Il Giorno della Memoria è un’opportunità importante per ricordare e per riflettere sulla Shoa, sugli errori e gli orrori prodotti dalla civiltà europea moderna nella sua storia e sulle responsabilità che ne derivano affinché non si ripetano.
La Memoria è il primo passo, necessario ma non sufficiente. Necessario, specie in Paesi come l’Italia o la Francia, che i conti con il passato e con le loro responsabilità non li hanno mai fatti fino in fondo. Perché la Shoa è una responsabilità europea e non solo tedesca, cui in modi diversi hanno partecipato diversi Paesi. Perché di fronte all’orrore alcune elites e alcune popolazioni hanno saputo o provato a ribellarsi, altre no. Il monarca danese – Paese occupato dalla Germania – ha scelto di andare in giro con la stella, quando i nazisti hanno imposto la loro visione anti-semita, quello italiano ha firmato le Leggi razziali prontamente predisposte dal regime fascista. La Memoria è quindi particolarmente importante e necessaria in Italia, che un recente rapporto indica come il Paese europeo con il maggior anti-semitismo sul web: un primato di cui vergognarsi profondamente, e che chiama le istituzioni pubbliche e la società civile ad una vigilanza e ad azioni più strutturali e incisive per combattere questa piaga, che segnala il degrado della società italiana.
Ma la Memoria da sola non è sufficiente, va accompagnata dalla riflessione, dal trarre degli insegnamenti, dall’assumersi delle responsabilità. Molte delle riflessioni sulla Shoa hanno avuto carattere morale e si sono concentrate sull’unicità dell’Olocausto. Un grande sociologo ebreo tedesco fuggito in tempo dalla Germania, Norbert Elias, ha posto invece alcune domande più generali: cosa ha reso possibile il rapido imbarbarimento della Germania, la società più colta e civile d’Europa? Quali sono i pilastri del processo di civilizzazione, che se vengono meno rendono possibile l’avvio a processi di de-civilizzazione? Quali sono le micce, le condizioni di possibilità che possono effettivamente avviare tali terribili processi? Le sue risposte sono illuminanti anche per guidarci di fronte alle sfide contemporanee e meritano una riflessione.
Da un punto di vista culturale la Germania del XIX e della prima metà del XX secolo era all’apice della civiltà europea in tutti i campi: basti pensare a Hegel, Feuerbach, Marx, Nietzsche, Weber, Schmitt, Goethe, Wagner, e moltissimi altri. Eppure lì si è affermato un regime totalitario che ha progettato e meticolosamente realizzato la “soluzione finale”. Elias sostiene che il processo di civilizzazione, di progressivo auto-controllo delle pulsioni violente naturalmente implicite nell’animalità degli esseri umani, sono il frutto di una progressiva interiorizzazione delle etero-costrizioni messe in opera dalle leggi e dalle autorità pubbliche. L’efficienza e la stabilità del monopolio della forza dello Stato sono quindi particolarmente importanti da questa prospettiva. Nella Repubblica di Weimar tale monopolio era inefficace e minato dall’esistenza di Gruppi paramilitari legati alle varie forze politiche. E non può stupire che il partito più incline e disponibile all’uso della violenza si sia imposto in tale contesto. Al contempo tale affermazione è potuto avvenire solo in seguito alla crisi del 1929, all’iper-inflazione, ad una situazione in cui le persone non avevano più una prospettiva e una visione positiva per il futuro.
Una situazione simile a quella che stiamo vivendo oggi, pur con molte differenze. È la crisi che in tutta Europa apre spazi a forze populiste. Alcune si limitano a cavalcare malcontento e paure; altre si spingono a seminare odio per lucrare consensi, dando voce alle pulsioni alla chiusura della società, alla ricerca di un capro espiatorio che ci permetta di nasconderci le nostre responsabilità e il nostro dovere di cambiare. Entrambe trovano nell’Unione europea, cha ambisce ad essere unita nelle diversità, il loro nemico, essendo l’UE fondata sulla tolleranza, sul riconoscimento dell’eguaglianza e delle diversità. È lungi dall’essere perfetta l’UE, ma è un esperimento di messa in comune della sovranità, della creazione di istituzioni comuni per risolvere pacificamente le controversie e per affrontare insieme i problemi comuni: è l’opposto del nazionalismo, della chiusura, della violenza. E dunque è il nemico per i populismi di ogni risma, la cui propaganda sta creando un terreno fertile per la diffusione di stereotipi, pregiudizi e doppi standards che alimentano le tendenze razziste, xenofobe e antisemite. E il gravissimo episodio delle teste di maiale recapitate a luoghi simboli della Comunità ebraica è solo l’ultimo eclatante esempio, sintomo di una situazione pericolosissima.
Per queste ragioni la risposta sul piano della Memoria e/o della morale è necessaria, ma non sufficiente. Occorre anche l’assunzione della responsabilità di offrire una visione e una prospettiva costruttiva per superare la crisi, per ridare speranza, in modo da incanalare le forze della società verso un cambiamento positivo, invece che in una spirale depressiva che si manifesta nelle tendenze alla chiusura legate alla percezione di un declino inevitabile e irreversibile. Questa prospettiva e questa visione non può che essere l’Europa: un’Europa diversa, più unità, più democratica, più solidale, più rispettosa dei diritti umani e quindi più accogliente per le sue diversità e per i suoi cittadini, vecchi e nuovi. Solo la prospettiva di un governo federale dell’UE, o almeno dell’Eurozona, in grado di mettere a frutto le enormi potenzialità dell’Europa rilanciando sviluppo e occupazione può incanalare le energie vive della società ridandole speranza.
1. su 1 febbraio 2014 a 12:38, di Jean-Luc Lefèvre In risposta a: Una visione europea per sconfiggere xenofobia e anti-semitismo
La mémoire ne suffit pas à éradiquer xénophobie et antisémitisme, c’est certain. A ce sujet, il serait souhaitable d’évaluer quelques années plus tard la perception de l’Autre qui est celle de ces étudiants qui ont participé aux visites mémorielles d’Auschwitz et des autres camps de la mort: font-ils le lien entre hier et aujourd’hui? entre l’exclusion d’alors et ses formes contemporaines. Si elle ne suffit pas, elle est irremplaçable pourvu qu’elle soit incarnée dans le quotidien de nos lycéens, pourvu, en d’autres termes, que l’on se refuse à faire de l’Histoire pour de l’Histoire. Si elle ne suffit pas, il est certain qu’une Europe fédérale, solidaire, est par nature respectueuse de l’Autre. Encore faut-il apprendre à nos adolescents, dès l’école, et en école, l’importance de la coopération et de la participation. Ce n’est pas un hasard si c’était déjà un italien, G. TRAMAROLLO, qui a publié en 1983 un guide didactique sur «L’associazionismo nella teoria,nella storia, nella scuola»! Trente ans plus tard, nos écoles européennes encouragent-elles la coopération ou la concurrence? encouragent-elles le partage ou l’émulation? Je crois me souvenir que nos systèmes scolaires français et belges sont très...inégalitaires (PISA)!
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