Ricostruire la democrazia negli USA a un anno da Capitol Hill

, di Mariasophia Falcone

Ricostruire la democrazia negli USA a un anno da Capitol Hill

Un anno dopo l’assalto a Capitol Hill gli Stati Uniti devono fare i conti con la ricostruzione della loro democrazia.

Nonostante i check and balances del sistema istituzionale statunitense, negli ultimi anni la democrazia americana è diventata sempre più disfunzionale e non si è rinnovata abbastanza da essere resiliente nei confronti delle minacce recenti. Tra queste, i fatti di Capitol Hill sono stati sicuramente i più violenti.

Il merito, se vogliamo, di quel 6 gennaio 2021 è di aver fatto capire agli americani, esportatori di democrazia, che lo spettro dell’autoritarismo non si aggira solo al di fuori dei loro confini nazionali, né riguarda solo cittadini meno amanti della libertà di loro, ma che è un rischio reale per un Paese che ha abbandonato gli ideali della sua fondazione a favore del capitalismo sfrenato, della distruzione del welfare e del razzismo sistemico.

A un anno da quei fatti terribili, spiccano due elementi particolarmente inquietanti: i sondaggi che rivelano come la maggior parte degli elettori repubblicani ritenga la vittoria di Biden non legittima e gli arresti effettuati finora che hanno coinvolto solo i partecipanti ma nessuno dei veri istigatori. Gli Stati Uniti hanno quindi davanti la sfida difficile di riparare e rinnovare la loro democrazia, facendo i conti con una memoria storica cortissima che ha già dimenticato i fatti del 6 gennaio, con la base repubblicana sempre più vicina a Trump e i Repubblicani di più lungo corso (e con più senso delle istituzioni) che vengono piano piano epurati.

Per intraprendere la strada per rinnovare e salvare la democrazia americana dalle minacce dell’autoritarismo, i quattro anni della Presidenza Biden saranno cruciali per portare a casa le riforme chiave necessarie.

In primis, la questione del diritto e dell’accesso al voto. Gli Stati Uniti, sebbene si vedano come la democrazia più perfetta al mondo, sono un Paese in cui il diritto di voto non è garantito dalla Costituzione, né dalla Corte Suprema, e le elezioni non sono organizzate dal Governo ma solo in alcuni casi sono state-funded. Finora una forma di elezioni pubbliche e publicly-funded è stata adottata solo da una manciata di stati come Connecticut, Maine, Vermont e Rhode Island, ma negli ultimi anni il consenso per elezioni pubbliche, per diminuire le ingerenze del settore privato e i rischi di brogli elettorali, è giunto in maniera bipartisan da esponenti come Barack Obama e John McCain. Allo stesso tempo, manca negli Stati Uniti una forma di autorità garante a livello nazionale per le elezioni, ma tutto è lasciato in mano agli Stati, i quali, al momento, hanno la possibilità di usare questi quattro anni per trovare un modo per sovvertire o manipolare l’esito delle prossime elezioni.

L’assenza di garanzie da questo punto di vista fa sì che tutti gli americani non-bianchi vedano il loro diritto al voto leso dalle strategie di voter suppression, pratiche oramai consolidate in Stati rossi come Texas e Georgia. La voter suppression viene usata con il solo obiettivo di influenzare il risultato delle elezioni, rendendo molto più difficile e complicato l’accesso al voto a gruppi specifici dell’elettorato, fino ad arrivare al punto in cui questa possibilità sia loro del tutto preclusa. Nella realtà questo si traduce con l’impossibilità di chi è non-bianco e/o immigrato di vedersi negato un diritto attraverso cavilli burocratici, con il risultato che in queste aree, spesso multietniche e multiculturali, sia la minoranza bianca a decidere e a vincere siano sempre i Repubblicani. Durante la campagna per le presidenziali moltissimi movimenti dal basso si sono impegnati per frenare la voter suppression, ma la riflessione che dovremmo trarne è che oramai ai conservatori americani interessa solo il mantenimento del potere fine a sé stesso e il Partito Repubblicano è ormai un partito senza una reale agenda politica, ma con un solo obiettivo: conservare lo status quo a vantaggio di pochissimi.

Altro impiccio della Presidenza Biden sarà rispettare le promesse fatte in campagna elettorale in termini di welfare e sostenibilità, come la cancellazione dei debiti studenteschi e la riforma sanitaria. Queste riforme, tanto volute dai giovani, dai movimenti grassroots, che sono stati fondamentali nel garantirgli la vittoria alle presidenziali, e dalla parte più progressista del partito, sono in realtà più necessarie proprio nelle aree più rosse degli USA e per evitare il circolo vizioso di malessere e fratture sociali che alimenta la macchina del consenso trumpiano.

Ma la chiave di tutto è nel Filibuster: quella procedura per cui si impedisce che una legge venga discussa in Senato eliminando completamente il rischio che passi. Al momento il Senato degli Stati Uniti è bloccato da questa procedura e non può deliberare su alcune proposte chiave sui temi menzionati prima. Secondo la definizione originaria del Filibuster, questo sarebbe pensato per tutelare le minoranze politiche, ma nel sistema attuale di bipartitismo sempre più polarizzato, tali minoranze tengono in ostaggio riforme chiave per il rinnovamento della democrazia americana e impediscono difatti il progresso, dato che al momento sono “in ostaggio” proposte bipartisan come la riforma sanitaria o il Green New Deal.

Il Filibuster è ormai un’arma chiave dei Repubblicani che sfruttano una procedura nata per tutt’altri fini per evitare che queste riforme vengano discusse. L’avviso generale è che i Repubblicani abbiano imboccato in tutto e per tutto una strada di rifiuto della sconfitta su ogni livello e questo sentimento, che viene condiviso da tutta la base repubblicana, costituisce un rischio permanente per qualsiasi elezione successiva. Abbiamo davanti quindi uno scenario pieno di rischi, al quale si deve aggiungere l’abolizione del collegio elettorale di cui si parla da ben prima delle elezioni del 2016.

Se i Repubblicani, come menzionato prima, stanno pian piano abbandonando le battaglie tradizionali della loro agenda politica a favore di un’agenda sempre più incentrata sulla detenzione del potere fine a sé stesso, è anche vero che gli Stati Uniti in qualche modo non possono fare a meno della democrazia.

Se, ipoteticamente, i Repubblicani volessero sovvertire il risultato delle prossime elezioni, in maniera più o meno legale, gli Stati Uniti saranno alla stregua di Paesi come l’Ungheria, ma devono anche essere coscienti del fatto che, a quel punto, si arriverebbe alla fine degli Stati Uniti come la potenza che abbiamo conosciuto fino ad oggi. Da un lato, sia i cittadini che le forze armate non si arrenderebbero facilmente, ma dall’altro una svolta autoritaria distruggerebbe completamente l’economia del Paese, la sua moneta e la sua presenza militare all’estero.

Il 6 gennaio 2021 è stato un colpo di Stato fallito, ma un colpo di Stato fallito può essere la prova generale per un colpo di Stato vero. Per questo motivo, questi anni saranno fondamentali per far sì che i cittadini americani imparino la lezione della loro democrazia. Questo vuol dire anche cambiare profondamente la società americana e darsi una nuova narrazione nazionale. Se non si rende la società americana più giusta e più equa non si potrà rilanciare la democrazia, poiché ai diritti civili e politici bisogna affiancare l’egalitarismo e la giustizia sociale, cosicché tutti possano davvero godere finalmente di quei diritti.

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