Esistono diverse tipologie di malattie. Di certo le più infime sono i malanni sociali. La nostra società, al pari delle società sparse sulla totalità del mondo si sono ammalate di svariate infezioni e virus culturali e mentali che, nel tempo, si sono cementati nel midollo spinale delle suddette.
Molteplici sono i bias culturali che regnano pressoché indisturbati nel mondo fisico, nonché virtuale. Cosa si intenda per bias cognitivo verrà qui di seguito delucidato: un bias cognitivo è un errore di valutazione, un difetto di pensiero che prende forma nella mente alveare delle masse, andando a scatenare sintomi di estremismo di diverso tipo. Si voglia, ad esempio, prendere in considerazione la pletora di stigmi che minano il territorio sociale e la relativa sicurezza, del singolo così come del gruppo, circa l’etnia dei succitati. Si sta quindi facendo riferimento ai vari razzismi che hanno coinvolto il globo da quando l’orma dell’umano ne ha calcato la superficie.
Si pensi infatti a come, più o meno ciclicamente, ogni gruppo sociale, statale o non statale che sia, vada incontro a un fondamentalismo di base nazionale. L’estremismo su base etnica e patriottica ha infestato i territori a partire, solo per citare un episodio, dalla guerra del Peloponneso, giocatasi attorno alla ricerca della supremazia tra Spartani e Ateniesi. Tale supremazia in via teorica doveva essere soltanto militare, ma a conti fatti aveva base etnico-culturale. Il nazionalismo si è lentamente e lungamente trascinato nei secoli dell’Umanità, assumendo forme più o meno mostruose, fino ad arrivare all’acme, o almeno a ciò che per adesso ne è stata l’acme, nelle vestigia di nazifascismo di prima o seconda leva. Cosa si intenda con questa espressione verrà prontamente spiegato: esistono, nella storia dell’animale umano, nazionalsocialismo e fascismo primari e derivati. Attenzione però a non incappare nell’errore cognitivo di interpretare i primari come pure essenze. Essi, infatti, derivano da secoli di presupposizioni e preconcetti di stampo etnico, religioso e culturale, come l’immagine del ricco ebreo, usuraio e corrotto. Tale nomea, per esempio, ha iniziato a circolare nel cristianesimo luterano a seguito del rifiuto alla conversione di fede delle fazioni ebraiche del popolo centro europeo.
Pur essendo spurie, queste due essenze nazionalistiche hanno strisciato fino ai tempi contemporanei, dove per contemporaneo si intende XIX, XX e XXI secolo. Si guardi alle forme del suprematismo bianco di Ku Kuz Clan e Skin Head, delle leggi contro l’immigrazione in America a fine Ottocento e nel corso del Novecento, delle leggi Jim Crow contro i diritti degli afro discendenti negli USA o le moderne leggi contro l’estensione di cittadinanza nel sud dell’Europa, Italia in prima linea. L’ultimo Paese citato è, infatti, uno dei pochi stati in cui ancora, per ottenere la cittadinanza, si richiede allo straniero tra i requisiti minimi un lasso di tempo, trascorso vivendo legalmente sul territorio, di dieci e non di cinque anni, come invece accade in molte altre nazioni del continente europeo.
Di fianco ai nazionalismi politici, che hanno una peculiare connivenza con un globalismo economico massivo, che vede gli stati occidentali predominanti e sfruttatori dei Paesi del Terzo Mondo e del Sud America, si stagliano i fondamentalismi religiosi. Si badi bene a non incappare nello stigma eurocentrico che identifica il fanatismo di stampo religioso solo e soltanto con modelli islamici; infatti si hanno esempi di stragi compiute in nome di diverse divinità, tra cui il Dio cristiano (non si dimentichi che la bandiera del Terzo Reich si faceva vanto di star agendo su volontà, per l’appunto, di Dio). Si potrebbe anche menzionare come in un Paese a maggioranza taoista e buddhista, ossia la Cina, da tempo si perseguitino gli uiguri, ossia i cinesi musulmani residenti nella regione dello Xinjiang. A carico di essi vi sono state molteplici violazioni delle norme stabilite dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo del 1948 e dei suoi successivi aggiornamenti. Il fondamentalismo e la violenza di matrice religiosa ha le più svariate sfaccettature e sfumature e si tratta, invero, soltanto di un bias cognitivo, o di uno stigma fortemente eurocentrico (si prenda il suffisso euro- come sinonimo di occidentale e non solo europeo): ossia il pensarli come legati in via esclusiva a squilibrati kamikaze islamici. Notare, inoltre, come la stessa parola kamikaze sia di radice nipponica, con riferimento ai piloti suicidi della Seconda Guerra Mondiale, che si gettavano con aerei imbottiti di esplosivo contro obiettivi nemici. Si è, quindi, di fronte a un termine neutro dal punto di vista della connotazione religiosa, anche se pare che la sua natalità sia stata da tempo posta nel dimenticatoio della Storia.
Come si accennava pochi paragrafi fa, il nazionalismo politico convive, connesso doppiamente, con la globalizzazione economica, o neoliberalismo economico, ossia la liberalizzazione dei mercati mondiali e la creazione di istituzioni bancarie e monetarie sovrastatali. Si è anche detto quanto questo paia, in prima battuta, un controsenso in nascita. Ciò perché si sarebbe portati a pensare che il nazionalismo comporti un forte grado di protezionismo e di conseguente chiusura dei mercati statali, a fronte di un patriottismo sfrenato e una corsa alla produzione in loco. Ma questo non avviene, o meglio, non è ciò che è accaduto. Di fatti, gli Stati, e ora ci si riferisce principalmente agli Stati occidentali, hanno sviluppato un controllo pressoché totale sull’individuo, che è diventato un fattore economico e non più un animale sociale, per dirla con Hannah Arendt. La vita politica è diventata una biosfera dove piccole identiche identità si trovano a convivere, confliggendo tra individualismo intrinseco e spinta verso il mercato estero a livello economico. Quanto appena descritto, in realtà è un’operazione a cui stanno andando incontro anche i BRIC, ossia il blocco economico emergente formato, in un primissimo momento, da Brasile, Russia, India e Cina. Nel primo decennio del XX secolo ad esse si è aggiunto il Sudafrica e ancora più di recente diversi Paesi nordafricani e mediorientali.
La politica è, à la Foucault, biopolitica, ossia controllo totale dell’individualità e in questo controllo lo Stato ha un vantaggio nel coltivare il culto dell’individualismo e dell’intangibilità delle libertà personali; ossia risulta a esso proficuo il fomentare le differenze tra simili, il metterli uno contro l’altro, il creare odio a ogni livello. Ciò perché, in modo alquanto controintuitivo, più la società appare divisa, più lo Stato è forte, perché dove non c’è unione tra minoranze, o tra persone in genere, non ci può essere disobbedienza civile. Ergo non può avvenire alcuna rivoluzione dal basso a svantaggio dei governanti, che, pur essendo la causa prima delle difficoltà dei singoli, mettendoli gli uni contro gli altri, eludono il problema in maniera magistrale.
È buffo, ormai, parlare di disobbedienza civile, termine attualissimo ma che trae le sue origini negli scritti dello statunitense ottocentesco Thoreau. Thoreau definiva la disobbedienza civile come l’azione non violenta, in questo seguìto da Gandhi e Martin Luther King, messa in atto nel momento in cui i diritti di qualcuno vengono meno. Il disobbediente civile è colui che si dimostra solidale con i privi di diritti, rifiutando la connivenza con tale reato da parte dello stato, muovendo in protesta pacifica contro quest’ultimo. Il ribelle deve essere nondimeno pronto anche alla rinuncia alle proprie libertà, ossia all’ incarcerazione, in nome del proposito egualitario.
È davvero ironico che una cittadina italiana stia parlando della suddetta fattispecie di protesta a una decina di giorni da quando è stato, l’11 settembre 2024, approvato un ddl per cui diventano reati l’occupazione abusiva di uno stabile altrui e il blocco di una strada o ferrovia. Tali atti saranno ora punibili nel Bel Paese con il carcere dai 2 ai 7 anni. Ironico perché, con il cosiddetto decreto anti-Gandhi, si vanno ad impedire tutte le moderne forme di disobbedienza civile, quali protesta non violente e sit-in. Un ulteriore drammatico epilogo e restrizione del potere sul proprio corpo che il governo, italiano in questo caso, ma non è un’eccezione in Occidente, ha operato, calando un sipario nero sulla vita dei suoi cittadini.
Le malattie che affliggono le società moderne sono, dunque, molteplici e il farmacon contro esse resta e resterà la libera circolazione di informazioni verificate, che, ad oggi, stanno tristemente venendo contrastate da becere leggi censuranti, che tarpano le ali al giornalismo nei suoi più svariati ambiti.
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