Parliamo oggi delle conseguenze della pandemia di COVID-19 sulle disuguaglianze

Pandemia e disuguaglianze

, di Arianna Mappelli

Pandemia e disuguaglianze

Se prima la crisi economica era quella del 2008, ad oggi la pandemia e le disuguaglianze hanno spinto ancora di più la popolazione verso un abisso senza fondo.

La pandemia da COVID-19 ha assestato un colpo basso all’economia europea, che si è vista vacillare di fronte ad uno stato di emergenza improvviso e sottovalutato. Molti posti di lavoro sono saltati, le aziende hanno chiuso e si è dovuto modificare il modo di fare mercato perché quello tradizionale, il negozio fisico, poneva dei paletti difficili da svincolare.

L’eCommerce relativo agli acquisti ha avuto un incremento del 31%, arricchendo grandi aziende come Amazon, i vari social e videogiochi, andando a sottolineare quel divario per cui i ricchi diventano ancora più ricchi, ed i poveri sempre più poveri.

Così, se prima del 2019 si pensava che la strada per combattere la povertà nel mondo fosse ormai spianata, la pandemia ha cambiato le carte in tavola e non ha solo rallentato il processo, ma peggiorato la situazione già grave sia nei paesi in via di sviluppo, che hanno subito un blocco, sia in quelli economicamente avanzati.

Se a dicembre del 2019 il tasso di disoccupazione ha sfiorato il 7,4%, il punto più basso dal 2008, ad oggi si aggira intorno al 6,2%, con un incremento del 1,3 rispetto all’anno precedente, che porta a sperare in una lenta ripresa.

La situazione pre-pandemia in Italia, se si considerano i livelli di povertà assoluta, aveva visto i giovani sempre più indeboliti e costretti a far fronte ad un aumento delle disuguaglianze, soprattutto per quanto riguarda la regione di residenza. Infatti, si è potuto osservare come nei regioni del nord la percentuale di disoccupazione fosse del 4,5%, a differenza del sud nelle quali è stato calcolato quasi il doppio.

Le differenze sono evidenti anche sul piano della cittadinanza e dell’istruzione, in cui la percentuale di povertà assoluta tra le famiglie nelle quali la persona responsabile ha conseguito un diploma di scuola superiore è del 3,4%, rispetto a quelle dove il titolo di studio è pari alla licenza media con un tasso dell’8,6%.

Non è un problema solo italiano, ma dilaga in tutte le regioni del mondo. Mentre i pochi ricchi continuano ad arricchirsi, i poveri sono sempre di più, e si stima che nel mondo più di 163 milioni di persone siano cadute in povertà, e nel solo 2020, in Italia, se ne siano aggiunte un altro milione.

Secondo uno studio della OXFAM International, l’organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze, i primi due anni di pandemia sono stati fruttuosi per i dieci uomini più ricchi del mondo, che hanno visto raddoppiare i loro patrimoni, guadagnando migliaia di dollari al secondo. Stesso lasso di tempo nel quale molte altre persone vedevano venire meno le loro possibilità di un salario decente e di uno stile di vita dignitoso.

Ogni 4 secondi una persona muore perché non può avere accesso alle cure, per la fame, per la crisi climatica e la violenza di genere.

La pandemia è solo l’ultimo di una lunga serie di eventi per cui i livelli di disuguaglianza nel mondo sono ancora così elevati. Ad aggravare la situazione contribuisce lo scoppio della guerra russo-ucraina che ha fatto aumentare i prezzi di materie prime fondamentali e delle fonti di energia.

Chi sono i più esposti ad una condizione di povertà assoluta?

Certo, non si può dire che la povertà colpisce tutti ed in egual modo. È un problema globale, ma allo stesso modo disomogeneo e mal distribuito sia sul piano geografico sia su quello sociale.

Infatti, non è giusto dire che una persona con un lavoro stabile e dignitosamente retribuito soffra la povertà allo stesso modo di una con un contratto a tempo determinato che vede incerto il suo futuro.

Questo problema si riflette soprattutto sulle nuove generazioni schiacciate tra la sicurezza di un’occupazione stabile, che è comunque poco sicura in questo periodo, ed investire nell’istruzione per avere uno stipendio che non sfiori la soglia della sufficienza.

Non sono solo i giovani a scontare le nuove crisi, ma anche le donne. É una cosa sentita e risentita, che con il tempo e qualche intervento del Legislatore sembrava in fase di superamento, ma non è effettivamente così.

Il gender gap è presente, e durante una crisi viene evidenziato e riportato alla luce. Difatti, le donne hanno subito economicamente il colpo più forte a causa della pandemia, perdendo 800 miliardi di dollari di redditi nel 2020 ed affrontando un aumento del lavoro non retribuito, tra cui quello domestico.

L’84% delle lavoratrici tra i 15 e i 64 anni è impiegata nei servizi più colpiti dalla pandemia, in cui posti di lavoro sono stati dimezzati e gli stipendi ridotti al minimo per fronteggiare la crisi e cercare di salvare il possibile.

Come combattere la povertà assoluta

Eliminare la povertà dal mondo è uno degli obiettivi più antichi della storia, e quando è stata stilata dall’ONU la lista delle mete da raggiungere entro il 2030, l’Agenda 2030, è stato inserito come obiettivo numero uno da realizzare.

I provvedimenti presi precedentemente la pandemia ormai sono insufficienti per tagliare il traguardo entro la data prestabilita e così bisogna cercare nuove soluzioni ad un problema sempre più vecchio.

Nonostante la Comunità economica europea si impegni dal 1975 a sviluppare progetti contro la povertà e l’esclusione, viene continuamente contestata. Nel 1999 venne stilato il Trattato di Amsterdam con il quale si iscriveva l’eradicazione dell’esclusione sociale tra gli obiettivi della politica sociale comunitaria.

Un anno dopo, la Strategia di Lisbona è servita da orientamento e coordinamento degli Stati membri al fine di creare delle politiche nazionali efficienti.

A seguire, l’Unione Europea ha fatto un passo importante dando forma alla Strategia Europa 2020, un programma che ha come obiettivi la crescita e l’occupazione nel territorio europeo.

La strategia aveva tre caratteristiche principali: la crescita intelligente, basata sulla conoscenza e l’innovazione, la crescita che coniugasse la competitività con la sostenibilità ambientale, e la crescita inclusiva.

Questi tre grandi filoni sono stati i punti di partenza per lo sviluppo di nove indicatori, che si sarebbero dovuti raggiungere entro la fine del programma, tra cui: arrivare al 75% del tasso di occupazione per le persone tra i 20 ed i 64 anni, investire maggiormente sulla ricerca e lo sviluppo del PIL europeo, abbassare la percentuale di abbandono scolastico al 10% ed innalzare la frequentazione delle università al 40%. Ridurre almeno di 20 milioni le persone al di sotto del limite di povertà ed il raggiungimento del target 20-20-20 per quanto riguarda l’energia ed i cambiamenti climatici.

Questi obiettivi sono stati raggiunti? Sembrerebbe di no. Da quando fu lanciata la Strategia Europa 2020 nel 2008 due dei nove indicatori sono peggiorati rispetto all’origine. Uno di questi è il numero di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale che è aumentato dal 2008 al 2015 di quasi 1,6 milioni, l’altro è Il tasso di occupazione che sarebbe dovuto arrivare al 75%. Non solo non ha raggiunto il valore richiesto, ma è passato dal 70,3% nel 2008 al 70,1% nel 2020.

Nonostante nel settembre del 2021 sia avvenuto un aumento dell’occupazione, soprattutto femminile, tra la fascia dei 25 ed i 34 anni, non si può pensare in una crescita continua e inarrestabile, se si considera il fatto che la maggior parte dei contratti sono a tempo determinato.

Se non si ripensa il modo in cui viene distribuito il lavoro, da qui a breve tempo la disoccupazione ricomincerà a salire e ci saranno sempre più persone alla ricerca di un’occupazione e meno posti disponibili.

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