Il clima politico nel quale è sorto l’Istituto Spinelli è quello della svolta politico-culturale impressa dal Congresso di Bari (1980) alla strategia federalista. Il MFE, negli anni Sessanta e Settanta, aveva promosso due campagne molto impegnative: l’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo e la creazione della moneta europea, dopo il crollo del sistema di Bretton Woods. Su questo fronte di lotte, il MFE si era impegnato allo spasimo, trascurando del tutto il reclutamento. Ora si poteva costatare che gli sforzi dei militanti avevano prodotto importanti risultati: nel 1979 i cittadini europei si recavano per la prima volta alle urne per eleggere il Parlamento europeo e, sempre nel 1979, veniva istituito lo SME, il sistema monetario europeo, considerato dai governi come un primo passo verso la moneta europea. Il processo di integrazione europea entrava in una fase nuova. Il MFE doveva adottare un nuovo orizzonte politico e reclutare nuove forze.
Nella «Lettera al Militante», del gennaio 1980, si leggeva che dopo l’elezione europea, in un Parlamento ormai legittimato dal voto popolare, i partiti avrebbero sviluppato proposte e politiche europee. Pertanto, «Il Movimento deve sapersi inserire nel processo e dialogare con le forze politiche e culturali. … E sotto questo aspetto occorre riconoscere criticamente che la capacità d’azione del MFE è ancora insufficiente … senza una politica di reclutamento. Sono i giovani la forza capace di preparare l’avvenire».
La risposta a questa esigenza venne dalle «Tesi» proposte da Mario Albertini al X Congresso del MFE, intitolate «Unire l’Europa per unire il mondo». Trascrivo la prima tesi: «Una nuova epoca ha avuto inizio, un nuovo pensiero deve prendere forma. Il corso della storia generato dalla formazione del mercato mondiale e sostenuto dalle rivoluzioni scientifica, politica, economica e sociale è ormai giunto al suo culmine con la fine dell’egemonia del sistema europeo degli stati, l’avvento del sistema mondiale degli stati, il risveglio di tutti i popoli della terra, la crescente partecipazione dello spirito religioso alla vita moderna e lo sviluppo enorme della capacità tecnologica, non ancora controllata, tuttavia, dalla volontà generale. Per questa ragione è ormai necessario – ed anche possibile a patto di rivolgere il pensiero e la volontà a questo compito supremo – pianificare a livello mondiale la soluzione di alcuni problemi fondamentali per la sopravvivenza e il futuro del genere umano».
Sebbene nella politica nazionale non si discutesse ancora di globalizzazione, le Tesi di Bari ne anticiparono chiaramente i contenuti e le difficoltà. Naturalmente, nelle risoluzioni approvate si affermava con chiarezza che, per affrontare le sfide globali, l’Europa doveva portare a termine i due processi appena avviati: una riforma federale della Comunità e la trasformazione dello SME in una unione economica e monetaria, affinché la moneta europea potesse fungere da perno per la riforma del sistema monetario internazionale. L’unità europea era il primo indispensabile passo verso un mondo unito, il disarmo, la lotta alla povertà mondiale e al degrado ambientale.
Il 1981 fu l’anno in cui la nuova piattaforma politica venne messa alla prova e si gettarono le basi per un salto di qualità nella politica di reclutamento. Le due superpotenze, USA e URSS, stavano progettando nuove armi nucleari da impiegare “limitatamente” al territorio europeo, anche contro le armi convenzionali. Era una minaccia che ben presto sollevò ondate di proteste pacifiste, in particolare da parte dei giovani. Il MFE approvò una risoluzione, redatta da Mario Albertini, intitolata «La pace come obiettivo supremo della lotta politica». In questa presa di posizione si sosteneva: «Questa situazione è assolutamente inaccettabile non solo per il rischio che comporta, ma anche perché è in contraddizione con il fondamento stesso della morale. È venuto il momento di capire che se si accetta come un dato permanente della vita politica il rischio deliberato e intenzionale della guerra nucleare, la caduta nelle barbarie è inevitabile. In questo caso è infatti impossibile che abbiano ancora un senso l’educazione, il sentimento della solidarietà sociale e ogni valore civico e culturale».
Nel settembre del 1981, dopo un fitto lavoro di contatti con numerose organizzazioni pacifiste, laiche e religiose, il MFE e la GFE organizzarono a Milano una grande manifestazione contro la «Morte atomica». Anche grazie ai buoni rapporti tra GFE e JEF parteciparono molti europei. Migliaia di persone diedero vita a un imponente corteo che si concluse in Piazza del Duomo, sotto lo slogan: «No alla morte atomica. Contro il riarmo delle superpotenze, una Europa unita e indipendente».
In questo anno, si organizzò, a Ventotene, in ottobre, la cerimonia per la celebrazione del 40° della redazione del Manifesto per un’Europa libera e unita. Dopo l’introduzione di Gabriele Panizzi, in rappresentanza della Regione Lazio, prese la parola Altiero Spinelli per ricordare il cammino percorso dagli anni del confino sino all’elezione diretta del Parlamento europeo. Considerando le tesi del Manifesto, Spinelli riconobbe che esso includeva un’errata valutazione sull’Europa del dopoguerra come centro della politica mondiale. Tuttavia, Spinelli riconosceva che il Manifesto conteneva due valide tesi: a) la battaglia per l’Europa è lunga, pertanto questa generazione deve combatterla perché è la battaglia cruciale della nostra epoca; b) a partire dal dopoguerra, l’unica divisione politica di cui tenere conto è quella che separa chi assegna la priorità a questa lotta da chi persegue obiettivi di rinnovamento nazionale. La battaglia cruciale è quella del governo europeo e i federalisti devono concentrare i loro sforzi nel sostenere il Club del Coccodrillo in seno al Parlamento europeo. Nel suo intervento, Mario Albertini, come Presidente dell’UEF, affermava che grazie all’azione di Spinelli e del Parlamento europeo la via era ormai tracciata. Si trattava di trovare la forza e la volontà di proseguire su questa strada.
Un anno prima, a Cala Corvino, nei pressi di Monopoli, in settembre, grazie all’avvio della politica di reclutamento giovanile in alcune importanti sezioni del MFE, si era già organizzato il primo seminario di formazione federalista, riprendendo così una tradizione interrotta, risalente agli anni Cinquanta. La formula del seminario nazionale consentiva di mettere a confronto le idee e i progetti del gruppo dirigente del MFE con le idee, i progetti e le speranze dei giovani. È questa la via maestra per la formazione dei nuovi dirigenti: è con il confronto e il dialogo personale che si trasmettono idee, valori e responsabilità per un impegno che per alcuni diverrà una “seconda” professione.
Il 1981 non era ancora finito quando, in occasione di una riunione federalista a Roma, Gabriele Panizzi mi ha informato del desiderio di Spinelli di organizzare a Ventotene degli stages per giovani federalisti. La Regione Lazio avrebbe sostenuto l’iniziativa in collaborazione con il Comune di Ventotene. Ho naturalmente accolto con entusiasmo la proposta, tanto più che stavo progettando dei seminari per insegnanti in collaborazione con l’AEDE. Sarebbe stato più facile organizzare incontri e conferenze nelle scuole grazie al loro aiuto. Da allora i rapporti con Gabriele Panizzi sono stati continui, intensi e preziosi: ci siamo divisi il lavoro su fronti differenti ma complementari. La politica di reclutamento del MFE poteva ora contare su un aiuto istituzionale rilevante.
Nel 1982, si è così organizzato a Ventotene il primo seminario per giovani federalisti. Non è stato un inizio facile. Oggi, Ventotene è un centro turistico dotato di numerosi alberghi. Allora era un’isola sperduta nel Mediterraneo con scarsi collegamenti e praticamente priva di strutture ricettive. È stata necessaria una settimana di lavoro intenso per trovare gli alloggi necessari nelle abitazioni disponibili. Tuttavia, superate queste difficoltà, il seminario si è svolto con successo. Hanno partecipato 70 giovani scelti tra i 130 che ne avevano fatto domanda. Altiero Spinelli ha inviato un messaggio di saluto in cui, dopo aver ricordato la battaglia in corso del Club del Coccodrillo nel Parlamento europeo, così concludeva: «Più di quarant’anni fa iniziammo a Ventotene la battaglia per gli Stati Uniti d’Europa. Confido oggi di concluderla con successo insieme a voi». Nel suo messaggio ai giovani, Mario Albertini scriveva: «Occorre affermare che il mondo è uno e che tutti i popoli debbono democraticamente partecipare al suo governo pur mantenendo la propria identità. … Il mondo ha bisogno del federalismo. Il federalismo ha bisogno del successo della rivoluzione europea. La rivoluzione europea ha bisogno della forza federalista».
Negli anni successivi, dal 1982 sino al 1986, i seminari di Ventotene si sono tenuti regolarmente agli inizi di settembre, con una crescente partecipazione di giovani provenienti non solo dall’Italia, ma anche da altri paesi europei, grazie alla partecipazione dei quadri della JEF e dell’UEF. A questi seminari parteciparono con regolarità: Gabriele Panizzi e il Sindaco di Ventotene, Beniamino Verde, che ha sempre garantito la massima collaborazione organizzativa del Comune e ha sostenuto con entusiasmo gli ideali dei federalisti; inoltre Luciano Bolis che, dopo la sua tragica esperienza nella Resistenza antifascista, ha affiancato Spinelli nei primi anni di vita del MFE e Pier Virgilio Dastoli, allora aiutante di Spinelli nel Parlamento europeo. In questi anni, si è potuta verificare nei fatti la crescita della qualità del reclutamento giovanile, grazie al progressivo inserimento dei partecipanti più anziani come organizzatori o oratori nei dibattiti del seminario. Inoltre, il seminario di Ventotene ha generato alcune importanti ramificazioni, perché si sono potute organizzare delle riunioni di “Dibattito federalista” nei mesi successivi al seminario e, dopo qualche anno, queste riunioni sono diventate europee, organizzate in Francia, Germania e Belgio, grazie all’iniziativa del “Ventotene group”. La pubblicazione del “Dibattito federalista”, del “Federalist Debate” (e per qualche anno anche del “Débat Fédéraliste”) hanno consentito ai giovani di esprimersi sui problemi politici e culturali contingenti.
Una fortunata circostanza ha rafforzato la dimensione mondiale del seminario. Nel 1981 avevo convinto il Rettore dell’Università di Pavia a promuovere un gemellaggio tra la nostra università e quella di Lomé (Togo), la città di fondazione della Convenzione di Lomé, concordata tra la Comunità europea e i paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico). A Lomé, dove sono tornato più volte, esisteva il Club d’Afrique, che aveva lo scopo di promuovere «l’autonomie créatrice des peuples d’Afrique». Ho così potuto tenere una conferenza all’Università, a cui hanno partecipato centinaia di studenti, nella quale ho ricordato i tentativi promossi da L. S. Senghor, K. Nkrumah e J, Nyerere per gli Stati Uniti dell’Africa, e della necessità di continuare la loro azione. La risposta è stata molto positiva. I primi giovani africani hanno preso parte ai seminari di Ventotene e, nel 1983, il segretario del Club d’Afrique, Yaouvi Randolph ha tenuto una conferenza sui rapporti tra unità europea e unità africana. Questa iniziativa è sfociata in un convegno, tenutosi a Milano nel 1990, in cui è stata approvata una “Dichiarazione dei federalisti africani e dei federalisti europei in vista di un’azione comune per la democrazia internazionale”. I semi gettati a Bari cominciavano a produrre qualche germoglio.
Il 23 maggio 1986 moriva Altiero Spinelli. Pochi giorni prima scriveva nel suo diario un amaro commento sulla fine della sua creatura, il Progetto di Trattato per un’Unione europea. «Nel Parlamento europeo non sono capace di frenare la mia irritazione nel constatare che non si forma e non si accumula nessun consenso attorno all’idea centrale, che è l’idea del mandato costituente al PE che sarà eletto nell’89. … Per me, il mio tentativo è finito, fallendo, prima ancora di essere stato intrapreso. Per un dovere elementare verso gli altri e verso me stesso, piloterò le cose in modo che sia chiara a tutti la ragione per cui getto la spugna». Questo severo giudizio sulla sua azione politica nel Parlamento europeo deve essere attenuato dalla constatazione che, mentre un’iniziativa costituente può fallire non cessa di esistere la ragione l’ha promossa. La storia ripropone incessantemente i nodi che ostacolano il progresso dell’umanità. La lotta per la federazione europea coinvolge più generazioni.
Alla cerimonia funebre organizzata a Roma di fronte al Parlamento, pochi giorni dopo la sua morte, era presente tutta la classe politica italiana – i Presidenti del Consiglio, della Camera e del Senato, oltre a numerosissimi leader di partito – e della politica europea: Jacques Delors, Presidente della Commissione europea e Pierre Pfimlin, Presidente del Parlamento europeo. Spinelli aveva chiesto che le sue ceneri fossero «portate a Ventotene e di lì sparse dal vento sull’isola e sul mare». A Ventotene, ad accompagnare la sua salma non vi erano più grandi personalità, ma una folla di amici e tutti, proprio tutti, gli abitanti di Ventotene. In quella processione di popolo, ho intuito che Ventotene, insieme a Spinelli, stava diventando un mito della politica europea e mondiale. Ora, dovevamo fare il possibile per tenere vivo e diffondere nel mondo il mito di Ventotene: dalla Resistenza al nazi-fascismo all’unità dell’Europa e del mondo. Un mito contiene significati profondi che tutti possono comprendere.
Dopo averne discusso con Panizzi, Verde e gli amici del MFE si decise, con qualche esitazione come avviene sempre nelle discussioni collettive, di istituire un Istituto di studi federalisti intitolato a Spinelli. La soluzione istituzionale escogitata consentiva al MFE di far coincidere la Presidenza del MFE con la Presidenza dell’Istituto, garantendo così il presidio dell’eredità politico-culturale di Ventotene, mentre la Regione Lazio e il Comune di Ventotene ne avrebbero sostenuto l’organizzazione in collaborazione con i responsabili del reclutamento dei giovani. Finalmente, il 3 luglio 1987, nella sede della Regione Lazio, venne organizzata da Gabriele Panizzi la cerimonia inaugurale per la fondazione dell’Istituto Spinelli. Era presente Ursula Hirschmann, che figurava anche come Presidente del Comitato d’onore dell’Istituto, insieme a Giovanni Spadolini, Presidente del Senato, Nilde Jotti, Presidente della Camera, Giulio Andreotti, Ministro degli Esteri, Carlo Ripa di Meana Commissario europeo, Werner Maihofer, Presidente dell’Istituto Universitario Europe, John Pinder, Presidente dell’UEF.
Nel prospetto di presentazione dell’Istituto Spinelli sono descritte le principali attività che l‘Istituto si proponeva di realizzare: un seminario annuale per giovani federalisti italiani; un seminario parallelo per giovani federalisti europei ed eventualmente di altri paesi; l‘organizzazione, in collaborazione con l’AEDE, di seminari per insegnanti federalisti; la pubblicazione dei Quaderni di Ventotene, dei Ventotene Papers e dei Cahiers de Ventotene, per diffondere in più lingue gli scritti di approfondimento politico sui grandi problemi contemporanei; la pubblicazione della rivista trimestrale The Federalist Debate/Le Débat Fédéraliste allo scopo di tenere vivo il dibattito tra i militanti. Infine, l’Istituto si proponeva di organizzare conferenze, convegni, studi e ricerche sui problemi dell’unità europea e del federalismo. In breve, tutte le iniziative della politica di reclutamento del MFE vennero riversate nell’Istituto Spinelli.
L’Istituto ha consentito di potenziare considerevolmente il raggio d’azione della politica di reclutamento e di formazione, anche grazie ad un piccolo finanziamento della Commissione europea, sfortunatamente cessato dopo l’uscita di scena di Jaques Delors. Tuttavia, le iniziative dell’Istituto non sono diminuite. Al contrario, in quegli anni i federalisti europei hanno ripreso i contatti con i federalisti mondiali del World Federalist Movement, dopo molti anni di attività indipendenti e non coordinate. Sono così venuti a Ventotene federalisti dagli Stati Uniti, dal Canada, dall’America Latina, dall’India e dall’Africa. L’allora presidente del WFM, Keith Best ha affermato, dopo una plurima partecipazione ai seminari, che «Ventotene è la Mecca del federalismo». Infine, dopo il crollo del Muro di Berlino, sono cominciati ad affluire giovani dai paesi dell’Est europeo e in particolare dalla Federazione Russa, molto interessati a comprendere come può funzionare un sistema federale (per la Russia e i paesi confinanti) e quale potesse essere il ruolo della Russia nella politica europea di integrazione del continente.
È ora necessario accennare al programma dei seminari consolidatosi in questi anni. È evidente che alcune conferenze fossero dedicate a problemi politici contingenti. Tuttavia, alcune relazioni strutturali erano dedicate all’esposizione di aspetti cruciali della cultura federalista. Ecco i problemi che venivano allora considerati fondamentali: la posizione del federalismo come pensiero politico nel contesto delle varie ideologie politiche tradizionali – il liberalismo, la democrazia, il socialismo e il nazionalismo – perché la politica si fonda su concezioni globali dei rapporti umani, dette ideologie, e il federalismo, che si propone di costruire uno stato sovranazionale, è un’ideologia politica che si oppone al nazionalismo; un secondo argomento riguardava la comprensione istituzionale dello stato federale, i cui principi fondamentali sono stati individuati con chiarezza da Alexander Hamilton; il processo di integrazione europea veniva poi discusso alla luce della “linea di divisione tra progresso e reazione” del Manifesto, così che la costruzione della federazione europea poteva essere concepita come un passo decisivo verso la federazione mondiale e la pace, una prospettiva istituzionale delineata negli scritti politici di Immanuel Kant; infine, concludeva il seminario una relazione sulla strategia federalista per gli Stati Uniti d’Europa, basata sull’ipotesi spinelliana della costituente europea, l’unico metodo democratico per costruire l’Europa dei cittadini.
Oltre alle relazioni su aspetti politici strutturali, in quegli anni si era sentita la necessità di approfondire la natura del comportamento politico federalista, perché è difficile che un giovane si impegni in un’impresa che richiede sacrifici personali, in termini di tempo e di denaro, senza una forte motivazione morale. L’impegno nei partiti nazionali ed europei è differente. In questi casi si lotta per conquistare un potere: quello di diventare un deputato nazionale o europeo. Il MFE aveva scelto la via di non presentarsi alle elezioni nazionali (e a quelle europee, ancora dominio dei partiti nazionali) e di rifiutare metodi violenti di lotta, come accadeva e accade con il terrorismo. Si è così sviluppato un dibattito intenso sul nuovo modo di fare politica, perché occorreva respingere le critiche di chi sosteneva che i federalisti non erano una forza politica efficace per raggiungere gli scopi che si proponevano, erano un’organizzazione di volontari, come altre ONG. Questo dibattito ha consentito di formulare alcune regole di comportamento: occorre fondare i rapporti tra militanti su una cultura politica che mette al bando la violenza tra gli stati e tra i cittadini. Si può essere violenti anche con le denigrazioni e gli insulti verso i nemici. I valori e una cultura condivisa sono il fluido per una leale cooperazione. Questo dibattito ha avuto uno sbocco istituzionale importante nel MFE, che nel 1989 ha approvato un nuovo Statuto, nel quale veniva istituito l’Ufficio del dibattito, un organo che coopera con il Comitato centrale «per la piena circolazione nel Movimento del pensiero di tutti i suoi aderenti, senza le discriminazioni, diffuse nei partiti, fra dirigenti e diretti e senza alcuna paratia stagna».
A distanza di molti anni dal dibattito sul nuovo modo di fare politica, ho ripreso a riflettere su questo problema negli anni in cui la sfida dell’antropocene metteva in discussione il futuro dell’umanità. Il rapporto tra politica e morale è il nucleo della dottrina della ragion di stato, mentre il MFE si fonda solo sul lavoro di volontari; il rapporto con la morale è per il MFE una questione di vita o di morte. Norberto Bobbio, in un saggio sulla democrazia (1986), ricorda che: «John Stuart Mill scrisse che mentre l’autocrazia ha bisogno di cittadini passivi, la democrazia sopravvive se può contare su un numero sempre maggiore di cittadini attivi». Ebbene, i federalisti sono cittadini attivi, come i volontari delle ONG, ma si differenziano dalle ONG perché si considerano cittadini di uno stato che ancora non esiste: una comunità democratica cosmopolitica. I federalisti sono cittadini attivi che pensano e agiscono come cittadini del mondo.
Concludo questi ricordi sottolineando un evidente limite del programma annunciato per il futuro dell’Istituto Spinelli. Mi riferisco al suo ruolo sugli sviluppi teorici del federalismo. Mentre i seminari hanno subito mostrato di coagulare la curiosità e l’interesse dei giovani, l’ipotesi dello sviluppo dell’Istituto Spinelli come centro di studi federalisti non è mai attecchita, nonostante i miei ripetuti sforzi. Era evidente che l‘Istituto non possedeva le risorse per finanziare studi accademici strutturati, come avviene nelle università, con personale stabile. Tutto il lavoro organizzativo e di reclutamento è sempre stato svolto da volontari non retribuiti. Tuttavia, mi è sembrato che fosse possibile puntare su una formula intermedia, contando sul fatto che in molte università e centri europei di studi già erano attivi studiosi che si occupavano professionalmente dei problemi dell’integrazione europea. Sono così riuscito a organizzare, a fianco dei seminari tradizionali, anche dei brevi seminari (un paio di giorni) tra esperti invitati da vari centri e università europee. Questa formula ha avuto successo per qualche anno e una testimonianza di queste iniziative è data dalla pubblicazione, nei Ventotene Papers (n. 7), della raccolta di saggi, curata da Daniele Archibugi e da me, su “European Democracy and Cosmopolitan Democracy”. Tuttavia, mi sono reso conto che questi incontri tra esperti e accademici non erano seguiti con interesse dai militanti. La loro priorità era “Che fare?”, quando sarebbero ritornati nella loro città. Ora, a distanza di molti anni, devo ammettere che probabilmente il programma iniziale dell’Istituto era sovrabbondante; il mito di Ventotene richiamava all’azione, per completare una lotta che Altiero Spinelli aveva cominciato e che ora il MFE stava tentando di completare. In fondo, esistevano altri organi, come la rivista Il Federalista e il Centro di Studi sul Federalismo, di Torino, che stavano svolgendo un lavoro di approfondimento culturale. Questa divisione del lavoro va conservata e possibilmente migliorata. È bene che l’Istituto Spinelli si concentri sulla sua missione prioritaria: il reclutamento e la formazione di giovani federalisti.
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