Prospettiva europea - In nome della libertà in Ungheria

, di Gesine Weber, Laura Mercier, Michał J. Ekiert, Radu Dumitrescu, Tradotto da Anita Bernacchia, Xesc Mainzer Cardell

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Prospettiva europea - In nome della libertà in Ungheria
Questa testata, vera istituzione del giornalismo ungherese, ha resistito all’avvento del fascismo e poi del comunismo e avrebbe presto compiuto 80 anni. Ha pubblicato il suo ultimo numero l’11 aprile scorso, tre giorni dopo la massiccia rielezione del primo ministro Viktor Orbán.

Il mese scorso Viktor Orbán è stato rieletto Primo Ministro dell’Ungheria. Sarà dunque in carica per un quarto mandato, durante il quale i media e i giornalisti, le ONG, i rifugiati, le università, le minoranze, gli oppositori, gli attivisti continueranno a essere minacciati e oppressi. Alcuni dei caporedattori delle nostre edizioni linguistiche rispondono collettivamente, esprimendo la loro solidarietà verso i cittadini, le organizzazioni e le associazioni impegnate nelle campagne di protesta contro la dittatura di Orbán.

Laura Mercier (Le Taurillon): Sosteniamo e aiutiamo le ONG e gli attivisti che operano nell’Ungheria di Orbán

« Un altro mandato per Viktor Orbán, un altro mandato all’insegna di minacce e attacchi alla libertà di stampa, alle ONG, ai rifugiati, alle università. Un altro mandato caratterizzato da restrizioni nei confronti delle minoranze e da una retorica anti-UE ancor più pronunciata. L’elenco delle vittime delle politiche di Orbán sarebbe troppo lungo per un solo articolo. Mentre il Consiglio d’Europa ha espresso la sua preoccupazione sul nuovo pacchetto di leggi “Stop Soros”, che intende limitare e controllare una fetta ancora più consistente dell’attività delle ONG, noi sosterremo chiunque lavori e operi come attivista sotto il governo di Viktor Orbán. Sono in tante le persone che in Ungheria hanno bisogno dell’aiuto delle ONG, le quali non devono darsi per vinte.

Viktor Orbán continuerà a minare la società civile e i valori democratici. Questo pacchetto “Stop Soros” darebbe al Ministro degli Interni ungherese il potere di negare permessi a qualsiasi organizzazione e di imporre tasse aggiuntive sulle donazioni estere alle ONG che aiutano e sostengono i rifugiati in Ungheria. Inoltre, qualsiasi cittadino straniero a favore dell’immigrazione potrebbe essere espulso dal paese. Non è forse la libertà di opinione uno dei principi fondamentali dell’Unione europea, uno dei nostri diritti umani essenziali? Non è la libertà di parola il nucleo della democrazia?

È evidente che costringere Viktor Orbán e i suoi seguaci a leggere la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea non avrebbe alcun effetto, nonostante la forza e il valore simbolico che rappresentano. È evidente che chiamare Viktor Orbán “un dittatore”, come lo ha definito Jean-Claude Juncker, non lo farebbe sentire affatto in colpa. E che invocare più democrazia nei discorsi pronunciati a Bruxelles non cambierebbe nulla. A un anno dalle elezioni europee, l’ampio margine della vittoria di Orbán e del suo partito, nonché le calorose congratulazioni che alcuni membri del Partito popolare europeo gli hanno riservato, sono notizie allarmanti. Vogliamo un’Unione europea in grado di difendere i suoi valori e i suoi principi, per proteggere le vittime delle vergognose politiche di Orbán. Vogliamo un’Unione che si assuma le proprie responsabilità per aver favorito la banalizzazione delle politiche di estrema destra in Europa. »

Gesine Weber (Treffpunkt Europa): Diamo voce a chi è stato ridotto al silenzio

« Sin dalla sua rielezione a primo ministro d’Ungheria nel 2010, Viktor Orbán non ha fatto che stringere la morsa attorno ai media indipendenti e alla libertà di stampa. Secondo la ONG Reporter Senza Frontiere, l’Ungheria è al 71° posto su 181 paesi, dietro a stati come Haiti, Niger o Georgia. La vittoria di Orbán di qualche settimana fa non sorprende di certo: che possibilità hanno le forze filoeuropee e progressiste di far sentire la loro voce, in un paese dove i principali media regionali sono proprietà di imprenditori legati a filo doppio al primo ministro, dove è il governo a preparare i contenuti per le emittenti pubbliche e i media critici sono costretti alla bancarotta? Come potrebbe l’opposizione arrivare all’opinione pubblica in un regime in cui i media di stato conducono campagne oltraggiose contro ogni potenziale avversario di Fidezs, e i cittadini ungheresi essere informati da media indipendenti, quando a questi ultimi viene impedito l’accesso al Parlamento? Dopo la rielezione di Orbán, il principale quotidiano del paese ha sospeso l’attività: la libertà di stampa in Ungheria è de facto in pericolo.

Le misure di Orbán contro la libertà di stampa non costituiscono solo un problema per l’Ungheria, esse sono una seria minaccia per la stessa Unione europea. Se intende continuare ad esistere nel lungo periodo, l’UE non può permettere che al suo interno vi siano cittadini malinformati e che la scarsità di informazioni sia la causa di un euroscetticismo crescente. In questo momento, l’UE si sta limitando ad osservare quanto avviene, a qualche disperato tentativo di contrastare la propaganda antieuropea di Orbán con campagne quali “i fatti contano” e, talvolta, a critiche o a ricercati ma inefficaci strumenti giuridici. Ma non sarà questo ad aiutare il popolo ungherese. Non dimentichiamo che ci sono ancora persone che manifestano, giornalisti critici che continuano a pubblicare su Internet e che la società civile non è morta, anche se Orbán lo vorrebbe. In quanto giornalisti che godono della libertà di stampa, è nostro compito dare conto della lotta dei nostri colleghi contro il suo assoggettamento, formare menti critiche fuori e dentro l’Ungheria, mostrando solidarietà ai giornalisti e alle forze democratiche e promuovendo l’importanza della libertà di stampa in un’Europa democratica. Orbán avrà il potere di ridurre al silenzio i giornalisti ungheresi, ma non quelli dell’intera Europa. »

Radu Dumitrescu (The New Federalist): Il favorito dello zar

« Nel 1989, un giovane Viktor Orbán saliva su un palco e chiedeva che le ultime truppe russe lasciassero per sempre l’Ungheria. Un rapido salto nel presente, ed eccolo qua, il più fido alleato di Mosca in Europa, un leader che modella le sue politiche su quelle sfornate dal Cremlino.

Il cambiamento iniziale avvenne nel 2010. Nell’affrontare la crisi economica, il governo di Orbán cominciò a volgere uno sguardo benevolo alla Russia, ingrediente della sua retorica anti-immigrazione e anti-Bruxelles. I nemici dei vecchi tempi divennero i taciti alleati contro l’Unione europea che tutto controllava. Dopo il 2010, Putin e Orbán presero a incontrarsi con cadenza annuale. Da allora, le politiche adottate dal premier ungherese inclusero la manipolazione della mappa elettorale, una legge anti-ONG che sembrava identica alla legge russa sulle agenzie straniere, e un inasprimento dei controlli sui media che osavano criticarlo. Inoltre, in perfetto stile zarista, Orbán si circondò di imprenditori e familiari ben introdotti negli ambienti governativi, assegnando appalti in via preferenziale.

Sin dall’elezione di Donald Trump, i paesi europei hanno temuto l’ingerenza russa nel processo democratico. Ma non l’Ungheria. Il governo di Orbán aveva già cominciato a soffocare i media e a promuovere un’immagine positiva della Russia. Le testate ungheresi e le emittenti TV sotto controllo statale riprendono di continuo notizie da Russia Today o Sputnik, portavoci del Cremlino.

Inoltre, c’è da dire che in Polonia Jaroslaw Kaczynski non si cura affatto dei legami tra Orbán e la Russia, appoggiando fino in fondo l’atteggiamento critico del suo collega nei confronti dell’UE. Sempre più conservatrici e nazionaliste, Polonia e Ungheria hanno consolidato i loro rapporti reciproci allo scopo di opporsi a Bruxelles. Si può solo sperare che ciò non porti i paesi di Visegrad ad allinearsi attorno agli interessi russi. “Democrazia illiberale”, democrazia sovrana” o “democrazia originale”: sono tutte espressioni usate per descrivere questo autoritarismo ispirato a Putin e al suo modo di governare senza chiamarlo per nome.

L’Europa ha bisogno di presidenti, di primi ministri e cancellieri, non di zar. »

Michał J. Ekiert (Kurier Europejski): Un’altra vittoria degli istinti più bassi

« Non ci sono dubbi: c’è uno spettro ungherese (e, molto inconsciamente, degli ungheresi) di nome Fidesz che non intende smuoversi. Cosa ancora più preoccupante, il principale baluardo dell’opposizione è stato occupato da Jobbik, partito che fa sembrare quello di Orbán nemmeno tanto male, quasi “cool”. Se questa è l’alternativa, ecco spiegato in modo piuttosto razionale perché tanti politici europei si siano congratulati con lui per l’elezione.

« Lo “stato illiberale”, come lo stesso Orbán ha definito l’entità politica su cui governa, non è uno stato in cui è possibile portare avanti una campagna politica in modo civile. Lo ha dimostrato di recente la missione di monitoraggio dell’OSCE, il cui capo ha descritto la retorica usata come “molto ostile” e “xenofoba”. Il sostegno dato a Fidesz dalla TV pubblica risultava inoltre molto visibile.

Basti pensare, come metodo di campagna messa in atto dal governo, ai cartelloni e alle lettere inviate ai cittadini, caratterizzati da toni spiccatamente negativi verso qualunque cosa o persona non sia ungherese, per giunta finanziati dai contribuenti. Mi fa tornare alla mente certi eventi della storia del mio paese natale, quando nel 1928 il partito pigliatutti del maresciallo Piłsudski sottrasse grandi somme di denaro per coprire le spese della sua rudimentale campagna contro i partiti di ispirazione democratica. La posizione del PPE, che è una sorta di guazzabuglio autocelebrativo e neutrale, mi preoccupa molto.

Prima delle prossime elezioni, bisognerà fornire agli elettori ungheresi dati accurati, media imparziali e persone in grado di portare un cambiamento forte. Non tutti saranno pronti a cambiare il loro triste credo, ma bisognerà fare in modo che i cittadini possano ricevere input da entrambe le parti, cosa che non è accaduta nelle elezioni di aprile, per via di una campagna non equa. Alla fine, quando ciò accadrà, per dirla con altri seguaci di Visegrad, pravda vítězí : la verità prevarrà. »

Xesc Mainzer (El Europeísta): La notte che non passa mai

Ai primi di febbraio ho visitato Budapest, capitale dell’Ungheria. La ricordo come una città aperta, incantevole, con luoghi culturali e storici di rilievo. Mi ha colpito, tuttavia, la presenza esagerata e assurda sui cartelloni e alle fermate dell’autobus di una campagna intitolata “Stop Soros!”. Non era strana solo la loro presenza, ma anche il fatto che riportassero lo slogan “Kormány Információ” (informazioni governative, in ungherese). Nell’ultimo mese, a questi manifesti se ne sono affiancati degli altri con delle foto di rifugiati che camminano per strada e lo slogan “Stop!” sopra l’immagine.

In quel momento ho capito che il governo ungherese stava pericolosamente scivolando verso un elevato grado di razzismo, nonché di paranoia riguardo a una presunta invasione del paese da parte degli stranieri. Allo stesso tempo, si manifesta a difesa della sovranità dell’Ungheria, mentre nel paese affluiscono gli investimenti stranieri dai regimi autoritari di Russia e Cina.

La domenica delle elezioni, le immagini di migliaia di elettori in fila davanti ai seggi di tutta l’Ungheria hanno dato speranza a molti di noi. La speranza che il regime più autoritario dell’Unione europea potesse essere rimpiazzato da un governo animato dagli ideali della democrazia liberale, della libertà e da più ampi diritti civili. Cosa difficile, dato che le previsioni davano Jobbik come secondo partito più votato, ovvero un’altra formazione di estrema destra. Alla fine è stato dimostrato che si trattava di una missione quasi impossibile, e che la notte che ha avvolto l’Ungheria per otto anni continuerà almeno per altri quattro.

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