Si torna a viaggiare, tra gioia e scetticismo

, di Cesare Ceccato

Si torna a viaggiare, tra gioia e scetticismo
Image by TheAndrasBarta from Pixabay

Con l’approvazione del Green pass europeo, non serviranno più giustificazioni accertate per varcare ogni confine all’interno dell’area Schengen. I giovani sono i più entusiasti, insieme ai lavoratori del turismo, ma c’è chi storce il naso.

Annunciato nel mese di aprile dalla voce entusiasta di Věra Jourová, Vicepresidente della Commissione europea per i valori e la trasparenza, il Green pass è oggi operativo, per la gioia di molti ma con l’immancabile scetticismo di altri.

Di che cosa si tratta? In parole povere, del biglietto necessario per viaggiare a qualunque scopo all’interno del vasto territorio dell’area Schengen, uno strumento rivoluzionario se si pensa ai tanti mesi di reclusione e restrizioni affrontati nell’ultimo anno e mezzo a causa della pandemia. La certificazione viene rilasciata gratuitamente dalle autorità nazionali dei Paesi membri dell’Unione europea, a patto che la persona richiedente sia stata vaccinata, sia guarita dall’infezione o sia risultata negativa al virus per mezzo di un tampone. Con esso, si evita quindi la quarantena o l’isolamento, condizioni che, fino a ieri, andavano obbligatoriamente osservate all’inizio o alla fine di quelli classificati come viaggi permessi ossia giustificati da motivi di lavoro o di salute. In più, questo cosiddetto passaporto vaccinale, ha il grande vantaggio di essere accettato univocamente in Europa; nessun Paese europeo può esimersi dall’accogliere chi mostri un certificato vaccinale rilasciato in un altro Stato membro, fin tanto che il vaccino ricevuto sia stato autorizzato dall’EMA, l’Agenzia europea per il farmaco.

Parole di giubilo sono arrivate dal Commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders, «abbiamo consegnato questo nuovo strumento a tempo di record per salvaguardare la libertà di movimento per tutti i cittadini» ma anche dai leader degli Stati nazionali, come Emmanuel Macron e Mario Draghi, entrambi convinti si tratti di un mezzo indispensabile per reagire in sicurezza alla crisi.

Ad approfittare maggiormente di questa occasione sono i giovani. È innegabile, infatti, che la loro adesione in massa alla campagna vaccinale sia stata condizionata anche dalla voglia di tornare a esplorare nuove località, godere di nuovi mari e nuovi monti o rimettere piede nel posto del cuore. Siccome però capri espiatori numero uno di ogni male, non sono mancate le critiche. Dopo aver demonizzato gli aperitivi, le cene di gruppo, le attività sportive di squadra e quella situazione indescrivibile ma abusata in ambito giornalistico, detta movida, la fetta più contestatrice dell’opinione pubblica si è scagliata contro il viaggio.

Una polemica campata per aria, aperta, con tutta probabilità, unicamente per il gusto di farlo. Cosa può esserci di sbagliato nel fare i bagagli e partire per un determinato periodo quando si ha la probabilità più alta possibile di non incorrere nel pericolo di contagiare o essere contagiati dal virus? Non bastasse, attraverso quali altri mezzi si crede possibile rilanciare il turismo, uno dei settori più colpiti da quest’ultima crisi, se non aprendo i confini a popoli che ambiscono a gioire delle bellezze di un altro Paese?

Solo in Italia, nel detto settore, la pandemia ha eliminato un posto di lavoro su quattro. Secondo i dati raccolti da Federalberghi, Fipem e dall’Ente Bilaterale Nazionale per il Turismo, dai 1,3 milioni di occupati del 2019, si è scesi nel 2020 ai soli 953mila e la cifra è tutt’ora in decrescita. Un quadro del genere non si vedeva da dieci anni, da quando il Bel Paese dovette affrontare l’altra grossa crisi di questo secolo, quella che ha preso il nome di grande recessione. I numeri mettono i brividi anche considerando l’intero panorama globale, in base a stime dell’UNWTO, l’Organizzazione mondiale del turismo, i flussi turistici internazionali nel 2020 avrebbero registrato una caduta compresa tra il 58 e il 78 per cento rispetto all’anno precedente.

Se il rilancio del turismo, e dell’economia in generale, ancora non fosse sufficiente per dimostrare l’importanza del viaggio, si può, come sempre, dare ascolto agli insegnamenti delle grandi personalità del passato e del presente. A Johann Wolfgang von Goethe, ad esempio, uno dei personaggi più rappresentativi del diciottesimo secolo, patrimonio europeo anche per gli itinerari percorsi e raccontati nelle sue opere, che considerava il viaggio «la migliore educazione per una persona intelligente». A Jack Kerouac, americano che sul pellegrinare ha costruito la sua carriera da scrittore, il cui romanzo più celebre recita «nulla dietro di me, tutto davanti a me, è sempre così, sulla strada». O alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la quale, in marcia da ormai un mese tra gli Stati membri per l’approvazione dei piani nazionali legati al Next Generation EU, non manca ovunque di ricordare come la libera circolazione dei cittadini sia uno dei presupposti su cui si fonda l’Unione e di come sia finalmente giunto il tempo di ravvivarla.

Non sfruttare questa strategia è dannoso per l’Europa e per noi stessi, giovani o adulti. Certo, la prudenza non è mai troppa, ma vivere nella paura, a porte chiuse e isolati, può portare solo a un lento declino, fisico e mentale. Il viaggio a fini turistici, invece, non solo ha l’enorme capacità di allontanare lo stress causato dal lavoro e dallo studio che, in questa caldissima estate, raggiunge livelli altissimi, ma riesce involontariamente a istruire, a dare aria fresca alla mente, sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista umano. Uno scambio impareggiabile.

Un’alternativa per viaggiare senza muoversi, tuttavia, esiste. È quella proposta dall’università di Vilnius che, va detto, è stata realizzata prima che la possibilità di tornare a varcare liberamente i confini nazionali: il progetto «Portal Cities». Sfruttando una delle attività più frequenti dettate dalla crisi pandemica, nonché una di quelle meno sgradite, le videochiamate, i ricercatori lituani, su idea della Fondazione Gylys, ha realizzato dei giganteschi portali che collegano virtualmente in diretta continua due città. Le prime due installazioni connesse tra di loro sono state collocate nella capitale lituana, come era ovvio che fosse, e nella città di Lublino, in Polonia. La vicinanza simboleggiata sembra aver già fatto colpo su svariate altre città europee, vogliose simboleggiare in questo modo la loro vicinanza. Una bella iniziativa, ma esattamente come per la didattica a distanza, il contatto umano è ciò che le manca.

È giunto il momento di colmare quella mancanza che ha condizionato la vita di tutti, è il momento migliore della stagione migliore, e basta poco per farlo. Se avete sperimentato in cucina durante il lockdown, allora segnate questa ricetta: per un’estate europea di rilancio, economico e culturale, gli ingredienti sono vaccino, Green pass e zaino in spalla!

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