«Next Generation EU»: Una prospettiva europea.

, di Jakub Stefaniak, Jérôme Flury, Madelaine Pitt, Martin Müller, Paolo Di Fonzo, Théo Boucart, Xesc Mainzer Cardell

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«Next Generation EU»: Una prospettiva europea.
The European Union looks to be nearing agreement on a recovery fund. Photo: Flickr / NATO / CC BY-NC-ND 2.0

“Next Generation EU”, il vasto programma di ripresa proposto dalla Commissione Europea il 27 maggio, è stato definito come un “momento Hamilton” per l’Unione Europea. Il periodo di acuta crisi economica all’indomani della pandemia di COVID-19 potrebbe essere un momento favorevole per ottenere una maggior solidarietà finanziaria tra gli Stati membri. Come hanno reagito le diverse nazioni europee al discorso in cui Ursula Von Der Leyen ha annunciato il pacchetto di misure? In che misura il programma “Next Generation EU” permetterà di combattere l’Euroscetticismo, in deciso aumento sin dalle prime incerte reazioni dell’UE alla diffusione del coronavirus? Ne parliamo in sei articoli che offrono una prospettiva europea sul problema, grazie alla collaborazione tra le nostre sei redazioni “sorelle”.

Jérôme Flury e Théo Boucart per Le Taurillon: Una vittoria monumentale sul fronte europeo per il Presidente Macron?

L’annuncio della Commissione Europea di un piano di 750 miliardi di euro (“Next Generation EU”) come spinta per l’economia europea in seguito alla pandemia di COVID-19 è un passo storico verso un’Unione più efficiente - specialmente se comparata alla debole risposta del blocco in seguito alla crisi finanziaria del 2007-08. La struttura del piano di ripresa, che include 500 miliardi di euro in sovvenzioni per le regioni più colpite, potrebbe rappresentare un grande miglioramento in termini di solidarietà all’interno dell’UE.

La proposta di un piano di ripresa sembra una doppia vittoria per Emmanuel Macron. In primo luogo perché, sin dalla sua elezione nel 2017, il Presidente francese ha sempre supportato una maggiore solidarietà in termini di budget tra gli Stati membri, in particolare attraverso un vero e proprio budget dell’Eurozona e una mutualizzazione dei debiti comune. Fino ad oggi, la Germania ha sempre rifiutato di discutere l’idea di una “transfer union” ma l’iniziativa franco-tedesca annunciata il 18 maggio rappresenta una completa inversione di marcia per il Cancelliere tedesco, avendo di fatto dato il suo assenso sia per una temporanea mutualizzazione comune del debito che per un trasferimento di budget per aiutare i Paesi europei in difficoltà. In secondo luogo perché la proposta della Commissione abbraccia sostanzialmente questa iniziativa, sia per la quantità di denaro mosso che per le modalità con cui verrà allocato. Molto impopolare nella sua stessa nazione, nella sfera pubblica Emmanuel Macron potrebbe puntare ora su i suoi successi europei. Ciò nonostante, pochi media (e ancora meno reti televisive) hanno riportato questa notizia, fatta eccezione per il quotidiano nazionale Libération, che giovedì 28 maggio ha pubblicato una prima pagina ben rappresentativa.

La Francia sarà inoltre uno dei principali beneficiari del piano di ripresa, ricevendo all’incirca 40 miliardi di euro in sovvenzioni. Nonostante questa ridistribuzione rappresenti solo l’1.5% del PIL nazionale, questi fondi potrebbero aiutare a finanziare la transizione energetica e digitale della Francia, che in questi campi sta perdendo sempre più terreno rispetto agli altri Paesi europei). La Francia è tra gli Stati membri con il maggior potenziale per la produzione di energia da fonti rinnovabili. La possibilità che questo piano di ripresa possa aiutare ad attirare investimenti privati nel settore è quindi un grande valore aggiunto.

Xesc Mainzer per El Europeísta: Una scialuppa di salvataggio che potrebbe non fare molto contro l’euroscetticismo

L’annuncio del piano di ripresa da 750 miliardi di euro post COVID-19 “Next generation EU” ha portato un po’ di sollievo a chi, con un mix di disappunto e sgomento, ha osservato gli scontri tra i Paesi membri sul tema dei cosiddetti “Coronabond” pochi mesi fa. Secondo la Commissione Europea, la Spagna potrebbe ricevere circa 140 miliardi di euro dal piano, seconda sola all’Italia. L’arrivo di un così grande supporto finanziario (equivalente al 11.6% del PIL spagnolo del 2018) sarà un aiuto fondamentale per l’economia spagnola, fortemente orientata al campo dei servizi e duramente colpita dalla pandemia. Tuttavia, la prospettiva dell’imposizione della condizionalità potrebbe dare un ulteriore colpo alla popolarità dell’Unione in Spagna.

Questa notizia arriva pochi giorni dopo il raggiungimento di un accordo nel Parlamento spagnolo per revocare la riforma del lavoro del 2012, altamente impopolare e implementata nel quadro delle dure riforme economiche post-crisi finanziaria. Con l’annuncio del piano di ripresa e la possibilità che vengano imposte come condizioni delle riforme strutturali, alcune voci hanno iniziato a circolare sulla possibilità che mantenere la riforma del lavoro del 2012 intoccata sia una delle condizioni di accesso ai fondi straordinari. Questo, ovviamente, ha trasformato un possibile modo per i cittadini di riprendere fiducia nelle istituzioni europee, in un altro esempio di quelli che molti vedono come dei “tagli ai diritti sociali imposti da Brussels”.

Imporre condizioni come l’implementazione di determinate riforme economiche al lancio di un salvagente finanziario, per salvare le economiche più colpite da una catastrofe imprevedibile come quella corrente, sembra moralmente discutibile - a dir poco. È inoltre sicuramente molto spregiudicato, visto il rischio di dare un forte incremento ai sentimenti antieuropeisti.

Paolo Di Fonzo per Eurobull: L’Italia ha bisogno del supporto europeo, al di là dell’economia

Per una serie di sfortunate circostanze, un terribile management del sistema sanitario pubblico nelle scorse decadi ed una ancora peggiore gestione della crisi, l’Italia è letteralmente sprofondata, con gravi perdite di vite umani e gravi conseguenze per l’economia. All’apice della crisi, la dichiarazione pubblica della presidentessa Von Der Leyen ha solo alimentato l’antagonismo dei cittadini italiani contro l’Unione Europea e gli altri stati membri, in una nazione che ha già avuto delle svolte decise verso l’estrema destra e l’euro-scetticismo negli scorsi anni. Quello che è stato fatto e detto da allora dalla Commissione, comunque, ha aiutato a ricostruire la fiducia dell’Italia nell’Unione Europea, con la proposta corrente che fa un passo importante nella giusta direzione.

Fare dell’Italia la nazione che potrebbe ricevere la maggior quota dei grants garantiti dal fondo è mandare un segnale chiaro, sia alla popolazione che ai mercati finanziari, sempre pronti a predare sul sempre più deteriorato debito pubblico italiano. Sul lato politico, molti cercheranno di usare questa opportunità per presentare il piano come una mossa di Francia e Germania per prendere il controllo della sovranità italiana, come già è stato fatto in passato quando l’Italia è stata costretta a ristrutturare le sue spese pubbliche per contenere la crescita massiccia del suo debito.

Decenni di fiducia erosa nelle istituzioni europee e un generale senso di frustrazione dovuta alla crisi certamente darà supporto e seguito ai promotori di questa tesi. Il lato positivo è che, al contempo, un uso adeguato dei fondi a livello nazionale e locale potrebbe invece creare un senso di apprezzamento per il supporto mutuale offerto dagli altri stati membri in un momento critico, un ritorno allo spirito originale su cui la prima Comunità Europea è stata costruita. Questo ci porta alla sempre attuale domanda, che determinerà sia il futuro dell’economia italiana che il suo status nelle istituzioni europee: riuscirà il governo italiano, solitamente incapace di una visione a lungo termine e instabile, a fare un uso appropriato dei grants europei? Il futuro dell’economia italiana e la sua permanenza nell’Unione Europea sono strettamente legati alla risposta.

Madelaine Pitt per The new Federalist: Nessun aiuto senza rappresentazione

Una nazione che non beneficerà dal fondo di ripresa dell’Unione Europea è il Regno Unito. La nazione rimane legata alle leggi europee fino alla fine del periodo di transizione, ad oggi il 31 dicembre 2020 (va detto, però, che il Regno Unito non ha un buon rapporto con il mantenere queste scadenze). In ogni caso, i 750 miliardi di euro di supporto lanciati dalla presidentessa della Commissione Ursula Von Der Leyen sono programmati per il 2021 ed, essendo già considerato Stato non-membro, il Regno Unito non avrà nessun diritto a beneficiarvi.

È altresì fuori questione che il Regno Unito contribuirà al finanziamento del pacchetto di recupero europeo, a meno che il periodo di transizione non sia esteso più volte a causa del perpetuo fallimento delle negoziazioni (e in questo possiamo solo sperare). L’accordo di separazione obbliga il Regno Unito a pagare la sua quota per gli impegni e le responsabilità prese durante il periodo di permanenza, almeno fino alla fine del periodo di transizione, ma il prossimo Quadro finanziario pluriennale o bilancio europeo sarà attivato il prossimo anno, appena alla fine di questo periodo; in ogni caso, nei termini di Next Generation EU non è previsto nessun incremento. Dato che il pacchetto di aiuti sarà ripagato nei budget futuri, il Regno Unito avrebbe, come ex-secondo maggior contributore, ricevuto una grossa quota del conto.

Nonostante sia al di fuori dell’Eurozona, in questa occasione la forma mentis decisamente neoliberale della Gran Bretagna sarebbe stata un forte alleato alla coalizione dei “frugali”. Il tema del debito europeo comune, anche solo a breve termine, sarebbe stata una posizione impensabile da supportare per il governo conservatore. In passato, ogni volta che è stata sollevata una questione di azzardo morale, ad esempio durante la discussione sul regolamento delle banche e la loro supervisione, il Regno Unito ha preferito mantenere le distanze. In questo senso, è utile che, questa volta, la Commissione Europea non debba fare i conti con il disaccordo del Regno Unito e la sua possibilità di porre il veto nel Consiglio. Se il piano sarà concordato, sarà un grande passo in avanti per la solidarietà europea. Se la Gran Bretagna fosse stata ancora parte dell’Unione, il piano sarebbe potuto essere condannato fin dalla sua pianificazione.

Martin Müller per Treffpunkteuropa: Mero pragmatismo o un momento Hamiltoniano?

Lunedì 18 maggio, Angela Merkel ha sorpreso lo scenario europeo così come l’audience nazionale proponendo una inaspettata risposta franco-tedesca ai danni economici causati dalla pandemia di COVID-19. In quella che è sembrata un’inversione di marcia sulla precedente posizione, abbastanza critica, del governo sui problemi di bilancio dell’Unione, la Merkel ha mostrato una certa apertura sia per il trasferimento di fondi che per dei temporanei prestiti europei su larga scala. Nel passato, i diplomatici europei di Berlino avevano sempre rifiutato queste richieste, spesso avanzate dagli Stati membri meridionali. Non sembra più il caso questo, in quanto la proposta di Emmanuel Macron e Angela Merkel spiana la via per il fondo della Commissione Europea “Next Generation EU”, annunciato dalla presidentessa Ursula Von Der Leyen il 27 maggio.

Nella sfera pubblica, il piano di ripresa, che riprende l’iniziativa franco-tedesca sia per struttura che per grandezza, è largamente supportato. Il tono generalmente propositivo può essere attribuito al fatto che entrambe le proposte non prevedevano la mutualizzazione del debito come inteso nei coronabonds, evitando la possibilità che un singolo Stato membro garantisca per tutti i prestiti europei. Nonostante lo scetticismo delle voci conservatrici, che si oppongono al concetto di trasferimento di fondi e che dubitano sulla possibilità di imporre le condizioni volute, sembra esserci un largo consenso sull’appropriatezza del fondo. Il metodo di allocazione, così come la grandezza dello stimolo proposto, sembrano essere adeguate ad affrontare la sfida che l’Unione si ritrova innanzi.

Interpretare questo cambio di posizione della Merkel come mera solidarietà europea è comunque fuorviante. Con più della metà delle sue esportazioni commerciate con altri paesi dell’Unione Europea, la Germania non può sostenere i costi di un mercato unico instabile. Se l’economia europea crollasse, così farebbe quella tedesca - motivo per il quale è più che nell’interesse del governo aiutare i suoi vicini più indebitati a sopravvivere alle conseguenze economiche della pandemia. Considerando i calcoli politici e le concessioni pragmatiche fatte da ambo i lati, il fondo di ripresa appare più come la solita contrattazione politica tra i capi di governo e di Stato dell’Unione, piuttosto che un grande passo avanti verso una maggiore integrazione europea.

Jakub Stefaniak per Kurier Europejski: Un bilancio vincente

Dopo una serie di negoziazioni e proposte da diverse nazioni europee, la Commissione ha presentato il suo piano di recupero, che raddoppia il Quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027. Questo Quadro, supportato da un fondo di 750 miliardi di euro, è il più importante bilancio della storia europea.

Nonostante il piano sia solo una proposta al momento, il governo polacco ha già celebrato il successo delle misure presentate in Commissione. Il primo ministro Morawiecki ha affermato: “Ciò prova che la voce della Polonia conta in Europa, siamo ascoltati e apprezzati”. Nel suo discorso, il Primo Ministro ha inoltre enfatizzato il supporto del presidente Andrzej Duda, e ringraziato le sue “proficue chiacchierate notturne”. Ma è forse troppo presto per definirlo un successo?

La Polonia potrebbe essere uno dei paesi che riceverà una maggior fetta del budget proposto dalla Commissione - intorno circa ai 63.8 miliardi di euro. Tutto ciò rimane ad ora una proposta - questo budget andrà prima negoziato nel Consiglio Europeo, dove la Polonia è rappresentata esclusivamente dal suo Primo Ministro. Bisogna anche tenere a mente che una campagna presidenziale ufficiosa è in corso in Polonia: questa proposta di budget europeo è una grande opportunità per Andrzej Duda e sarebbe un peccato per lui non sfruttarla nella sua campagna politica. La proposta di bilancio europeo è un ottimo affare per la Polonia, ma il diavolo, in questo caso, è nei dettagli. Il Consiglio Europeo dovrà discutere il piano di ripresa e fare in modo che l’accesso ai fondi sia soggetto al rispetto delle regole. Questo significa che la Commissione potrebbe rifiutarsi di erogare i fondi a nazioni dove si ritiene che lo Stato di diritto sia stato violato. Inoltre, la Commissione Europea vuole che i prestiti (250 miliardi di euro del fondo di coesione) siano ripagati sfruttando ad esempio la carbon tax ai confini europei, proposta alla quale la Polonia si oppone.

Sarà solo al prossimo summit europeo che scopriremo l’esito delle negoziazioni sul bilancio. Se il risultato non sarà abbastanza positivo per la Polonia, si potrà sempre incolpare l’Unione Europea, come già fatto in passato.

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