Prepararsi alle elezioni europee

Come e perché è necessario comprenderne il loro funzionamento ed evitare false verità

, di Riccardo Moschetti

Prepararsi alle elezioni europee

A sinistra vedete la composizione del Parlamento Europeo (PE) dopo le elezioni del 2014, a destra una possibile proiezione del PE dopo l’appuntamento elettorale del prossimo maggio.

A volte le immagini valgono più di mille parole. E questo ne è decisamente l’esempio. C’è un punto su tutti che da parte dei media, della società civile, dei politici stessi, da parte dell’opinione pubblica tutta risalta quando si parla delle prossime elezioni europee. Ci dobbiamo veramente aspettare un cambiamento radicale dopo i risultati delle elezioni del Parlamento europeo del prossimo maggio? La risposta è tanto semplice, quanto esaustiva: no.

È da qui che bisogna partire per sfatare ciò che sembra, nella comunicazione mediatica e politica una possibilità: le forze estreme (nazionaliste e populiste) dell’asse politico, che siano di destra, di sinistra, o di nessuna specifica posizione non vinceranno le elezioni europee. Perché non possono. Le elezioni europee infatti non sono altro che un insieme di risultati provenienti dalle elezioni nazionali che si svolgono ogni cinque anni nei Paesi membri dell’Unione Europea per eleggere, appunto, il Parlamento europeo. Benché nei Trattati sia ben specificato che il PE rappresenta «i cittadini europei», non esiste una legge elettorale unica, ma un’insieme di principi comuni che gli Stati devono rispettare nel disciplinare le elezioni europee nel loro territorio. Tra questi principi vige quello del rispetto della proporzionalità, il sistema elettorale che ‘meglio’ rappresenta le istanze dell’elettorato. In pratica, i seggi ottenuti dai partiti politici europei non sono altro che una media tra i voti raccolti negli Stati membri. Sebbene vi sia un’assenza formale di due delle componenti essenziali perché possa esistere un sistema elettorale (un corpo elettorale unico e, banalmente, una legge comune), le elezioni europee potrebbero anche funzionare nel loro intento, cioè rappresentare i cittadini europei in un’unica camera, tuttavia vi sono principalmente due motivi per cui questo non è momentaneamente possibile:

a) i partiti politici europei, coloro che ragionevolmente dovrebbero competere alle elezioni europee, sono un conglomerato (confederazione è il termine tecnico corretto) di partiti nazionali senza alcuna possibilità di incisione politica o mediatica all’interno delle arene elettorali degli Stati membri. Considerando che gli eurodeputati di fatto sono scelti, finanziati, formati ed infine eletti dai cittadini del loro Paese, la loro priorità nonché l’agenda politica di ogni partito politico che si affaccia alle elezioni europee riguarda principalmente questioni nazionali. In questo modo viene a perdersi il senso stesso dell’esistenza di un’istituzione come il Parlamento: il luogo in cui dei rappresentati dei cittadini, espressi per posizione politica, discutono le leggi per la comunità che li ha eletti.

b) C’è un serio problema con i gruppi parlamentari presenti nel PE. In qualunque sistema partitico esistente, i cosiddetti party in public office (così vengono definiti dalla scienza politica i gruppi parlamentari), sono delle entità ad hoc e interamente gestite dal partito politico (il party in central office) a cui i loro membri fanno riferimento. Nell’Unione europea, le cose sono differenti. I gruppi parlamentari, che nascono ben prima dei partiti europei, hanno molto più potere d’influenza sui propri eurodeputati, tant’è che spesso i sondaggi per le elezioni europee sono un guazzabuglio di sigle: vengono spesso inseriti nello stesso sondaggio i voti ai partiti europei (che non sono candidati alle elezioni europee) e quelli che il gruppo parlamentare prenderebbe in un dato momento. Questo crea, come se non bastasse, ancor più confusione nell’elettore. Inoltre, il problema del numero di deputati europei per Stato membro favorisce alcuni partiti politici nazionali rispetto ad altri, e quindi crea una tendenza ‘nazionalistica’ all’interno del gruppo parlamentare.

Ma ora, guardiamo le tendenze per le elezioni di maggio.

Considererò solo due gruppi parlamentari presenti ora nel Parlamento europeo, i più euroscettici e quelli con tendenze fortemente più nazionaliste (con più di qualche richiamo a correnti fasciste), ovvero i gruppi dell’ENF (Europe of Nations and freedom), e l’ECR (European Conservatives and Reformists). Entrambi soffrono di un problema di rappresentanza, tipico dopotutto di quasi tutti i gruppi parlamentari non molto numerosi: sono costituiti soprattutto da eurodeputati di alcuni partiti nazionali, il che rende le loro posizioni simmetriche a quelle assunte in istituzioni in cui viene rappresentato lo Stato. Questi gruppi politici sono ideologicamente vicini primeggiando l’interesse nazionale, l’identità e la cultura dei popoli e dello Stato nazione “minacciato” dall’intromissione delle politiche europee. La guerra all’unione economica e monetaria che conducono, veicola poi la maggior parte della loro propaganda in quanto affermano che la moneta unica abbia impoverito i cittadini e arricchito “i potenti”. Sono loro i cosiddetti nemici dell’Europa.

Ma la domanda che tutti si fanno (o dovrebbero farsi) a questo punto è: quanto valgono, in voti, questi partiti?

Gli unici Paesi in cui dei partiti politici che sono iscritti, o che hanno espresso volontà di iscriversi, al gruppo dell’ENF che superano il 2%, soglia minima prevista dei principi comuni per le elezioni europee (in Italia è il 4%), sono: Italia 32%, Austria 24%, Francia 21%, Olanda 13%, Slovacchia 9%, Repubblica Ceca 8%, Belgio 4%. Dunque, facendo un calcolo approssimativo, e considerando le quote che spettano agli Stati membri di eurodeputati, possiamo dire che gli unici Paesi che riusciranno a portare dei rappresentanti di questi partiti nel Parlamento europeo saranno: Italia (circa 25), Francia (circa 20), Austria (circa 5), Olanda (circa 5). Volendo esagerare, possiamo dire che con le proiezioni che abbiamo oggi, il gruppo dell’ENF non supererà il numero di 60/65 eurodeputati. Su un totale di 705.

Se osserviamo i dati dei consensi relativi ai partiti conservatori in Europa la situazione non migliora. Va fatta a questo punto una premessa. Bisogna ricordare che buona parte dei membri di questo gruppo era britannico, la Brexit tra i tanti cambiamenti che apporterà diminuirà notevolmente la componente di questo gruppo sebbene, paradossalmente, la tendenza nel resto dei Paesi sembra premiarli.

Ma è veramente così? Anche in questo caso, i partiti nazionali facenti parte di questo gruppo che superano la soglia minima di consenso per essere rappresentati al Parlamento europeo sono: Polonia (39%), Slovacchia (23%), Svezia (20%), Danimarca (18%), Olanda e Belgio (15%), Repubblica Ceca (14%), Lettonia (9%), Spagna e Lussemburgo (8%), Lituania e Bulgaria (6%), Italia (3%). Così come prima, bisogna però considerare il numero di eurodeputati assegnati ad ogni Stato membro. Facendo questo calcolo si può agevolmente affermare che, Polonia a parte in cui sarebbero eletti ben 22 eurodeputati del PiS, (il partito conservatore che tra l’altro governa il Paese), in nessun’altro caso nei paesi sopra nominati si supera la quota di 3, massimo 4, eurodeputati provenienti da partiti conservatori. In totale quindi, un numero che oscilla tra i 50 e i 55 eurodeputati.

Se la matematica non è un’opinione, ottimisticamente (e arrotondando per eccesso) nel prossimo Parlamento europeo non saranno presenti più di 120 eurodeputati euroscettici/nazionalisti. Comparandoli con quanti sono ora, si tratterebbe di un valore positivo di (soli) 15 membri in più.

La campagna per le elezioni europee è appena cominciata, e sarebbe errato non rilevare il crescente consenso che, a prescindere, questi partiti politici stanno guadagnando da ogni parte dell’elettorato. Non bisogna negare l’evidenza, ma nemmeno raccontare falsità. Naturalmente questi ragionamenti vengono fatti sulla situazione attuale, nessuno al momento può sapere se questi due gruppi cambieranno nome, non esisteranno più, o ancora si accorperanno per raggiungere una certa disciplina al momento del voto. Possiamo concludere affermando senz’altro che unire coloro che vogliono disunire è una pratica tanto difficile quanto poco costruttiva.

Fonte immagine: Europe Elects

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