La generazione Erasmus esiste, o è solamente un termine poco appropriato per descrivere un piccolo club di studenti facoltosi e sfaccendati? E, qualora esista, si tratterebbe di una generazione di futuri disoccupati o piuttosto della spina dorsale su cui erigere la futura Europa?
Iniziamo spiegando che cosa è l’Erasmus, ovvero il programma istituito dall’Unione Europea che offre a studenti universitari l’opportunità di studiare all’estero per uno o due semestri. Prende ispirazione dall’olandese Erasmo da Rotterdam, che dedicò la sua vita lavorando e vivendo in diverse città europee. Fin dal suo concepimento, nel 1987, sono stati milioni gli studenti che ne hanno preso parte.
Ma gli studenti che hanno e che partecipano al progetto, formano una generazione? Per poter rispondere in maniera soddisfacente a questa domanda, occorre porne prima un’altra: cos’è una generazione? La sociologia risponde che in termini anagrafici per generazione s’intende un gruppo di individui nati in un intervallo temporale di venti-venticinque anni. Ma la sua definizione è più estesa e profonda: le generazioni si connotano per un tratto comune: l’esperienza, che segna per sempre le vite che ne sono parte. È proprio dai grandi eventi e dalle esperienze di senso che prende vita un’appartenenza che unisce al di là di fratture e diversità. Gli studenti Erasmus, dunque, formano senza dubbio una generazione, rientrando positivamente sia nei requisiti anagrafici, sia in quelli sociologici.
Inoltre, il termine non si riferisce ad un ristretto club di inoperosi universitari che, a migliaia di chilometri di distanza da casa, intendono oziare nelle sedi estere, utilizzando per tale scopo il cartellino di “studente in scambio”. Questo altro non è che il mito popolare, che va inoltre a braccetto con la credenza che il programma richieda come requisito l’appartenenza dello studente ad un’alta estrazione sociale. Entrambe le dicerie vengono sfatate dalla logica: l’Unione Europea eroga borse di studio a tutti i partecipanti, preoccupandosi di soddisfare anche e soprattutto i bisogni degli studenti svantaggiati, supportandoli con ulteriori finanziamenti, rendendo in tal modo questo progetto accessibile alla grande maggioranza degli studenti. Oltre a ciò, le motivazioni che spingono questi studenti a mettersi in gioco in un’università straniera, sono tutt’altro che la prospettiva di uno periodo di svago lontano dagli occhi dei loro docenti, bensì il tuffarsi in una cultura nuova, aver la possibilità di mischiarsi con altri studenti europei ed affinare le proprie competenze linguistiche.
Occorre anche precisare che, benché ci si riferisca particolarmente agli studenti del programma di scambio europeo, dobbiamo ulteriormente precisare che anche chi formalmente non è o non prenderà parte al progetto può inserirsi al suo interno. Infatti, utilizzando le più avanzate tecnologie della comunicazione e la velocizzazione dei trasporti, le possibilità di connettersi interstatalmente sono molteplici, tutte con colori e sfumature differenti: esperienze lavorative o tirocini all’estero, lavoro alla pari, servizio civile o volontariato internazionale ecc. sono solo alcune delle opportunità e progetti alla portata di chiunque, e non meno importanti dell’Erasmus stesso. Non basta dunque la sola esibizione di un tesserino universitario per rientrare in questa classificazione, ma è indispensabile l’intenzione di arricchire la propria formazione in contesti molto dissimili rispetto a quelli di origine.
Dopo aver dunque risposto al primo quesito, cercando di dissolvere un certo alone di pregiudizi e superficialità che spesso prendono a bersaglio gli studenti che partecipano al programma di scambio sminuendo il valore della loro scelta e del loro impegno, e aver chiarito l’estensione di questo termine, possiamo affrontare l’altra questione e cioè la seguente: la “generazione Erasmus” che, come abbiamo provato, esiste con una propria identità, esprime forse una generazione senza prospettive oppure rappresenta il perno attorno a cui va formandosi lo spirito di una nuova Europa?
Anche qui, per poter rispondere, occorre osservare lo scenario in cui uno studente universitario è calato: ovvero il tetro sfondo di una società che intrappola i giovani in una prigione non tangibile, incatenandoli, come nel mito di Platone, sul fondo di una caverna. Questa metafora si riferisce alla disoccupazione giovanile, tema di ampia rilevanza per ogni giovane del 2019, cresciuto sotto il fardello della prospettiva funesta di non raggiungere l’indipendenza finanziaria. Questo peso ha demotivato e mortificato la speranza in un futuro roseo, provocando una pressione schiacciante sui giovani, resi parzialmente ciechi dalla disperata rincorsa per assicurarsi un futuro quanto prima possibile.
Gli studenti Erasmus sono al contrario un vento positivo e nuovo: come nel “mito della caverna” di Platone, citato prima, lo schiavo che con coraggio trova la forza di uscirne giunge a scoprire un mondo nuovo e migliore, così gli studenti della generazione Erasmus non si limitano a percorrere il sentiero apparentemente più sicuro della ricerca del posto fisso. Essi si pongono innanzitutto domande sui propri valori e sulla propria visione del mondo, tentando passaggi inesplorati magari più faticosi in principio, ma in grado di mutare per sempre la visione e la prospettiva di chi li intraprende. Costoro sono caratterizzati per l’appunto da alta preparazione, mente aperta, curiosità per il mondo, inclinazione ad assorbire nuove idee e culture, quali risultati a lungo termine dei semi piantati dal programma di scambio. Ed è proprio questo ciò di cui l’Europa ha disperatamente bisogno; non di studenti superficiali, bensì di innovatori, dotati di grande spirito d’iniziativa.
L’Unione Europea crede in questa moltitudine di studenti, vede in essi un assetto strategico, una risorsa indispensabile per il suo futuro. Le ambizioni del programma sono infatti molteplici: una di queste riguarda il beneficio della preparazione al futuro mercato del lavoro, che si prospetterà sempre più flessibile: si calcola che la metà degli attuali posti di lavoro sia destinata a scomparire entro qualche decennio. Sarà necessario, pertanto, possedere un adeguato bagaglio intellettuale e tecnico per affrontare con serenità il cambiamento. L’Erasmus si rivelerebbe pertanto un’ottima risorsa, per il fatto che conferisce strumenti preziosi come il bilinguismo, oramai indispensabile, spirito di adattamento, approntamento ad un possibile mutamento di sede, città, clima, che potrebbe avvenire nell’ambito di un futuro mercato del lavoro più internazionalizzato.
Ma la più grande aspirazione del progetto è quella di riuscire a promuovere rapporti di collaborazione a livello universitario tra stati sempre più stretti valicanti i confini nazionali, inseriti nel contesto più ampio di una federazione di stati europei. Questa unione politica necessita che i vari stati parte dell’Unione Europea, o inizialmente una parte di essi (Europa a più velocità) condividano parte della propria sovranità per affidarla ad un governo centrale, che si occupi di dirigere quelle politiche che hanno raggiunto dimensioni interstatali quali: l’amministrazione della moneta; la stabilizzazione di pratiche macroeconomiche; i vari approcci verso la tutela dell’ambiente e della natura per contrastare i mortali effetti del cambiamento climatico; i metodi educativi che permettano l’apprendimento delle medesime conoscenze e competenze a tutti gli studenti europei, focalizzandosi sugli studenti più svantaggiati, per donare le medesime opportunità di realizzazione personale in maniera equa nel continente; l’organizzazione della Difesa, con la conseguente creazione di un esercito europeo, più efficiente rispetto alla pluralità di corpi militari presente nel Vecchio Continente e più efficace rispetto alla disorganizzazione che osserviamo oggi, specialmente in materia di controllo dell’immigrazione irregolare nel territorio dell’Unione. L’Europa federale, allo stesso tempo, non toglierebbe agli Stati il controllo su tutte le altre politiche (giustizia, istruzione, sanità…). L’organizzazione dell’Europa unita federale invero dovrebbe prevedere una suddivisione a diversi livelli di governance, ove le varie materie e faccende politiche verrebbero distribuite secondo le competenze dei rispettivi livelli. Le politiche interstatali citate in precedenza sarebbero di competenza della prima fascia, ovvero del governo europeo centrale; altre politiche più particolari di competenza della seconda, ovvero dei vari Stati e così via, in successione, ai piani periferici delle Regioni, delle Province, dei Comuni. Questa suddivisione a più livelli permetterebbe l’ottenimento di una maggiore efficienza ed efficacia delle politiche, con conseguente aumento del benessere collettivo dei cittadini europei, derivante dall’aumento della qualità e quantità dei servizi a loro disposizione.
La sfida è ardua e pone gli studenti Erasmus al centro di queste proiezioni, in quanto essi rappresentano la futura classe media e dirigente dell’Europa di domani e per il fatto di essere dotati di risorse preziose conseguibili nel periodo di formazione universitaria, ovvero la massima capacità di apprendimento: durante il periodo studentesco tanto è vero si formano i valori, le opinioni, gli atteggiamenti che riguardano la sfera sociale e politica. Il periodo speso a contatto con differenti culture dona inoltre più estese opportunità di ridefinire le proprie mappe cognitive, i propri sistemi d’orientamento, le immagini che si hanno del mondo.
Questa strutturazione di un nuovo sistema di pensiero della “Generazione Erasmus” è fonte di prima necessità per un più ampio rimodellamento di un sistema politico ancora basato sulla separazione in nazioni e sulla chiusura nei confini interni ad esse. Tale egoismo illude, fornendo un finto senso di appartenenza, di sicurezza, mentre essa costituisce piuttosto un fattore di inibizione di ogni tentativo di progresso: dacché è proprio la reclusione nazionalista a costituire causa di negatività - la divisione dell’umanità quale vera ingiustizia del nostro tempo, che favorisce la ineguale distribuzione della ricchezza ed impedisce la possibilità di un governo più razionale del sistema-mondo mondo. Occorre pertanto il superamento dell’idea di nazione e un ripensamento su come affrontare le sfide economiche globali: la vera prosperità, infatti, che porta progresso, che sfocia nel benessere collettivo, si genera non attraverso la chiusura nei propri confini, come propugnava una teoria strutturalmente inefficace quale il protezionismo: asserire ciò significherebbe rispondere con soluzioni in auge nel XX secolo ai problemi del XXI. È viceversa la collaborazione a costituire il presupposto in grado di favorire la redistribuzione delle risorse, il livellamento delle opportunità e delle prospettive di sviluppo nel mondo. Questa generazione di universitari è in condizioni di acquisire una più estesa visuale che consente di poter valutare e giudicare con nuovi e più ampi parametri la politica, l’economia, la vita.
La generazione Erasmus è dunque una prospera risorsa: essa è frutto dei semi di una vera identità e cultura europea; essa rappresenta la prima vera generazione di europei, che sormontano gli sbarramenti nazionali per collaborare con docenti e coetanei stranieri, affrontando con parametri universali la vita; essa rappresenta il clima intellettuale dell’unità del genere umano; è simbolo di un nuovo modo di pensare e di agire ed è l’emblema di un superamento del modo usuale di percepire la realtà; essa è infine ciò che necessita il mondo del XXI secolo, con le incognite del XXI secolo; essa rappresenta l’Europa unita, l’unica risposta all’avanguardia per tutte queste sfide.
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