Contro “nuove forme di collaborazione tra uomini e donne, contro misure a favore dell’uguaglianza giuridica delle donne e contro l’uguaglianza dei membri della comunità LGBT, [...] contro le ‘élite’ e contro ‘gli altri’”: in un suo saggio, Birgit Sauer descrive così le molteplici facce del nemico della mobilitazione antifemminista. Il movimento antifemminista, infatti, non solo si pone come obiettivo il ritorno alle idee tradizionali di genere e di sessualità, ma si prefigge anche di propagare ulteriori idee antidemocratiche e proietta l’immagine di cittadini assoggettati alla leadership e alla protezione dei populisti di destra.
Dal 2006 Sauer è docente universitaria specializzata negli studi di genere e di governance presso l’Istituto di scienze politiche dell’Università di Vienna. In passato, diversi incarichi in qualità di docente invitato l’hanno portata a Magonza, a Seul (Corea del Sud) e a Boca Raton (Florida). Nel 2015, per il suo contributo alle scienze politiche femministe ha ricevuto il premio Käthe-Leichter, premio nazionale austriaco per gli studi sulle donne, gli studi di genere e l’uguaglianza nel mondo del lavoro. Nella sua ricerca, Sauer esamina, tra gli altri argomenti, il legame tra (anti)femminismo e populismo di destra. Nel suo saggio, menzionato all’inizio dell’articolo, riesce a dimostrare l’importanza della dimensione europea per il movimento antifemminista; cita, ad esempio, la piattaforma di petizioni ultra-conservatrice CitizenGo, disponibile in diverse lingue, la quale organizza campagne contro le relazioni presentate dai membri del Parlamento europeo su svariati argomenti quali la legalizzazione dell’aborto e l’educazione sessuale inclusiva.
treffpunkteuropa.de: in Europa stiamo attualmente assistendo all’ascesa del movimento antifemminista, così come all’avanzare dei populisti di destra. Qual è il loro legame?
Birgit Sauer: i partiti di destra si sono ampiamente appropriati di un movimento antifemminista che esiste da molto tempo e che, in origine, era guidato principalmente dalla Chiesa cattolica. I partiti di destra e i loro leader in tutto il mondo, da Jair Bolsonaro in Brasile a Vladimir Putin in Russia, si sono resi conto che utilizzando le questioni di genere per promuovere la loro agenda politica, si appellano a qualcosa che le persone possono facilmente attribuire al “buon senso”. L’antifemminismo è quindi utilizzato per la sua idea essenzialmente nativista secondo la quale le nazioni si stabiliscono ripetutamente attraverso l’egemonia di due generi e la maternità.
Inoltre, la mobilitazione antifemminista viene utilizzata anche per la comunicazione politica che contraddistingue i populisti di destra, ossia il ricorso agli antagonismi: si oppongono, ad esempio, all’élite politica e ai migranti, così come ai politici che sostengono la parità di genere e ai professori degli studi di genere. Ciò spiega perché molti partiti di destra, durante la notte di San Silvestro del 2015/16 a Colonia, hanno commesso violenze contro le donne nella loro mobilitazione contro i migranti. In fin dei conti, la questione di genere è un buono strumento per i partiti di destra per mettere in chiaro quali sono i contenuti della loro agenda o almeno chi sono i loro avversari.
Da un lato, il movimento agisce contro la parità di diritti, dall’altro, descrive se stesso come promotore dell’uguaglianza e gli altri, in particolare i migranti musulmani, come coloro che la distruggono, con lo scopo di svalutarli. Come è possibile spiegare questa contraddizione?
I partiti di destra si servono molto di ambivalenze e di contraddizioni perché permettono loro di presentarsi come i rappresentanti di un popolo in apparente confusione. Queste, inoltre, favoriscono la costruzione delle argomentazioni utilizzate per opporsi ai migranti maschi che, ai loro occhi, mettono in pericolo l’uguaglianza ormai raggiunta in paesi come la Germania o l’Austria. Allo stesso tempo, i populisti di destra sostengono che nei paesi occidentali non sono necessari ulteriori sforzi per raggiungere una maggiore uguaglianza, affermando che: “le nostre donne godono già di molti più diritti di parità rispetto alle donne migranti, dunque una maggiore uguaglianza non è necessaria”.
Il 19 febbraio, ad Hanau, in Germania, un uomo ha ucciso nove persone nei locali dove si fuma il narghilè, per poi uccidere sua madre e infine se stesso. Il suo fascicolo, tra le altre cose, manifesta il suo odio per le donne. Stiamo forse sottovalutando la potenziale letalità dell’antifemminismo?
Per quanto riguarda la violenza di destra, la Germania rappresenta un caso molto particolare e non è chiaro quale ruolo rivestano le forze di polizia e l’ufficio federale della protezione della costituzione. Ma ciò che invece è chiaro è che in Germania gli estremisti di destra sono pericolosi e sottovalutati, forse addirittura incoraggiati o coperti dalle stesse istituzioni alle quali dovrebbero opporsi.
Ugualmente sottovalutati sono i profondi legami che uniscono razzismo, antisemitismo, misoginia e sessismo. Ciò che viene trascurato è che gli uomini spesso si radicalizzano simultaneamente come razzisti e antisemiti, e anche come sessisti, misogini e autoproclamati “anti-genderisti”. Quando qualcuno si definisce “anti-genderista”, antifemminista o sessista, è segno di un certo grado di radicalizzazione che può essere ulteriormente rafforzato da un’ideologia razzista o antisemita che può portare dunque alla violenza. Storicamente, tali strutture di esclusione e di discriminazione sono state strettamente connesse a partire dal XIX secolo. Nella Germania nazista, ad esempio, l’antisemitismo ha fatto molto per svalutare i sessi: gli ebrei venivano femminizzati con lo scopo di svalutarli attribuendogli caratteristiche che erano considerate tipicamente femminili. Si tratta di un modello di pensiero che è sempre sopravvissuto attraverso i diversi cicli di razzismo e di antisemitismo.
Nel caso di Hanau, trovo particolarmente interessante il fatto che alcuni media abbiano riportato che l’assassino ha ucciso nove persone, quando, di fatto, l’uomo ha anche ucciso la madre, caso tipico di violenza contro le donne all’interno delle mura familiari e classico esempio di femminicidio.
Il termine “femminicidio” si riferisce all’“omicidio di donne e di ragazze a causa del loro sesso, commesso o consentito da parte di attori pubblici e privati”, come nel caso di omicidio all’interno di una relazione o di crimini d’‘onore’. Nel 2017, nella sola Germania sono stati commessi 189 femminicidi, anche oltre lo spettro della destra: in che misura l’antifemminismo violento è socialmente ancorato e come reagiscono le istituzioni pubbliche?
Lo sfondo di tali femminicidi è fondamentalmente sempre caratterizzato da strutture di svalutazione e di dominio. I femminicidi, in genere, si verificano all’interno di una relazione, spesso quando la donna comunica al suo partner o al marito che ha intenzione di lasciarlo oppure quando lo ha già lasciato. Non appena le donne si liberano da tali strutture di dominio, gli uomini credono che qualcosa che gli appartiene gli è stato portato via ed è in questi casi che diventano violenti. Inoltre, i femminicidi vengono commessi anche nei paesi nordici, sebbene siano spesso considerati come paesi particolarmente progressisti e poco misogini. I femminicidi si trovano quindi nei contesti e nei paesi più svariati.
Non appartengo al gruppo di femministe che affermano che l’unico modo per combattere la violenza di genere sia quello di arrestarne i colpevoli, non penso sia questa la soluzione. Tuttavia, quando si tratta di prevenire e di punire atti di violenza, le forze di polizia rappresentano un attore sociale molto importante e, di conseguenza, anche i tribunali e le procure hanno la loro responsabilità. C’è ancora molto da fare per aumentare la consapevolezza e ciò comporta anche misure in cui vari attori quali le forze di polizia, ma anche le ONG e le case rifugio, lavorano insieme per capire come proteggere le donne e allo stesso tempo educare gli autori delle violenze.
Guardando all’Europa nel suo insieme, quanto cambia questo movimento nei diversi paesi? E, d’altra parte, quanto è sviluppata la sua rete di contatti?
Questo movimento ha una rete di contatti molto ben sviluppata, soprattutto attraverso Internet: nelle chat room, ad esempio, è possibile agire a livello globale. In Europa, i partiti di destra hanno anche una rete molto ampia all’esterno dei social media. Alcuni di loro siedono insieme al Parlamento europeo e, anche se non sempre sono in buoni rapporti, cooperano nella loro mobilitazione antifemminista. In questo contesto, ad esempio, le immagini vengono scambiate, gli slogan vengono tradotti o si formano alleanze su richieste individuali, come un divieto di velo.
Ma ci sono anche chiare differenze: ad esempio, il PiS (Prawo i Sprawiedliwosc, Diritto e Giustizia) in Polonia è molto più fortemente connesso con la Chiesa cattolica rispetto all’AfD (Alternative für Deutschland, Alternativa per la Germania) in Germania o al FPÖ (Freiheitliche Partei Österreichs, Partito della Libertà Austriaco) in Austria. Ciò si riflette nell’immagine familiare sostenuta dal PiS e nel suo rifiuto dell’omosessualità, cosa che invece è rara nei paesi in cui vi sono, ad esempio, leader omosessuali all’interno di partiti e di organizzazioni di destra. Il FPÖ, ad esempio, non è mai stato particolarmente apertamente omofobo e questo lo distingue chiaramente dal PiS.
Ma ci sono anche differenze con i paesi nordici: alcuni partiti, come il FPÖ, si oppongono fortemente all’integrazione della dimensione di genere e alle politiche di uguaglianza. In Danimarca e in Svezia, d’altra parte, i partiti di destra sono molto cauti quando si tratta di attaccare l’uguaglianza. In quei paesi questi diritti sono così culturalmente ancorati che vi è la consapevolezza di non poter mobilitare nessuno mettendo in discussione quello in cui crede. D’altra parte, i movimenti antifemministi e i populisti di destra di questi paesi si mobilitano più fortemente contro le donne migranti.
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