Theresa May tenuta in scacco alla Camera dei Comuni: Quale seguito per la Brexit?

, di Louise Guillot, Tradotto da Giulia Querini

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Theresa May tenuta in scacco alla Camera dei Comuni: Quale seguito per la Brexit?

Il 15 gennaio 2019, la Camera dei Comuni doveva pronunciarsi su, e approvare o respingere, l’accordo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea negoziato da Theresa May.

Questo accordo di uscita concluso lo scorso novembre doveva regolare i dettagli del periodo di transizione fino all’uscita effettiva del Regno Unito dall’Unione. E’ con 432 voti contro 202 che i deputati britannici hanno rifiutato l’accordo proposto dalla Prima Ministra. Una sconfitta cocente, mai vista nella storia del Paese secondo il Guardian.

Theresa May non è riuscita a convincere nemmeno all’interno del proprio partito

La Prima Ministra non è riuscita a convincere, nemmeno all’interno del proprio partito, che l’accordo negoziato con l’UE fosse il miglior accordo possibile. Interpellato prima del voto, Jonathan Worth, commentatore della politica europea ed ex presidente della JEF Europa (2001-2003), spiega che questo fiasco è in parte dovuto all’ostinazione di Theresa May durante le negoziazioni. In effetti, diverse Brexit potevano essere considerate: da una “soft Brexit” sul modello della soluzione norvegese, a un “hard Brexit” corrispondente a un semplice accordo di libero scambio come nel caso del Canada, per esempio.

Per Jonathan Worth, Theresa May ha mancato di pedagogia e lungimiranza per poter convincere i conservatori della solidità dell’accordo che aveva negoziato. Si è intestardita su alcuni punti, come la restrizione della libertà di circolazione delle persone nel quadro dell’accesso al mercato interno, o ancora il « backstop » in Irlanda del Nord. La Prima Ministra è molto attaccata al fatto che l’Irlanda del Nord resti parte del Regno Unito e non abbia uno status differente dalle altre nazioni britanniche, o peggio che sia inclusa alla Repubblica d’Irlanda. Per il nostro commentatore, Theresa May ha commesso l’errore di non aver ampiamente consultato sia all’interno che all’esterno del proprio partito, per poter avere sufficiente sostegno durante le negoziazioni, il che spiega la sua sconfitta cocente.

Il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, ha reagito in un comunicato stampa rammaricandosi di questo voto contrario all’accordo, che è a suo avviso “un compromesso equilibrato e rappresenta il miglior accordo possibile”. “Invito immediatamente il Regno Unito a chiarire le proprie intenzioni il prima possibile, il tempo sta per scadere” ha aggiunto in conclusione. In effetti, il tempo corre… e la data fatidica del 29 marzo si avvicina!

Quali sono le prossime tappe?

Il “Meaningful vote” (voto significativo, ndt) di ieri mostra che i rappresentanti del popolo britannico non sono soddisfatti dell’accordo proposto. Cosa significa questo per la Brexit? E per Theresa May? Come Jonathan Worth a tentato di illustrare (v. schema qui sotto) ci sono diverse opzioni sul tavolo.

Fonte : Jonathan Worth, Twitter.

Innanzitutto, la Prima Ministra può fare appello a un voto di fiducia del Parlamento, che è quello che ha fatto all’annuncio dei risultati e Jeremy Corbyn, leader del partito laburista, ha immediatamente seguito anunciando che una mozione di sfiducia era già pronta e sarebbe stata presentata dal suo partito.

Dopo l’episodio di ieri, è probabile, ma non certo, che Theresa May non ottenga la fiducia dei deputati, il che la forzerebbe a dimettersi trascinando con sé il proprio governo. Questo voto potrebbe allora condurre i conservatori a formare un nuovo governo con un nuovo Primo Ministro diverso da Theresa May. Quesa nuova squadra potrebbe allora tentare di rinegoziare l’accordo con i 27 Stati Membri, ma ciò implicherebbe l’attivazione dell’articolo 50 per prolungare i negoziati oltre il 29 marzo 2019. Qui, ancora un volta, diversi scenari sono possibili: la conclusione di un nuovo accordo di uscita (che sarebbe allora più facilmente accettato dal Parlamento britannico), l’organizzazione di nuove elezioni generali, o un secondo referendum sulla Brexit.

Tuttavia, ciò che è sicuro, è che il futuro della Brexit resta per ora molto incerto. Infatti, che Theresa May o un altro Primo Ministro tentino di ottenere nuove concessioni dagli europei, che si tengano delle nuove elezioni generali che si organizzi un secondo referendum, ciò non farà altro che posticipare la scadenza, rimettendo in questione l’uscita effettiva del Regno Unito dall’Unione Europea.

Jonathan Worth esclude, dal canto suo, l’idea di un “no deal” e sottolinea che non è nemmeno nell’interesse degli europei restare sulle proprie posizioni, perché una partenza del Regno Unito senza accordo avrebbe conseguenze economiche disastrose tanto per l’Unione Europea quanto per i britannici. Al contrario, se il Parlamento si spingesse fino ad attivare la clausola dell’articolo 50 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), dando ad ogni parte in causa il diritto di mettere fine unilateralmente al processo in corso della Brexit, questo permetterebbe al Regno Unito di restare nell’Unione ma “distruggerebbe tutto” (i partiti politici, la fiducia nelle istituzioni rappresentative, il sistema democratico…) secondo Jonathan Worth. Un secondo referendum è possibile e potrebbe vedere imporsi il campo del “Remain”, ma è poco probabile che i britannici ottengano allora delle concessioni da parte degli europei rispetto al loro status all’interno dell’Unione.

La saga della Brexit, un rivelatore dello stato della scena politica britannica

Per Jonathan Worth, il Regno Unito non è esente dall’ascesa dei movimenti populisti, dalla rimessa in discussione e dalla crisi della democrazia che attraversano molti altri Stati europei al giorno d’oggi. Durante la campagna del referendum, ma anche per tutta la durata dei negoziati, diversi commentatori si sono rifugiati dietro il mito di un’eccezione britannica, o l’idea di un Regno Unito come grande potenza internazionale che può adagiarsi sulle relazioni speciali con le sue ex colonie. Sembra che questa immagine sia oggi erronea e che il Regno Unito non appaia più come il grande impero che fu sulla scena internazionale, il che falsifica non poco il modo di approcciarsi alla Brexit, ma anche all’appartenenza all’Unione Europea. “La Brexit mostra a che punto la politica britannica è distrutta” confida Jonathan Worth. Ed è più che certo che l’episodio della Brexit lascerà profonde cicatrici…

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