città. La reazione delle forze armate? Stesso paradigma. Il sensazionalistico “scatenate l’inferno” lo dà uno dei dirigenti delle forze armate: “Basta, hanno rotto il cazzo”. È sufficiente un cenno per innescare la carica della squadra antisommossa che, come la legione romana più valorosa, dopo una lunga attesa finalmente può rispondere al nemico. Come nei casi già menzionati, l’attacco è partito direttamente dai poliziotti e dai loro manganelli senza che i protestanti si fossero mostrati particolarmente eversivi. Dalle riprese si nota come le prime file del corteo non siano state messe in condizione di reagire, nemmeno verbalmente.
Il modello della forza sembra essere caro a questo Governo, sembra un magnete che attrae la già controversa morale delle forze dell’ordine. La tendenza dei pestaggi illeciti, in una funzione che si distacca dalla legittima azione mitigante delle tensioni sociali tipica delle forze di polizia, va ora verso quella intimidante, minacciosa, aggressiva, incrementata in maniera determinante rispetto al passato. È dai tempi degli autoritarismi, a parte qualche caso isolato, che non si assisteva ad una ripresa di caratteri così liberamente aggressivi, assunti, tra l’altro, per conto delle opinioni specifiche di un’area politica. La configurazione del rapporto Governo-forze dell’ordine ricorda in modo allarmante la struttura politica del cosiddetto “regime civile militare”, caratterizzato, per l’appunto, da uno stretto legame di interdipendenza tra le due parti. L’annientamento esclusivo di alcune specifiche manifestazioni, e non di altre, pone l’Italia in un processo di “democratura” con la limitazione progressiva dei diritti civili.
Ricordiamo tutti la grande affluenza ad Acca Larentia di quest’anno, incrementata rispetto a quelli passati. Nemmeno l’ombra delle forze dell’ordine. La protesta dei tassisti a Milano davanti a palazzo Marino con fumogeni, striscioni e petardi, con ore di assedio, le forze dell’ordine sembravano inermi.
Forse la pressione esercitata da parte di questi manifestanti è più lecita? Meno dannosa per il mantenimento della quiete pubblica? Se per mantenimento della quiete pubblica si intende ammaestramento ed educazione a un orientamento politico specifico della cittadinanza, allora si. Ma si tratta di un’autocrazia, di certo non di una democrazia.
Nella raccolta, oltre ai fatti di Napoli e Torino, non dimentichiamo il pestaggio degli studenti di Roma, il dicembre scorso, quello di Bologna del 15 febbraio, sempre contro le posizioni assunte dalla Rai sul conflitto israelo palestinese, e il pestaggio di Verona, durante la protesta “No Armi«davanti alla»Fiera delle Armi". Ma i più emblematici (soprattutto del tasso di impoverimento della democrazia italiana) sono quelli da cui è iniziato il racconto, quelli di Firenze e di Pisa del 23 febbraio.
Nella protesta della città della torre pendente, molti dei manifestanti rimasti feriti sono minorenni, bambini delle scuole medie e ragazzi delle scuole superiori, caricati dalle forze di polizia sotto lo sguardo impietrito degli insegnanti del Liceo artistico Russoli, situato proprio sul lato della strada dove lo scontro è avvenuto. L’azione delle forze dell’ordine è stata programmata e decisa: sono stati fatti confluire tutti i manifestanti in via San Frediano, una via non molto ampia che lega Piazza Dante, luogo d’inizio del corteo, a piazza dei Cavalieri, dove i ragazzi si sarebbero riuniti. I manifestanti, muniti di zaini e volantini (evidentemente molto, troppo, affilati), sono stati bloccati allo sbocco della via da un cordone di polizia, poi intrappolati nella strada da un’altra camionetta appostata sul lato opposto, all’angolo con via Tavoleria. Una pressa militare. Nel centro cittadino di Pisa, contro degli studenti.
Le forze dell’ordine devono non aver tollerato la marcia del corteo che intonava cori in modo assolutamente non violento, supponendo nell’intenzione degli studenti, probabilmente, qualche pericolosa tendenza deviante da condannare assolutamente per il mantenimento della quiete pubblica. Dopo poco la carica è partita, di nuovo. Respinti e pressati. Dei ragazzi sono finiti all’ospedale a causa dell’intensità dei colpi.
È questo uno stato di diritto? Dove ogni cittadino ha pari capacità di esercitare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione come sancito nell’articolo 21 della Costituzione italiana? È questo uno stato di pluralità e di democrazia?
Le motivazioni che possono aver mosso le forze dell’ordine proprio nel caso di Pisa sono ambigue, e sembrano non considerare il diritto alla protesta come qualcosa di universale, piuttosto come qualcosa di garantito solo a quei nuclei tollerati dal giudizio e dalle posizioni del partito. Ciò è allarmante poiché ovunque si generi e si mantenga con la forza uno squilibrio sociale non si sta che amplificando e provocando quella forza eversiva e dannosa di protesta, istigandola fino a costringerla al suo carattere più esasperato: la violenza. Le forze antisommossa hanno quindi invertito la loro funzione, non rispettando più ciò che impartisce la legge. Ora esse stesse provocano le reazioni, e non cercano più di limitarle. Nel breve periodo queste manifestazioni potrebbero anche assumere, con l’esasperazione, un carattere violento, secondo il tipico excursus della repressione delle masse.
Nel declino autoritario che sta interessando la nostra penisola, però, si salvano ancora le menti libere e aperte dei giovani, distaccate dalla manipolazione multicanale della politica eversiva del nostro paese, ritrovata anche nelle rassegne dei giornali che hanno trattato le dinamiche del pestaggio. Su Rai1, uno dei principali canali d’informazione della nostra televisione, l’azione dei manifestanti è stata dipinta con una sfumatura tendente al “pericoloso”, descrivendo l’azione del corteo come “illegittima e ribelle”, accusando i ragazzi in protesta, contro ogni evidenza, dello sfondamento della linea dei poliziotti, e giustificando, quindi, l’insindacabile giudizio delle forze dell’ordine.
Alla sera, dopo l’acquietamento dei toni, migliaia di manifestanti si sono radunati in piazza dei Cavalieri protestando per un’Italia libera e democratica, indossando il camice degli unici medici in grado di non abbandonare questa malattia autoritaria al suo destino patologico, momento nel quale l’organismo politico non sarà più in grado di riconoscere gli abusi e combatta più: un momento nel quale i furtivi abusi di potere verranno considerati normali e legittimi sotto gli occhi di tutti.
Giustificare o cercare di distogliere l’attenzione da questi fatti, riconoscendo l’azione della polizia come legittima, non farà altro che portarci nella direzione della patologia. Inutile scusare l’azione della polizia con motivazioni improbabili. Tutto dimostra, da fonti video ad audio, a testimonianze dei presenti, che le forze dell’ordine hanno sfogato tutta la loro forza su degli studenti indifesi, presentati al cordone con le mani alzate. Lo Stato non ha funzionato in questa occasione. L’intervento del nostro presidente alla condanna dell’azione delle forze armate è esemplare nel comprovare la gravità della situazione. Il governo non ha accolto le accuse mosse, e ha assunto una posizione difensiva nei confronti delle forze armate.
“Quis custodiet ipsos custodes?”, Chi sorveglia il sorvegliante?
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