Quadrare il cerchio: riflessioni sulla Piazza per l’Europa

, di Michelangelo Roncella

Quadrare il cerchio: riflessioni sulla Piazza per l'Europa
Immagine d’archivio

La Piazza per l’Europa del 15 marzo a Roma ha radunato 50mila persone per rilanciare il desiderio di un’Europa unita e di pace. Il tema della difesa comune ha però diviso e alcune associazioni si sono sfilate. Nonostante le differenze, la piazza ha segnato l’urgenza di un dibattito serio sul presente e sul futuro dell’Europa.

Sabato 15 marzo, a Roma, si è tenuta la “Piazza per l’Europa", manifestazione lanciata due settimane prima da Michele Serra, che ha radunato un numero sorprendente di partecipanti: 50mila persone. L’evento si è svolto in contemporanea a due contro-manifestazioni, ma ha saputo imporsi come il vero centro dell’attenzione.

Sul palco si sono alternati rappresentanti delle associazioni, delle categorie sociali, amministratori locali e volti del mondo dello spettacolo, mentre i leader politici e sindacali sono rimasti tra i manifestanti. A condurre, in modo sorprendente, Claudio Bisio. Difficile immaginare, fino a poco tempo fa, di vedere fianco a fianco sulla stessa piazza il volto storico di Zelig e Guy Verhofstadt, leader liberale, già europarlamentare e fondatore del Gruppo Spinelli. Eppure, per un federalista o un europeista, quella di sabato è stata una scena che resterà impressa.

Nel susseguirsi di interventi, letture e canzoni, sono emersi riferimenti al Manifesto di Ventotene, al progetto europeo - spesso evocato come un “sogno di pace” - e al tema della difesa comune, su cui si sono registrate posizioni molto diverse e talvolta poco chiare.

Il dibattito si è inevitabilmente legato alle guerre in corso, in particolare in Ucraina e in Medio Oriente, e alla proposta del ReArm Europe. Proprio su questo tema si sono viste alcune defezioni tra le associazioni e le personalità inizialmente aderenti alla manifestazione.

Per fare qualche esempio, Liberi Oltre ha ritirato il proprio sostegno spiegando che, sebbene avesse inizialmente deciso di partecipare, le adesioni di partiti e sindacati e le dichiarazioni dei loro Segretari e rappresentanti ha fatto loro apparire la manifestazione come “un’adunata politica dove ciascuno, lungi dal voler difendere i principi ispiratori, può promuovere la propria parte politica contro quella avversaria, trasformare un’occasione di libertà in una guerra, verbale, per bande”. [...]”Inoltre, le recenti dichiarazioni [...] contro il piano ReArm Europe, rendono evidente che l’Europa invocata nello slogan “qui o si fa l’Europa o si muore” è, purtroppo, un’Europa disarmata e indifesa, incapace di difendere la propria libertà e quella altrui”.

Di segno diverso ma anch’essa critica è la posizione di Emergency, che pur condividendo “la necessità di restare uniti in questo momento di gravissima crisi internazionale” si è detta convinta che “se vuole rappresentare una vera alternativa nel contesto internazionale, l’Europa debba cambiare profondamente: investendo sulla diplomazia, sugli organismi internazionali, sul welfare, sulla praticabilità dei diritti. Solo in questo modo può diventare effettivamente uno spazio privilegiato della speranza umana”.

Insomma, ancora una volta, certi anti-armi e pro-difesa hanno preferito non condividere lo stesso spazio. Ma non tutti. E il fatto che abbiano partecipato persone e organizzazioni con posizioni molto diverse su punti difficili come il riarmo (spesso associato alla appunto alla difesa) dovrebbe, anzi, deve essere un segnale, un sintomo “positivo” e anche un primo passo verso un dibattito costruttivo, sganciato da una polarizzazione che ha peggiorato le spaccature nell’opinione pubblica.

A prevalere è stata la volontà di farsi vedere e sentire. Una volontà di non voler restare schiacciati in un mondo dominato dai vari Trump, Musk, Putin e simili. La stessa volontà di proporre per lo stesso mondo un’alternativa sia per la società (più inclusiva) sia per la politica (in cui il potere è maggiormente distribuito).

Come già accennato, la Difesa è un tema “1D+3” (Difesa - Delicata, Divisiva, Drammatica). Per alcuni, l’Europa è vista da alcuni come un progetto di pace, ma se si sente parlare dell’aspetto militare, può sembrare una contraddizione: l’Europa colorata della Pace contro l’Europa grigio-scura delle armi.

Essere contrari a una difesa europea può avere le sue motivazioni, una di queste, comprensibile, è il complesso militare industriale, per il cui controllo (molto arduo) sarà necessaria una serie di politiche.

Il fatto è che il mondo sembra “impazzito”, perché alcuni Paesi per perseguire i propri interessi non esisterebbero a ricorrere alla guerra (e alcuni di questi hanno anche le armi nucleari) e purtroppo gli appelli alla pace non servono a niente. La resa equivarrebbe a rinunciare a valori e ideali per niente scontati - anzi ottenuti a caro prezzo - e poco rispettati (e addirittura calpestati) da quegli stessi pochi Paesi.

Inoltre, la presenza (e la creazione) di armi sono un problema fino a un certo punto, perché la violenza è insita nel genere umano: non è possibile estirparla, solo contenerla. Si pensi alla “profezia di un’apocalisse cosmica”, alla fine della “Coscienza di Zeno” di Italo Svevo.

L’occhialuto uomo [...] inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa.

Tornando al tema della difesa europea, va riconosciuto che si tratta di un’amara necessità: è indispensabile finché esisteranno Stati armati e pronti a muovere guerra. Ma una politica di difesa comune è ben lontana dal semplice ReArm Europe: richiede scelte ponderate e complesse, a partire da aspetti tecnici fondamentali — costi, industria, tecnologia, logistica, catene di comando — da armonizzare con altri obiettivi politici e sociali, dove il principio di sussidiarietà gioca un ruolo cruciale.

Accanto a questo, è altrettanto necessario riformare le istituzioni europee, costruire una reale volontà politica e, soprattutto, definire con chiarezza i valori di riferimento. È fondamentale che il dibattito non si riduca esclusivamente alla dimensione militare o a una retorica bellicista: la difesa, che dovrà sempre essere soggetta a controlli democratici, non può diventare uno strumento per fare la guerra, ma deve servire alla deterrenza e rendere possibili azioni di cooperazione, stabilizzazione e sviluppo.

Conciliare una politica di difesa con l’obiettivo della pace è difficile e non esistono soluzioni semplici. Anche in una futura Europa federale, l’attuale sistema internazionale continuerà a esistere, con tutte le sue tensioni e il rischio costante di derive militariste.

Alla fine della manifestazione Michele Serra ha detto “Non perdiamoci di vista”. Allora non perdiamo di vista i necessari distinguo utili ad, appunto, quadrare il cerchio.

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