Atto primo: la Pax Romana
Questo periodo di pace derivò dalla schiacciante superiorità da parte dell’esercito romano, che permise all’Impero di imporre la pace (alle proprie condizioni) alle popolazioni sottomesse. Storiograficamente viene fatta iniziare nel 27 avanti Cristo e finire nel 180 dopo Cristo. Durò circa due secoli.
Atto secondo: la Pax Britannica
In seguito alla sconfitta di Napoleone nel 1815, cominciò un periodo di dominio per l’Impero Britannico. Nonostante non si possa parlare di imposizione di pace in questo caso, nel Sistema Internazionale (SI) dell’epoca non si intravedevano attori con la capacità (e/o la volontà) di impensierire gli interessi britannici. Da ciò ne scaturì un’egemonia che storiograficamente viene fatta durare sino allo scoppio del primo conflitto mondiale nel 1914.
Atto terzo: la Pax Americana
La condizione di pace e di (assolutamente non scontata) mutua assistenza verificatasi tra i Paesi appartenenti alla cosiddetta civiltà occidentale – in particolar modo quelli europei (che sta durando ancora oggi grazie ad un processo di integrazione che ha reso impossibile la rinascita di una competizione nazionalistica tra gli Stati europei) – al termine del Secondo Conflitto mondiale viene attribuita alla netta superiorità economico-militare statunitense. Gli Stati Uniti d’America, in cambio di ingenti risorse economiche, fondamentali per ricostruire un continente devastato dalla Seconda Guerra mondiale, riuscirono a imporsi come potenza di riferimento nei riguardi di Paesi che nell’arco della loro storia hanno sempre convissuto in una logica competitiva. Viene solitamente evidenziato come apice di questa pax il periodo “unipolare” che va dalla caduta dell’Unione Sovietica alla metà degli anni ’10 del ventunesimo secolo.
Atto quarto: la Pax Atomica
La principale spiegazione che viene data alla (fortunatamente) mai avvenuta escalation diretta tra gli attori principali del SI in questi decenni è legata all’esistenza dell’arma atomica. In questo caso tutto ruota attorno al concetto di deterrenza, ossia l’utilizzo della minaccia di rappresaglia per proteggersi da un attacco nucleare. Ovviamente, affinché la deterrenza sia efficace, tutti gli Stati dotati di arma atomica devono essere in grado di infliggere un danno inaccettabile a ciascun attore dotato di arma atomica che decida di attaccare per primo, la cosiddetta second-strike capability, o “distruzione assicurata”. In questo modo si viene a verificare una condizione di Mutual Assured Destruction (MAD). Ciò crea i presupposti per cui nessuno uscirebbe vincitore da una guerra atomica, e dunque vi è sommo interesse a non farla cominciare. A suo modo è stato un efficace generatore di pace tra le grandi potenze.
La tragedia
Per quanto riguarda i primi tre “atti”, è molto complicato averne una visione positiva. Essendo il SI anarchico, seguendo la definizione del politologo Chris Brown, i governanti di ciascun Stato “non riconoscono alcun eguale nella sfera interna (si suppone che uno Stato abbia le capacità e i mezzi necessari per detenere il monopolio tendenziale della violenza all’interno dei propri confini), e alcun superiore in quella esterna”. Per questo motivo – parafrasando Raymond Aron – “la politica estera è, in quanto tale, politica di potenza”.
L’obiettivo principale di un attore statale in un sistema anarchico è la conservazione della propria indipendenza nei confronti degli altri attori. Sulla base di questo interesse, secondo determinate circostanze, questi attori creeranno/disferanno alleanze per difendersi e per impedire che uno o più attori possano accumulare forze in grado di ledere la propria indipendenza. Si ha una condizione di equilibrio quando le forze in possesso sono ben bilanciate tra le parti in modo da evitare le cause immediate di un conflitto.
Nonostante la dottrina realista consideri il fine ultimo di ciascun attore la permanenza dell’equilibrio, la storia ci insegna che così non è stato. Vi sono stati attori, spinti dalla gloria e dalla voglia di (maggior) sicurezza – e questa caratteristica accomuna qualsiasi attore abbia perpetrato politiche imperialistiche – che hanno tentato di unificare il mondo con quella che Luigi Einaudi chiamò la spada di Satana, ossia imponendo la pace – alle proprie condizioni – agli attori dominati. Raggiungere un grado di superiorità tale da poter dominare una considerevole parte degli attori rivali è molto difficile, dunque molti di questi tentativi sono svaniti nel nulla in pochissimo tempo. Tuttavia persino laddove questo obiettivo è stato perseguito, ciò non ha risolto il problema della sicurezza. Un fautore dell’equilibrio di potenza come David Hume, esprimendo il proprio disprezzo per gli imperi, specificò che “le monarchie sono probabilmente distruttive per la natura umana; nello sviluppo e nella durata che hanno, ed anche nella loro caduta, che non può mai essere molto lontana dalla loro fondazione”.
La tragedia è già nota a noi federalisti in quanto l’equilibrio di potenza e gli imperi che si basavano sull’imposizione della sicurezza agli attori sottomessi hanno garantito quella che Lord Lothian definiva “pace negativa”, ossia un’assenza solo temporanea della guerra, ma non potranno mai garantire una “pace positiva”, ossia una condizione – ribadisce sempre Lothian – “in cui i conflitti politici, economici e sociali sono risolti con mezzi costituzionali sotto il regno della legge”. La pace positiva è (stata) invece garantita dalla Pax Europaea, che molti erroneamente presentano come un sottoprodotto della Pax Americana. La Pax Europaea – rappresentata maestosamente dalla pace perpetua che si è venuta a creare tra gli aderenti al processo di integrazione europea in atto – non è altro che la concretizzazione della possibilità di pensare e progettare il futuro configurando le relazioni internazionali come un processo fatto dagli uomini e sottoposto alle scelte degli uomini.
Se i primi tre atti rientrano direttamente nella tragedia, la stessa cosa non si può dire della Pax Atomica, in quanto tutti gli attori statali in un SI hanno come obiettivo la permanenza dell’equilibrio e il perseguimento della propria sicurezza, con l’aggiunta in questo caso dell’impossibilità di perseguire la gloria senza venire a propria volta distrutti. Tuttavia va sottolineato che la Pax Atomica per essere tale necessita che tutti gli attori statali si dotino di arma nucleare, in quanto la deterrenza al momento ha solamente congelato gli scontri militari diretti tra grandi potenze, costrette a misurarsi tramite guerre per procura e trasformando così crisi regionali in veri e propri banchi di prova. L’Ucraina non è che l’ultimo esempio in ordine cronologico. Seppur questa modalità indiretta di confronto militare ha di fatto reso impossibile il verificarsi di grandi guerre, la Pax Atomica rientra per noi federalisti nel campo della tragedia, in quanto salverebbe dalle conseguenze più aberranti dei conflitti solo i cittadini delle potenze nucleari, lasciando il resto del mondo in balia delle abitudini meno nobili della storia e contribuendo a marcarne le sempre più profonde divergenze socio-economiche.
A questo proposito, Albertini si farà scomodare volentieri per ribadire che “non si tiene ancora conto del fatto che con le armi nucleari esiste ormai anche la possibilità di ottenere la sicurezza non più, come nel passato, con la capacità di far fronte ad una guerra, ma con la certezza pratica di non doverla subire. Se l’umanità come un tutto acquistasse il monopolio legale delle armi nucleari, la pace perpetua intravista da Kant sarebbe finalmente realizzabile. Non si può decidere a priori se questa è, oppure no, una utopia. Bisogna stare ai fatti, e tener presente che, in ogni fase della storia umana, ogni mutamento della tecnologia militare è sempre stato seguito da un mutamento sostanziale della forma e delle dimensioni del potere politico per una ragione di forza maggiore: la tecnologia militare condiziona strettamente lo sviluppo del monopolio legale della forza fisica, e quindi anche l’evoluzione stessa della statualità (in crisi ovunque proprio perché ancora bloccata nelle sue forme ottocentesche). Questa costante lezione della storia definisce il compito: si tratta di studiare la forma che deve assumere il potere politico nell’era nucleare. E in questo quadro l’ipotesi che si profila, e per la quale si può finalmente lavorare, è quella di un potere politico universale di carattere federale che garantisca la sicurezza, l’indipendenza e la eguaglianza di tutti gli Stati con la sola forza del diritto e della volontà generale”.
La Pax Europaea
Quattro atti, un’unica tragedia per l’umanità e l’Unione europea non ha ancora un assetto federale. L’idea di utilizzare la Pax Europaea come strumento di soft power è ridotta dall’immobilismo ad un granello di polvere in balia del primo soffio di vento. Eppure un appello per la creazione di un unico Stato federale comprendente la Palestina (libera dai terroristi – Hamas e Jihad Islamico – e dagli estremisti dell’Autorità Nazionale Palestinese) e Israele (libero da forze politiche che incentivano e foraggiano coloni che cancellano le libertà di un popolo la cui sola colpa è appartenere a quella terra) rappresenterebbe da parte dei leader europei un messaggio così profetico da far spavento, gridando e annunciando al mondo la concreta possibilità di sostituire al regno della forza quello della legge.
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