Non è un caso che il Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen abbia scelto l’Africa come suo primo viaggio all’estero, recandosi in Etiopia per lanciare un forte messaggio politico per sottolineare l’impegno della UE verso quel continente. Ha detto che è andata per “ascoltare”, per capire quali siano le priorità politiche ed economiche, per capirne le tendenze e gli sviluppi. Non siamo ancora al lancio di un grande Piano per l’Africa, ma al lavoro per crearne le premesse: l’unità africana e l’unità europea (Only unity will make our continents strong in a changing world. The African Union is a partner I count on).
Questo tema è stato toccato anche nel recente Congresso del MFE a Bologna (18-20 ottobre) che ha approvato all’unanimità una mozione sulla questione migratoria che parte proprio dalla necessità di ridefinire un corretto rapporto politico e sociale con i paesi africani, a partire dalla necessità di una loro stabilizzazione politico-istituzionale.
La questione migratoria non risolve, però, l’insieme dei rapporti tra i due continenti, le cui caratteristiche economico-sociali presentano una serie di altre questioni, la cui soluzione richiede un approccio politico-strategico integrato.
1) L’Africa è un continente giovane, con una fortissima crescita demografica: dagli attuali 1,1 miliardi di abitanti si dovrebbe passare ai 2 miliardi entro il 2050, secondo l’attuale trend. Ed è ricco di materie prime, che destano l’appetito di Cina, USA (oltre che della stessa Europa). Un grande potenziale, ma parcellizzato e privo di forza politica. L’attuale sottosviluppo economico rischia di essere permanente (se non di aggravarsi): l’export delle materie prime, principale fattore di crescita, è soggetto alla perenne volatilità di questo mercato, che risente, più di altri, delle crisi internazionali. La vulnerabilità di questo modello di crescita, unitamente alla crisi ambientale e politico-sociale (desertificazione e guerre intestine), comporterà una pressione fortissima dei flussi migratori, con ovvia destinazione finale verso l’Europa.
2) L’Europa è un continente vecchio, in crisi demografica. Si calcola che avrebbe bisogno di circa 30 milioni di abitanti in più entro il 2050 per mantenere gli attuali livelli di crescita. Rappresenta ancora l’area economica mediamente più ricca del pianeta, dispone ancora di un apparato industriale competitivo, ma rischia di restare indietro (rispetto a USA e Cina) su due punti strategici decisivi: a) la ricerca scientifica (collegata al nuovo modello di sviluppo basato sulla conoscenza) che la vede indietro nello ‘spazio’ (nuova frontiera); b) la finanza, soprattutto: i primi dieci conglomerati finanziari al mondo presentano 5 gruppi cinesi ai primi posti, seguiti da 4 americani, il decimo è solo formalmente europeo (HSBC). Ciò significa che l’Europa non dispone di propri ‘polmoni’ finanziari di tipo globale adeguati a supportare il suo sviluppo. La storia insegna che un deficit su questo fronte determina un trasferimento di ricchezza là dove può essere meglio allocata e gestita e che ciò è alla base della divaricazione economico-sociale tra aree regionali.
3) Se i due continenti hanno, dunque, sia punti di forza, sia criticità differenziate, hanno comunque un punto comune di debolezza strutturale: entrambi sono divisi politicamente. In un panorama mondiale che presenta superpotenze (USA, Cina, Russia) e stati che aspirano a diventare tali (Brasile, India), l’Europa e l’Africa (unitamente al Medioriente, da vedere geo-politicamente come propaggine di entrambi) rischiano di apparire il ventre molle del Mondo, quello su cui si gioca la partita per l’egemonia mondiale.
Se Europa e Africa vogliono avere una voce nella competizione globale devono avere una politica comune, a partire da un processo integrato di sviluppo economico, basato su:
– Un modello comune di sostenibilità ambientale
– Un modello concordato di gestione dei flussi migratori, in funzione della sostenibilità demografica di entrambi
– Un modello di sviluppo d’integrazione tra i due mercati.
A tal fine il lancio di un Piano europeo per l’Africa può costituire il primo passo, decisivo, sul punto strategico, quello cioè capace di cambiare lo scenario mondiale.
Ciò è possibile se si manifestano due pre-condizioni essenziali:
– La volontà africana di avviare un proprio processo di unità, cioè una volontà simile a quella che si manifestò in Europa all’indomani della Seconda guerra mondiale
– La volontà europea di poter giocare un ruolo mondiale, come quella che, sia pur in un contesto diverso, si sviluppò in America dopo la Seconda guerra mondiale, per evitare che l’Europa cadesse nell’orbita sovietica.
Più di 50 stati africani hanno sottoscritto, nell’agosto 2019, un Trattato di libero scambio (AfCTA) che prevede: a) una riduzione delle tariffe commerciali al proprio interno; b) una politica di diversificazione dell’export; c) in prospettiva: una politica comune d’investimenti, regole comuni sulla concorrenza e i diritti di proprietà intellettuale. L’obiettivo è quello di aumentare del 50% il commercio inter-africano, nella prospettiva della creazione di un “mercato interno africano”.
L’Unione Europea deve sostenere e incoraggiare i processi di unità africana, sia per la prospettiva a breve che essi determinano (stabilizzazione politica, eliminazione dei conflitti interni, sviluppo democratico e minor pressione sui flussi migratori) sia per quella a lungo termine che mettono in moto, come sopra indicati (sostenibilità ambientale e sviluppo economico integrato).
Un Piano europeo per l’Africa (Europe4Africa) deve, dunque, essere concordato tra UE e UA e prevedere, per parte UE, una specifica Agenzia federale per la progettazione e l’implementazione del Piano.
I principali obiettivi del Piano dovrebbero essere volti a far fronte alle più gravi carenze del continente africano:
– Elettrificazione
– Soluzione del problema idrico
– Agricoltura sostenibile
– Istruzione
– Sviluppo tecnologico
Il “ritorno” per l’Europa di un simile Piano di investimenti vedrebbe:
1) Sul versante economico: una maggior presenza delle imprese europee nel continente africano, con un crescente mercato di sbocco per l’export e, a lungo termine, un’integrazione dei mercati; sotto questo aspetto la politica europea per il Mediterraneo riceverebbe un notevole impulso (il sud Italia diventerebbe la piattaforma europea per lo sviluppo dell’Africa, con effetti benefici sulla crescita e sulla stessa composizione sociale, affrancando queste regioni dall’assistenzialismo e dal clientelismo)
2) Sul versante politico: una stabilizzazione politica del continente africano, l’affermazione di un quadro di processo democratico, un ruolo europeo riconosciuto per lo sviluppo dell’Africa, non più alla mercé delle superpotenze
3) Sul versante istituzionale: la necessità di sviluppare una politica estera autonoma verso l’Africa, una presenza europea sul territorio per garantire la politica migratoria concordata (ad es. hotspot europei lungo le direttrici delle migrazioni), di dotarsi di risorse finanziarie proprie per poter sostenere il Piano.
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