Panem et circenses: riflessioni sul turismo di massa

, di tradotto da Benedetta Bavieri, Vincent Cruz-Mermy

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Panem et circenses: riflessioni sul turismo di massa
“La libertà non si vende per tutto l’oro del mondo” è il motto della città di Dubrovnik, ironico se si pensa ai danni che il turismo di massa ha provocato alla vita degli autoctoni. Immagine di Ivan Bagić, Pixabay

In questo articolo, Vincent Cruz-Mermy riprende un recente rapporto di Eurostat focalizzato sulla Croazia, il cui livello di sviluppo si avvicina a quello della Romania transilvana. Partendo da tre frasi sentite nel corso di diverse conversazioni, l’autore analizza gli eccessi del turismo di massa e invita all’adozione di nuove pratiche per sviluppare un turismo sostenibile e responsabile.

“In hotel sentivo parlare solo tedesco”

Dato di fatto: fino agli anni 2000/2010, la destinazione preferita degli europei occidentali in cerca del dolce far niente e del sole è stata la costa mediterranea della Spagna, principalmente le città di Benidorm e Barcellona. A suon di blocchi di appartamenti e spiagge affollate, la regione ha basato la propria economia sull’afflusso massiccio di turisti provenienti dal nord Europa una volta all’anno. Vedendo il potere d’acquisto di questi membri dell’UE, nettamente superiore alla media europea, qualcuno ha pensato bene di lucrarci sopra. Da un punto di vista finanziario, per i proprietari è diventato quindi più interessante puntare sugli affitti a breve termine (Airbnb primo fra tutti), piuttosto che mettere un appartamento in affitto «classico». La redditività è chiaramente migliore, tuttavia il patrimonio immobiliare locale viene messo sotto pressione, finendo per far scarseggiare i luoghi abitabili. Altra conseguenza è che i turisti abbandonano queste destinazioni (benché ancora molto redditizie) a causa dell’impennata dei prezzi degli alloggi e del calo della qualità dei servizi forniti dalle strutture ricettive.

Ecco quindi la riscoperta delle coste croate: soleggiate quanto quelle della Costa Azzurra, con un settore alberghiero di qualità (ereditato dall’ex Jugoslavia) e, soprattutto, parte di un paese in crisi economica per il quale l’afflusso di capitali esteri non può che essere un vantaggio. Sono gli italiani ad approfittarne per primi, poi i turisti tedeschi, fino a creare una sorta di bolla economica quasi fuori dal tempo, che è esplosa con la pandemia mondiale. Tale bolla si è formata perché la Croazia ha puntato enormemente sul settore turistico, tanto che quest’ultimo è arrivato ad essere pari al 20% del PIL del paese (a scapito di settori storicamente forti come quello della costruzione navale, per esempio). Quel che è peggio è che il potere d’acquisto non è aumentato in vent’anni, nonostante l’afflusso alberghiero faccia talmente salire i prezzi degli immobili da spingere la gente del posto fuori dalle città e arrivi persino a minacciare la classificazione di Dubrovnik come patrimonio mondiale dell’UNESCO.

“Ci siamo davvero divertiti in quel locale a Praga, eh?”

Ho avuto la possibilità di viaggiare in questi paesi oltre la cortina di ferro e la realtà è ben diversa. Prendiamo l’esempio di Praga: al di là dell’alcol a buon mercato e forse di qualche ristorante tipico a prezzi interessanti, la maggior parte dei locali per mangiare hanno prezzi paragonabili a quelli del IX arrondissement di Parigi (dove ho lavorato per un po’). Per quanto riguarda la cultura, l’ingresso in un museo costa venti euro e per visitare una minuscola cripta bisogna spenderne più di otto. Sono prezzi già visti durante i viaggi nelle varie regioni francesi.

Ma come vive, in questo caso, il cittadino medio? Beh, piuttosto male. Durante una sosta in Slovenia, a Maribor (capitale europea della cultura 2012), ne ho parlato con chi mi stava ospitando e ho ricevuto una risposta molto chiara: “non possiamo permetterci di vivere nel nostro stesso paese”. Gli affitti, gonfiati per permettere la locazione di breve durata, spingono gli autoctoni a espatriare in cerca di un tenore di vita migliore o a vivere in condizioni estremamente precarie. Pagare dieci euro una porzione di fish and chips mi ha piuttosto sorpreso, considerato che il salario medio del posto varia fra i 700 e i 900 euro nel migliore dei casi. Altro shock, pagare uno zaino qualsiasi in un centro commerciale una trentina di euro. Un amico serbo trasferitosi in Slovenia per uno scambio ha avuto la mia stessa impressione.

“Eeeh, ma fare un viaggio là costa un sacco!”

Chi bisogna ringraziare per questo effettivo peggioramento delle condizioni di vita della gente del posto, a beneficio del turismo di massa? Chiaramente alcuni abitanti senza scrupoli che non vedono l’ora di fare soldi facili (la Croazia, come il Montenegro, ha sviluppato tutta una parte della propria economia attorno al cambio di valuta), i tour operator, gli allettanti pacchetti all inclusive, i nuovi operatori low cost (easyJet e Ryanair sono stati i primi ad attivare dei collegamenti giornalieri da e per destinazioni come Budapest e Praga) e, ovviamente, la gola di migliaia di turisti che non vogliono spendere troppo. Che senso ha dopotutto preoccuparsi di dove andranno a finire i soldi? Nuova vittima di questo turismo low cost è il Montenegro che, pur di soddisfare il piano di redditività delle aziende del settore, si trova ad affrontare problematiche come quella dei lavoratori irregolari o del traffico di esseri umani provenienti dal Bangladesh e dal Pakistan (di recente, il paese è stato scosso dal caso di una decina di cittadini asiatici trovati dentro a un container). Queste circostanze spingono quindi i lavoratori del posto, ancora una volta, a lasciare il paese o a lavorare in condizioni sempre più precarie.

Mi sembra di sentire dal fondo della sala qualcuno che commenta: “Vincent, sei simpatico eh, ma ti lamenti tanto senza di fatto proporre nulla”. Ti risponderò, caro giovane folle, con la tua sete di scoperta e di foto Instagram inedite: dirò forse l’ovvio e proporrò un genere di turismo ragionato, focalizzato sulla natura e sulle meraviglie che ci offre questa Europa di Schengen, insieme ai Balcani occidentali e orientali. Guardiamo il patrimonio ricco delle città fuori dai sentieri battuti. Andiamo incontro ai nostri vicini europei e soprattutto non rinchiudiamoci in complessi alberghieri, vere e proprie invisibili prigioni di cui siamo al contempo detenuti e carcerieri.

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