Perché “The Ventotene Lighthouse”

, di Guido Montani

Perché “The Ventotene Lighthouse”
L’isola di Santo Stefano vista da Ventotene. Il faro di Ventotene è visibile sulla destra. Foto di Nicola Vallinoto rilasciata con licenza CC BY-NC-SA

La pubblicazione di "Ventotene Lighthouse” avviene in un momento di gravi sconvolgimenti internazionali. La pandemia ha creato apprensioni e incertezze esistenziali. Altrettanto hanno fatto le notizie che le grandi potenze continuano la corsa al riarmo atomico e l’incuria con cui molti governi guardano impassibili alla distruzione della natura. L’umanità avrà un futuro? E cosa possiamo fare per invertire la corsa suicida verso l’abisso? “Il faro di Ventotene” si propone di gettare qualche luce su un panorama inquietante al fine di individuare un percorso che ci consenta di dare una risposta a questi interrogativi, per comprendere e per agire.

L’elezione europea del 2019 e il piano della Commissione “Next Generation EU” rappresentano una svolta nel processo di unificazione dell’Europa, ma quanto è importante? La costruzione europea è un processo complesso: occorre agire al suo interno, valutando mutamenti istituzionali che non sono netti come, ad esempio, la differenza tra monarchia e repubblica. La questione di quanto “federalismo” sia già incorporato nelle istituzioni europee è controversa. Io penso che si debba avere una concezione dello stato innovativa rispetto alla tradizionale definizione weberiana, che si fonda sul “monopolio della forza fisica legittima’. Gli stati sovranazionali non devono necessariamente seguire percorsi analoghi a quelli che hanno condotto alla formazione degli stati nazionali, né adottare i medesimi metodi di lotta per la costruzione di poteri sovranazionali.

Su queste questioni, la storia dell’integrazione europea offre insegnamenti preziosi. Le istituzioni sovranazionali dell’UE riescono a produrre beni pubblici europei, come il mercato interno, la moneta europea e (speriamo) un bilancio federale e una difesa europea – o, se si preferisce, istituzioni che forniscono beni pubblici ai cittadini europei. È la capacità di fornire beni pubblici il criterio corretto per valutare l’esistenza di uno stato sovranazionale. L’UE ha istituzioni federali (dunque statuali) anche sotto l’aspetto democratico, perché la codecisione legislativa tra Parlamento europeo e Consiglio, seppure oggi sbilanciata a favore del Consiglio, prefigura un modello di democrazia federale, entro il quale la Commissione europea può svolgere il ruolo di governo dell’Unione.

All’interno di questo processo politico si può individuare una linea di condotta per il futuro della lotta federalista. Affronto il problema ricordando una mia esperienza. Nel 2004, nel corso degli ultimi mesi della Convenzione europea, che seguivo a Bruxelles frequentemente date le mie responsabilità nel MFE e nell’UEF, nei mesi di febbraio-marzo Giscard d’Estaing ha proposto alla Convenzione di introdurre un articolo sulla “finalità federale” della costruzione europea, al posto della vecchia formula: “una unione sempre più stretta”. Naturalmente gli antifederalisti e molti governi hanno rizzato le orecchie, avanzando le consuete riserve e critiche. Mi sono reso conto che si stava decidendo il destino della Costituzione europea. Così ho cercato con tutte le mie forze di organizzare una manifestazione federalista in occasione della successiva riunione della Convenzione, per protestare contro la posizione dei governi antifederalisti. Tuttavia, il tentativo è fallito.

Il governo inglese e quello italiano, rappresentato da Fini come ministro degli Esteri, hanno posto il veto e la proposta di Giscard è stata archiviata. Riflettendo su questo fallimento, ho preso atto che il mio tentativo di mobilitazione non poteva non fallire: non si può chiedere a un movimento di volontari (che hanno un lavoro) di venire a Bruxelles da una settimana all’altra e per di più in un giorno lavorativo. Albertini in altre occasioni ricordava che il MFE è una forza propositiva, non di esecuzione. Quando arriva il momento di decidere, le decisioni sono prese da chi ha il potere di prenderle.

Si tratta di una riflessione di cui mi sono ricordato recentemente. In vista dell’elezione europea del 2019, alcuni giovani hanno cercato di fondare un partito europeo (continentale, non nazionale): “Volt”. Il tentativo non è riuscito, ma è comunque importante. Gli obiettivi di questo partito riprendevano alcune idee del programma politico federalista, naturalmente riformulate da giovani del XXI secolo. È una novità che non può essere ignorata. Quei giovani non intendevano entrare nel MFE perché volevano formare un partito europeo, per partecipare direttamente alla lotta politica, come “esecutori” di un progetto. Non si accontentavano del ruolo di propositori. Se questa tendenza tra i cittadini europei si consoliderà, alla prossima elezione europea potrebbe accadere che si formi un partito europeo con un orientamento federalista, oppure che si rafforzino le fila dei membri più favorevoli al federalismo dentro i partiti esistenti. Non possiamo certo prevedere ora cosa succederà tra qualche anno o qualche decennio (forse saranno necessarie più tornate elettorali). Tuttavia, salvo un pericoloso rigurgito causato dai partiti sovranisti, un rafforzamento nel tempo delle forze favorevoli alla federazione europea appare una previsione ragionevole. Anche la nuova dinamica politica impressa dalla crisi pandemica lo conferma: la Commissione ha fatto proposte lungimiranti sulle risorse proprie e le posizioni in vista della Conferenza sul futuro dell’Europa del tandem franco-tedesco sono incoraggianti. In questa prospettiva, quale sarà il ruolo dei federalisti?

Tuttavia, per individuare una nuova linea d’azione, queste novità europee non bastano. È necessario collocare l’UE e le sue politiche in un quadro politico globale. Al di fuori dell’Europa, la politica internazionale sta mutando rapidamente e profondamente. Dopo anni d’incertezza (la fine della storia, il mondo unipolare), la presidenza Trump ha seppellito ogni illusione sul mondo post-guerra fredda. Le potenze emergenti e quelle declinanti hanno adottato una comune ideologia e linea politica: il nazionalismo. Le istituzioni del vecchio ordine internazionale – l’ONU, il FMI la WTO e le agenzie come la WHO, il Tribunale penale internazionale – sono del tutto impotenti; non hanno il potere di difendere i principi del multilateralismo su cui sono state create. Che si tratti di sicurezza, commercio internazionale, stabilità monetaria, salute, lotta alla povertà, difesa dell’ambiente e dei diritti umani dobbiamo constatare non progressi verso il meglio, ma passi accelerati verso il peggio. Il nazionalismo non solo sospinge i governi delle grandi potenze verso un pericoloso contrasto, ma alimenta anche la ricerca di un potere accentratore crescente mediante politiche discriminatorie di tipo razziale e etnico. Negli USA è ritornato il suprematismo bianco, nella democrazia autoritaria russa, prevale l’ideologia della Grande Russia e la sua espansione verso il Mediterraneo, in Cina il governo impone l’omogeneizzazione etnica Han, perseguendo gli Uiguri (con una rieducazione forzata) e i Tibetani, in India il governo sta predisponendo campi di detenzione per i musulmani (200 milioni) per affermare la supremazia della etnia Indù. In un mondo in cui il nazionalismo si consolida e aumentano le tensioni internazionali, sopravvivrà la costruzione europea?

The Ventotene Lighthouse ha tentato di dare una risposta a questi due interrogativi. Alcuni federalisti di fronte alle nuove sfide si sono posti l’eterna questione della politica attiva: “Che Fare?”. Hanno discusso e riflettuto sulle origini della loro lotta, concludendo alla fine che fosse venuto il momento di riproporla su scala più vasta. La proposta si può riassumere in quattro tesi. La prima è un’ipotesi sul corso della storia; la seconda riguarda i valori in gioco; la terza le istituzioni adeguate alla realizzazione dei valori e la quarta il ruolo che possono svolgere i federalisti e l’UE in questo contesto.

Prima tesi: la linea di divisione tracciata a Ventotene può divenire una proposta di progresso per l’umanità. La distinzione tra progresso e reazione, tra partiti progressisti e reazionari, non riguarda più solo il processo di unificazione europea, ma vale anche su scala internazionale, per chi vuole arrestare la corsa alla degenerazione nazionalistica del vecchio ordine post-bellico. Oggi, persino i partiti che si definiscono progressisti, in ogni continente, non sanno più indicare una chiara distinzione tra progresso e conservazione. La tesi della fine delle ideologie è falsa, ma non si può negare che le ideologie tradizionali – liberalismo, democrazia e socialismo – siano in crisi. In un Pianeta dove le interdipendenze personali, economiche, sociali e politiche non si possono più racchiudere e comprendere entro i confini nazionali, i partiti politici sono disorientati: il loro orizzonte di pensiero e d’azione si limita alla conquista del potere nazionale. Il richiamo all’idea di progresso contenuta nel “Manifesto di Ventotene” è una proposta realistica e utopica nel medesimo tempo (è un’utopia positiva), perché liberalismo, democrazia e socialismo sono i valori sui quali è stata costruita la civiltà, non di questa o quella nazione, ma la civiltà degli esseri umani. Se si comprende la nuova idea di progresso, ai valori tradizionali occorre aggiungere la pace tra le nazioni e la salvaguardia ecologica del Pianeta, i rapporti tra umanità e natura.

Seconda tesi: ogni essere umano nasce come cittadino del mondo. La natura non genera cittadini nazionali. Secondo la biologia e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 1) ogni essere umano nasce come cittadino del mondo, sebbene il governo nazionale s’impossessi avidamente della sua identità. L’ideologia dello stato nazionale afferma che l’umanità “per natura” è divisa in nazioni: si nasce francesi, tedeschi, cinesi, brasiliani, ecc. Per demistificare questo sopruso dei poteri nazionali, The Ventotene Lighthouse ha scelto come sottotitolo: A Federalist Journal for World Citizenship. Il nazionalismo è un disvalore nella misura in cui pretende di difendere l’indipendenza nazionale mediante la dottrina della sovranità nazionale. L’indipendenza nazionale è un principio democratico che deve essere tutelato e difeso, ma non mediante la forza. Se sovranità nazionale significa che un popolo più armato e potente di altri può sottomettere le popolazioni più deboli e le minoranze, la sovranità nazionale giustifica la politica di potenza, il razzismo, l’imperialismo e la guerra. La cittadinanza cosmopolitica diventerà una realtà quando l’umanesimo si affermerà come cultura universale e l’umanità diventerà sovrana. È l’umanità – non questo o quel popolo, non questa o quella classe sociale – il nuovo soggetto politico della politica contemporanea. La proposta di una cittadinanza cosmopolitica non significa volere che le nazioni scompaiano. I popoli nazionali possono convivere pacificamente se adotteranno il principio dell’unità nella diversità.

Terza tesi: l’unità nella diversità, ovvero l’interdipendenza pacifica tra le nazioni, è possibile mediante la creazione di istituzioni federali sovranazionali. Il pensiero federalista non è ancora riconosciuto come una dottrina politica alla pari del liberalismo, della democrazia e del socialismo, perché tutti gli stati nazionali esistenti (USA, Canada, Australia, India, Svizzera, Germania, ecc.) hanno adottato il principio della sovranità nazionale nei rapporti internazionali, degradando così il federalismo a semplice dottrina del decentramento amministrativo. Anche l’Unione europea, pur avendo percorso un importante cammino verso il federalismo, è ancora incerta sulla sua identità politica. Eppure, il federalismo è la dottrina politica che insegna come sia conciliabile l’unità dei popoli nazionali con il rispetto della loro indipendenza, della democrazia e dei diritti e doveri di ogni popolo nei confronti degli altri membri dell’Unione. L’interdipendenza globale, economica e politica, genera inevitabilmente frizioni e conflitti se non è regolata da istituzioni sovranazionali. Uno stato federale sovrano, in un mondo di stati sovrani in lotta per la supremazia, finirà necessariamente per imporre un drastico accentramento di poteri oppur subirà gli allettamenti della politica, del “divide et impera”, accettando le esche che le altre potenze sovrane offriranno ai paesi membri per indebolirlo. L’UE può rifiutare questo dilemma.

Quarta tesi: l’Unione europea, una federazione in formazione, è un debole potere internazionale ma può prendere l’iniziativa per un nuovo ordine mondiale fondato sul multilateralismo. L’Unione europea se vuole sopravvivere in un mondo in cui le grandi potenze stanno disgregando le istituzioni del vecchio ordine internazionale post-bellico, deve dotarsi delle istituzioni necessarie per agire come attore internazionale. Lo può già fare grazie alla moneta unica e alla forza del mercato interno. Potrà agire anche con maggiore efficacia se riuscirà a dotarsi di una difesa europea. Tuttavia, la sua principale “forza” risiede nel soft power consistente nel suo modello federale di integrazione, in particolare nell’istituzione della cittadinanza europea, il primo esempio nella storia di cittadinanza sovranazionale. La cittadinanza sovranazionale mostra che alcuni popoli nazionali, un tempo nemici, hanno deciso di accantonare ogni ostilità per convivere pacificamente, grazie a leggi, doveri e diritti condivisi. La politica estera dell’Unione europea può svilupparsi in più direzioni per estendere il modello della convivenza pacifica fra popoli sia nelle regioni e nei continenti più vicini, sia nel più vasto sistema internazionale.

Le proposte specifiche per lo sviluppo della politica estera europea, sino alla creazione di una cittadinanza cosmopolitica, è il compito che gli amici di The Ventotene Lighthouse si sono proposti. È la politica estera europea il motore costituente per il consolidamento di un governo federale europeo. Se “propositori” e ”esecutori” agiranno uniti, il federalismo diventerà il pensiero politico dominante del XXI secolo.

Ringrazio Eurobull per la cortese ospitalità e mi congratulo con la sua Redazione per l’eccellente lavoro di diffusione delle proposte e delle idee sul futuro dell’Europa e del federalismo.

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