Alla dura prova delle migrazioni e del terrorismo gli accordi di Schengen non bastano più.
L’eliminazione dei controlli sulle persone, prevista dagli accordi siglati nel 1985. nella piccola città belga, tra Francia, Germania e Benelux, definita poi nella Convenzione del 1990 ed entrata in vigore nel 1995 e via via estesa a quasi tutti i Paesi UE, rappresenta il segno più tangibile, assieme alla moneta unica, dell’unità europea finora conseguita.
Come ieri l’esplosione dei debiti pubblici nazionali ha messo in crisi un’unione monetaria priva di un governo politico europeo, determinando poi una gravissima crisi economica e sociale nei nostri Paesi, così oggi due problemi diversi e distinti - i flussi migratori e il terrorismo - mettono in crisi la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione.
Ma c’è una differenza radicale tra le due crisi. Mentre quella dell’unione monetaria è stata fronteggiata avendo a disposizione un’istituzione federale (la BCE) che ha garantito la tenuta del sistema utilizzando tutti gli strumenti necessari a sua disposizione (whatever it takes to preserve the euro, M. Draghi), la crisi sul terreno della sicurezza vede l’Europa completamente disarmata.
Non c’è, infatti, un’istituzione federale che possa agire per gestire i flussi migratori lungo le rotte balcaniche e mediterranee. Così come non c’è un’istituzione federale europea di intelligence e per l’azione di contrasto del fenomeno terroristico. E tantomeno esiste una difesa o una politica estera europea capace di elaborare prima una strategia di stabilizzazione della crisi e poi una politica di sviluppo ai confini dell’Europa (Nord Africa e Medio Oriente).
Di fronte alla “crisi della sicurezza” molti Stati dell’Unione stanno reagendo pensando di garantire sicurezza ai propri cittadini ripristinando vergognosamente i confini interni. S’illudono ed illudono i cittadini, per carpirne un facile consenso politico ed elettorale. Come i fatti hanno dimostrato, la crisi greca non si è risolta ritornando alla dracma, così oggi la crisi della sicurezza non si risolve ripristinando i confini nazionali o isolando la Grecia, ma a partire dalla creazione di un corpo militare europeo a presidio della frontiera esterna.
Ma oggi per difendere Schengen occorre andare “oltre Schengen”. È il momento di dar vita ad una sovranità europea sul territorio comune, ad una statualità europea sul terreno della sicurezza, senza la quale non c’è né progetto né identità europea. Nell’immediato occorre chiedere che la Commissione europea dichiari “irricevibile” la richiesta di sospendere Schengen per due anni e proceda invece ad una rapida formalizzazione della proposta di introdurre una guardia europea di frontiera che abbia il potere di agire negli Stati membri anche senza bisogno del loro consenso.
1. su 28 gennaio 2016 a 00:15, di francesco franco In risposta a: Oltre Schengen, un territorio per una sovranità europea
In questa Europa Semilibera (la crisi di Shengen è quella del recupero della sovranità in politica estera. Recupero di sovranità che avviene perché gli Americani del Nord che quella sovranità avevano confiscato si stanno ritirando dalle frontiere esterni della EU. Il conducente del veicolo diplomatico della penisola nel frattempo ha dimenticato la perizia nella guida (e certo non è facile condurre una politica estera alle frontiere con 56 mani sul volante (28 per due. Ma perdici la UE esiste!) ed è perfettamente in grado di superare questa crisi che non è patologica ma fisiologica. Come tutti gli organismi per la UE è giunto il momento della pubertà, di affermare l’effettività della sua politica su un territorio, la crisi -come a tutte le federazioni in nuce - deve fare uscire la UE dalla fase infantile e farla diventare effettive le sue decisioni. Varie civiltà hanno riti iniziatici (ANCHE CRUENTI) per segnalare il passaggio dall’infanzia alla pubertà. Non ci si dovrà pertanto spaventare se il Governo italiano e magari quello tedesco dovessero chiedere con toni polemici alla Commissione di imporsi sui recalcitranti. Il passaggio dalla carta trattata, consensualmente, all’effettività imposta diventa ad un certo punto dell’approfondimento delle federazioni che evolvono una fase fisiologica (non patologica!) ineludibile.
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