Riflessioni sulla gestazione per altrɜ

, di Mirko Giuggiolini

Riflessioni sulla gestazione per altrɜ
Immagine proveniente da Studio SLC Blog

All’inizio del mese del Pride, alcune riflessioni politiche ed etiche sulla gestazione per altrɜ.

Di anno in anno al ricorrere del mese di giugno, celebrato in tutto il mondo come il mese dell’ex Gay Pride ovvero dell’attuale Pride, il dibattito e le discussioni sulle tematiche queer e trans* - che sono comunque e a buona ragione onnipresenti nelle nostre vite anche in tutti i giorni di tutti gli altri mesi - si incendiano e raggiungono il loro massimo apice, e si torna dunque a riflettere - questa volta con più grinta e tenacia per via di quel senso di coinvolgimento [come se qualunque cosa ci riguardasse e fosse affar nostro; come se avessimo non solo il diritto ma anche il dovere di avere un’opinione su qualunque cosa e, anzi, di porre sotto il nostro sindacato ogni singolo pensiero e ogni singolo avvenimento] che avvertiamo ogni qualvolta [ovvero tutti i giorni, in continuazione e su qualunque ambito] un tema diventa talmente sentito [parte di noi, della nostra essenza - ma solo per poche ore, in attesa del tema successivo] tanto che se ne parla anche nelle conversazioni alla qualunque fatte con lɜ sconosciutɜ al bar - su questioni già passate e ripassate al setaccio decine e decine di altre volte: da quelle più vetuste e cantate dallɜ radicali già decenni fa, come il matrimonio egualitario, a quelle frutto di una consapevolezza più recente, come l’adozione congiunta, e da quelle più sofisticate come la riforma del procedimento di riaffermazione del genere a quelle che, a detta di alcunɜ, «toccano le coscienze», come la gestazione per altrɜ (gpa).

È un tema, quest’ultimo, percepito come particolarmente controverso, capace di fratturare non solo la comunità queer e trans* stessa - già, in verità, colma di crepe - ma anche e perfino associazioni e partiti ormai compatti su altre rivendicazioni della comunità stessa; anche la società italiana - e occidentale più in generale - tutta, per certi versi e nella sua maggioranza sostanziale ormai accondiscendente ad altre richieste, si trova frammentata in moltissimi e piccolissimi granelli di fronte a questo tema; non solo frammentata ma anche lesa, ferita: la percezione più immediata che si ha della gestazione per altrɜ [applicata, in particolare e nel nostro caso, agli aggregati relazionali (o analogamente identificati o non identificati) non-eterosessuali] non dipinge quest’ultima come uno strumento per eliminare le disparità di trattamento e le disuguaglianze al variare dell’orientamento sessuale - quella che, di contro, è l’idea prima alla quale nella maggior parte dei casi si giunge quando ci si approccia ad altre rivendicazioni nell’ambito dei diritti queer e trans*, come alcune di quelle sopra menzionate - bensì la riduce ad un mezzo di sfruttamento dei corpi e di commercializzazione della vita; è in questo senso che la società [immaginata come un organismo unitario a composizione multipla e plurale, quale forse è], nel trovarsi a combattere non solo - da questa prospettiva - contro un attacco alla sacralità della vita ma anche e contemporaneamente contro le sue stesse fratture interiori di fronte a questo attacco; ecco, è in questo senso che la società si sente lesa, ferita, oltre che vulnerabile. Un soggetto vulnerabile è impaurito, talvolta arrabbiato, e agisce dunque - in questo caso, da ambo gli schieramenti - abbandonandosi agli istinti, rifugiandosi in quello che è il primo barlume di salvezza dall’oscurità che riesce a scorgere, e rigettando - per impulso - anche solo l’ipotesi di sfruttare questa vulnerabilità come un momento per raccogliere gli stimoli offerti, elaborarli, riflettere ed uscire dalla debolezza con maggior forza. Alcune aggregazioni sociali più o meno organizzate e strutturate, e forse anche alcuni partiti, hanno già compiuto questo passo - che non equivale, certamente, al raggiungere la via suprema da percorrere [inesistente] ma che, nell’attesa di poter sviluppare un dibattito cooperativo e collaborativo anziché stagnante e bigotto, consente di individuare una propria posizione affermata e motivata.

Dando uno sguardo da lontano - oltre che in modo abbastanza analitico - alla gestazione per altrɜ [o, per alcunɜ, maternità surrogata o utero in affitto], quest’ultima si presenta così: unǝ singolǝ o, più di frequente, un aggregato relazionale incapace di generare figlɜ unicamente con le proprie risorse interne [in particolare, in assenza di una persona vagino-munita abile a portare avanti una gravidanza] sceglie di cercare aiuto all’esterno rivolgendosi ad una persona fertile e con una vulva; quest’ultima, alla quale tendenzialmente ci si riferisce chiamandola portatrice gestazionale [o, per altrɜ, madre surrogata o locatrice di utero], mette a disposizione il proprio utero per ricevere al suo interno, tramite fecondazione in vitro o inseminazione artificiale, lo sperma e l’ovulo di chi fa richiesta della gestazione o di donatorɜ terzɜ [bene precisare che gli ovuli non sono mai della portatrice gestazionale, che dunque non risulta mai in alcun modo geneticamente correlata allǝ figliǝ]. Successivamente alla fecondazione, la portatrice gestazionale intraprende la gravidanza e, al suo termine, affida lǝ neonatǝ allǝ singolǝ o all’aggregato relazionale che ha fatto richiesta della gpa.

Sono molteplici le casistiche in cui degli individui decidono di ricorrere alla gestazione per altrɜ; è di particolare interesse, nel modo con cui ci stiamo approcciando al tema in questo scritto, considerare come questa sia una pratica adottata, fra lɜ altrɜ, anche dagli aggregati relazionali non-eterosessuali.

In Italia, così come nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione Europea, la gpa è illegale e dunque praticarla entro i limiti del territorio nazionale [trascurando l’attuale tentativo del governo Meloni di universalizzare il reato di surrogazione di maternità] è cosa proibita dalla legge. Negli Stati Uniti d’America [caso emblematico oltre che estremo] la normativa federale non si occupa in modo sostanziale della disciplina della gpa, lasciando quest’ultima ai singoli Stati; alcuni di questi la vietano totalmente; in altri è assente qualunque tipo di regolamentazione a riguardo; in altri ancora è consentita ma solo in forma non retribuita, in alcuni, invece, anche dietro compenso. Ė forse proprio questo il nocciolo della questione della legittimità etica della gestazione per altrɜ: negli Stati in cui questa può essere praticata anche dietro compenso, molto frequentemente le persone che scelgono di diventare portatrici gestazionali sono persone in stato di difficoltà economica o che hanno bisogno di ingenti quantità di denaro [visto il livello, abbastanza alto, della retribuzione media per questa mansione], e ciò che può essere una scelta si trasforma in necessità, e viene dunque meno uno dei due elementi alla base di qualunque atto definibile libero [ovvero, accanto alla libertà di fare, anche quella di non fare]; inoltre, la regolamentazione statale ha maglie troppo larghe e delega dunque la gestione di alcune particolari questioni delicate che possono verificarsi durante la gestazione ai singoli contratti stipulati [tendenzialmente, con l’intermediazione di un’agenzia specializzata in pratiche di questo tipo che, per sua natura, tende a dare maggior rilievo allǝ “cliente” anziché a chi si impegna a sostenere la gravidanza] tra la portatrice gestazionale e chi richiede la gpa o, in caso di controversie, allǝ giudice; nell’eventualità, dunque, di un aborto spontaneo, della necessità medica di interrompere la gravidanza o della presenza nellǝ bambinǝ al momento della nascita di malformazioni o problemi di salute tali per cui chi ha fatto richiesta della gpa rifiuta di accogliere lǝ neonatǝ; ecco, nel momento in cui si presentano problematiche di questo tipo, la risoluzione delle stesse viene spesso individuata dai contratti - o, in alcuni casi, dallǝ giudice stessǝ qualora se ne faccia ricorso - in una via totalmente a favore dellǝ “cliente” e a sfavore della portatrice gestazionale, che può talvolta anche ritrovarsi a non ricevere integralmente il compenso.

Il modello di gpa retribuita appena analizzato e presente in diversi Stati degli USA difficilmente può essere interpretato diversamente rispetto alla visione che lo descrive come una forma di traffico di esseri umani, come una commercializzazione della portatrice gestazionale tanto quanto dellǝ bambinǝ e dunque della vita; questa visione, dal canto di chi la propaga, suscita a buon motivo i dubbi di legittimità etica che spingono moltɜ ad approcciarsi alla gpa con reticenza - a maggior ragione nel momento in cui, come esaminato, l’arbitrio privato e la presenza dell’elemento economico rischiano di sopraffarre e limitare le libertà e i diritti delle parti coinvolte.

In reazione alla gpa retribuita, diversi Stati USA - assieme a Paesi Bassi, Danimarca e Portogallo - hanno provveduto con il vietare quest’ultima e il rendere legale solo quella definita altruistica, ovvero mancante di qualunque forma di retribuzione nei confronti della portatrice gestazionale [ad eccezione, tendenzialmente, della copertura delle spese sanitarie]; nella concezione di chi sostiene questa via, con questo adattamento la gpa passa dall’essere una compravendita all’essere un atto di altruismo, amicizia e bontà: un modo gratuito [e perciò, da questo punto di vista, a tutti gli effetti libero] e volontario di aiutare ad avere figlɜ chi non può averli con le sole proprie risorse.

Questo metodo trova ampio riscontro favorevole anche da una discreta parte della comunità queer e trans* italiana, poiché pone le condizioni tali affinché la persona che si mette a disposizione come portatrice gestazionale e lǝ bambinǝ siano protettɜ. È tuttavia proprio qui, a detta di chi scrive, il punto di svolta che consente di approcciarsi al tema della gestazione per altrɜ al di là degli istinti e dell’impulsività - rispetto a ciò cui si faceva accenno in antecedenza - e da una prospettiva universale e omnicomprensiva di tutte le sfaccettature della nostra società; la portatrice gestazionale, al di là delle proprie caratteristiche personali, non ha bisogno di essere protetta. La necessità di offrire - e dunque di ricevere - protezione presuppone il riconoscimento della presenza di una condizione di fragilità, debolezza e inferiorità nel soggetto a cui tale protezione è destinata; in verità, nessuna di queste tre caratteristiche è mai implicita nella persona in sé, ma è sempre il derivato di atteggiamenti di ostilità, violenza e prevaricazione assunti da altrɜ: nel mondo degli esseri umani una persona è debole nel momento in cui ne esiste un’altra [sia essa un singolo individuo o la società tutta] che si atteggia a lei come più forte. La soluzione a questa debolezza non va ricercata nell’offrire protezione [poiché significherebbe tamponare il problema, anziché stroncarlo alla sua radice] bensì nell’impedire che vengano messi in atto da parte di altrɜ atteggiamenti che giustifichino la qualificazione di una persona come debole, fragile e inferiore. Conseguentemente, sulla scia di questo ragionamento, la gestazione per altrɜ retribuita non va vietata in favore di quella altruistica con lo scopo di proteggere la portatrice gestazionale [finendo solamente, in realtà, con l’imporre a questa una precisa - illegittima - linea di condotta sul come usare il proprio corpo] bensì vanno creati i presupposti sociali e normativi affinché questa, nel momento in cui assume il suo ruolo qui considerato o nel momento in cui riflette sul se intraprendere un percorso di gpa in forma retribuita, non si trovi in una situazione di vulnerabilità. Tali presupposti possono, a titolo esemplificativo, identificarsi nella restrizione dell’arbitrio privato nella definizione dei dettagli del contratto regolatore del rapporto - con dunque norme che tutelino in maniera ferrea i diritti della portatrice gestazionale e che definiscano limiti ben chiari a qualunque pretesa possa essere avanzata da chi richiede la gpa - o nell’instaurazione di un welfare efficiente, funzionale ed effettivo - che trovi realizzazione con strumenti che vadano dall’istituzione di un salario minimo legale all’attuazione di misure di contrasto alla disoccupazione, dalla creazione di un reddito universale al riconoscimento del diritto all’abitare con le dovute garanzie, ecc. - tale per cui la portatrice gestazionale non si trovi costretta ad assumere tale ruolo per ragioni di necessità economica. L’oppressione del mercato non può ricevere una risposta realmente funzionale attraverso un’ulteriore oppressione [consistente, in questo caso, nella limitazione della libertà di disporre del proprio corpo secondo la propria volontà e senza dover sottostare ad alcun vincolo esterno] a carico di chi è già oppressǝ; può, bensì, essere contrastata efficacemente con la libertà - che, ancora una volta, si concretizza come libertà di fare e di non fare, libertà di scegliere e di non subire, libertà di far valere le proprie istanze e le proprie volontà e di non dover soggiacere a quelle dellɜ altrɜ in ambiti non di loro pertinenza. Va da se che, nel momento in cui tale libertà è assicurata in forma piena alla portatrice gestazionale, va ad interessare anche lǝ nasciturǝ.

È, quest’ultimo, un punto d’arrivo spigoloso, difficile da comprendere tanto quanto da accettare; legittimo trovarsi in una situazione di questo tipo, opinabile la pretesa di poter vietare a qualcunǝ di usare liberamente il proprio corpo, anche quando quest’utilizzo si svolge nell’ambito di rapporti economici. Muovere passi per acquisire coscienza di ciò, pur riconoscendo le criticità inequivocabilmente implicite nel passaggio da un sistema oppressivo ad uno dove le libertà e i diritti trovano massima estensione [come può essere il passaggio dal sistema patriarcale ad un sistema di uguaglianza quale quello che il movimento queer e trans*femminista sta cercando di concretizzare] è fondamentale; risulta utile a questo fine rievocare quanto contenuto nel documento politico del Roma Pride 2023 a proposito della gestazione per altrɜ.

Vogliamo una legge che introduca e disciplini anche in Italia una gestazione per altri (GPA) etica e solidale, che si basi sul pieno rispetto di tutte le persone coinvolte, sulla scorta delle più avanzate esperienze internazionali e in un’ottica di piena e autentica autodeterminazione.

In questo articolo l’espressione portatrice gestazionale è impiegata con un’accezione universale che va oltre il binarismo di genere, a partire dalla concezione per cui anche persone biologicamente abili ad intraprendere una gravidanza che non si identificano propriamente nel genere femminile possono sottoporsi ad un percorso di gpa.

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