Nel giro di pochissimo tempo, come avviene per le svolte importanti, le istituzioni europee hanno fatto scelte radicali: la proposta di un massiccio piano d’investimenti improntato al Green Deal, finanziato con l’emissione di un debito comune, garantito da un bilancio europeo rafforzato anche dalla prospettiva di future tasse europee (risorse proprie aggiuntive).
Questo “salto” è stato possibile sulla base della riproposizione della logica di funzionamento dell’UE: si può andare avanti verso una ever closer Union se tutti condividono l’obiettivo da raggiungere (repair and resilience verso transizione energetica, rivoluzione digitale e coesione sociale) e ne condividono anche gli strumenti: solidarietà (debito comune per gli investimenti futuri) e controllo comune sulle risorse (ad opera della Commissione).
Gli investimenti europei sono stati chiamati dalla Commissione, non a caso, “NEXT GENERATION EU”. Significa che sono per le generazioni future, non solo per lasciare a queste una società ed un’economia più sostenibile, ma per generare quel valore economico capace di pagare il debito che si determinerà in questi anni.
Inoltre, gli investimenti NEXTGEN EU sono indirizzati non soltanto al sostegno dell’economia nell’immediato, ma anche e soprattutto alla sua trasformazione, nel segno della sostenibilità ambientale e sociale. Siamo dunque in presenza del tentativo storico di pensare ad un diverso modello di sviluppo. È dunque interesse della generazione presente dei giovani impegnarsi perché gli investimenti siano ben indirizzati per centrare gli obiettivi del Green Deal, rivendicando un proprio ruolo di partecipazione diretto alla elaborazione della loro finalità.
L’Italia rappresenta la terza economia e la seconda manifattura industriale dell’Unione. È il Paese beneficiario delle maggiori risorse, ma ha un sistema e un quadro politico debole e perennemente incerto: pertanto Il suo Piano nazionale sarà destinato ad avere le maggiori attenzioni da parte delle istituzioni europee.
Un Piano italiano non coerente con gli obiettivi strategici europei oppure confuso oppure ancora utilizzato per finanziare vecchi investimenti o, peggio, per coprire vecchi impegni di spesa, sarebbe giudicato negativamente e ritarderebbe l’implementazione di Next Gen EU.
Si metterebbe così a rischio il Recovery Plan e si riaprirebbe una crisi di fiducia con i partners europei, facendo vacillare la solidarietà così faticosamente conquistata lo scorso anno. Una prova di questa criticità è emersa con la recente crisi politica del governo in carica che ha fatto emergere comportamenti irresponsabili che mal si conciliano con lo sforzo di progettualità che deve sostenere il Paese.
Occorre allora che dal Piano italiano emergano chiare linee strategiche prima ancora che macroaree di investimenti, elencazioni di progetti e assegnazione di capitoli di spesa.
Non basta inoltre risolvere la questione dicendo genericamente che occorre riformare la P.A e la giustizia, cose indubbiamente vere, ma che rischiano di risultare generiche se non si indicano obiettivi e chiare modalità di intervento. Ciò vale anche per la sanità o l’istruzione, aree che certamente vanno potenziate, ma dopo averne determinato prima le finalità.
Linee strategiche d’intervento
Ci sono, a nostro avviso, tre grandi problemi strutturali che l’Italia deve comunque affrontare, di diversa natura, ma che in questo frangente interagiscono e presentano caratteristiche europee, non solo nazionali.
- La riconversione dell’apparato produttivo, industriale e dei servizi, in funzione della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione (con il ruolo essenziale della ricerca scientifica) per consentire alla seconda manifattura d’Europa di essere all’altezza delle sfide: quali strategie per la scelta delle fonti energetiche; quale coordinamento europeo con le altre potenze industriali (in primis con quella tedesca) per determinare le scelte strategiche, al fine di giungere, con NextGenEU, ad una politica energetica ed industriale europea? Quale approccio integrato occorre perseguire (per gli investimenti sulla ricerca scientifica, ad esempio) per intervenire su settori apparentemente distanti (chimico, agro-alimentare, tessile, automotive, etc.) ma che tutti devono “migrare” comunque verso la carbon neutrality? Si tiene conto delle indicazioni sulla politica industriale già emerse recentemente nelle risoluzioni del Parlamento europeo in tema di recupero e di trasformazione? [1]
- La trasformazione dell’economia europea chiama inevitabilmente in causa anche la “questione meridionale” o, in generale, lo scarto di sviluppo e produttività che c’è tra il Nord e il Sud dell’Europa. C’è il grande rischio che si possa perdere un’occasione storica per superare il centenario distacco tra il Nord e il Sud del paese, che si è accentuato negli ultimi decenni. È certamente corretto parlare di innovazione, sviluppo del capitale umano, istruzione, cultura-turismo, ma in funzione di quale progetto? per quali obiettivi? Non occorre forse individuare un progetto strategico trainante, capace di mettere in moto un nuovo processo di sviluppo collegato al sorgere del “mercato mediterraneo e africano” (uno sviluppo integrato tra le sue sponde su settori quali l’agro-alimentare e il sistema idrico, la ricerca scientifica, le nuove energie alternative, le infrastrutture aero-portuali, ma anche la cultura, la sanità…), nell’ambito di una politica europea di pacificazione per il nord Africa e il Medio-Oriente? Non si determinerebbero forse le condizioni di base per sfruttare la centralità del sud Italia nel Mediterraneo rispetto ai nuovi mercati che emergerebbero?
- La crisi ambientale (e sanitaria) chiama in causa anche la necessità di una politica per i territori e le infrastrutture locali, che non può risolversi con la politica dei bonus (anche se utili e/o necessari). La pandemia pone il tema di una Unione europea della salute [2] con l’indicazione di un quadro generale di requisiti e funzioni perché si determinino regole comuni su un servizio pubblico europeo di base. Non occorre forse puntare e valorizzare il decentramento dei servizi pubblici (che la tecnologia oggi consente) nelle aree periferiche e metropolitane, in funzione della mobilità delle persone, della salute e delle famiglie? Ciò non chiama forse in causa il problema della finanza locale e degli Enti territoriali, nella prospettiva di un federalismo fiscale, capace di coniugare l’autonomia con la solidarietà territoriale?
Un dibattito pubblico attorno a questi temi, soprattutto se sviluppato dai giovani, potrebbe innescare un cambiamento rispetto allo stato di decadenza della politica nazionale, dando nuovo slancio al “progetto europeo”.
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