La disparità di trattamento tra rifugiati ucraini e siriani: storia di due migrazioni secondo l’Unione europea

, di Ana Filipa, Trad. di Stefania Ledda

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La disparità di trattamento tra rifugiati ucraini e siriani: storia di due migrazioni secondo l'Unione europea
Fonte: Pixabay

La migrazione è espressione dell’aspirazione umana alla dignità, alla sicurezza e a un futuro migliore. Fa parte del tessuto sociale, della nostra stessa appartenenza alla famiglia umana. - Ban Ki-moon

Un anno fa, mentre i primi uccelli morenti iniziavano a cadere dal cielo dell’Ucraina, l’Unione Europea fu colta di sorpresa da un improvviso e abbondante afflusso di persone in fuga dalle proprie case minacciate. Migliaia di ucraini fuggirono dal loro Paese, cercando rifugio nella molto più sicura comunità europea, la cui azione immediata su tutti i fronti ha risposto alle loro urgenti necessità e assicurato una reazione accogliente e di supporto. Le istituzioni europee e i governi nazionali hanno facilitato i processi amministrativi di accesso, finanziato gli aiuti essenziali e apertamente sostenuto l’Ucraina e il suo popolo, mentre gli stessi cittadini organizzavano donazioni, si scambiavano informazioni e offrivano rifugio e servizi comunitari per aiutare i loro vicini europei.

In linea con i suoi principi fondamentali, la reazione dell’Europa alla crisi ha raccolto la comunità in una posizione chiaramente di parte, che è stata stabile per tutto l’anno. Ha integrato con successo il popolo ucraino nella società europea e sostenuto Kiev in numerosi modi, a eccezione di un intervento diretto nel conflitto. Dall’altro lato, l’Europa ha condannato con veemenza le azioni della Russia, denunciandone i crimini e la linea terroristica, e presentando l’applicazione di sanzioni economiche.

Ad oggi, in Europa è stato dato riparo a più di 8 milioni di ucraini, ossia circa metà di loro gode dei benefici della Temporary Protection Directive (in italiano, ‘Direttiva di protezione temporanea’) attivata dall’Unione Europea. Possono entrare in Polonia e in Slovacchia senza documenti e utilizzare gratuitamente i trasporti e i servizi di comunicazione in tutta l’area Schengen. Tuttavia, sebbene l’efficace assorbimento del più grande arrivo di richiedenti asilo dalla Seconda guerra mondiale abbia rivelato solidarietà, forza e fermezza da parte della comunità,e indubbi compromessi e competenza per reagire e adattarsi a importanti eventi del palcoscenico internazionale, ciò vuol dire che l’Unione Europea non era neanche minimamente vicina al raggiungimento della soglia della sua capacità totale di accoglienza quando ha dovuto affrontare situazioni simili in passato.

Infatti, durante la crisi dei rifugiati siriani nel 2015, che rappresenta il più evidente esempio parallelo al contesto attuale, l’approccio europeo non era stato così ospitale o urgente. Molti Stati membri rafforzarono i controlli al confine e si opposero alla massa in arrivo di richiedenti asilo dal Medio Oriente. Inoltre, l’Unione Europea, allora smembrata da opinioni e timori vari, prestò un’assistenza carente ai processi amministrativi di richiesta d’asilo, agli Stati membri di primo contatto e, in particolare, agli stessi fragili rifugiati. Migliaia di persone disperate persero la vita attraversando il Mar Mediterraneo, venne negato loro l’accesso a Stati più sicuri, vennero ammassate in campi per rifugiati e vissero in miserabili condizioni quando erano alla ricerca di protezione. La mediocre risposta europea fu allora giustificata dall’insufficiente capacità di assorbire nelle società nazionali una quantità talmente grande di persone, oltre che da timori sociali e inerenti alla sicurezza.

Ciononostante, ancora oggi, quando l’attuale e analoga crisi permette di eseguire un confronto dei dati, la discrepanza di volontà e di supporto tra i due eventi risulta palese. Dal 2011 l’Europa ha dato rifugio a più di 1 milione di rifugiati siriani. La Germania ne ha ospitato più della metà per un totale di oltre 560.000 persone, seguita dalla Svezia che è il secondo Paese per numero di rifugiati ospitati nell’Unione Europea. Anche se si trattava di un flusso di portata minore rispetto a quella dell’ultimo in arrivo dai Paesi dell’Est Europa, le vittime che fuggirono dalla guerra civile erano state accolte con maggior timore, difficoltà e ostacoli da parte dagli Stati membri europei, che consideravano le cifre troppo esorbitanti per la loro capacità di integrazione.

Varie ragioni potrebbero spiegare la differenza di approccio. Non bisogna dimenticare che la crisi dei rifugiati siriani fu la prima volta in cui l’Unione Europea si confrontò con un problema di grande portata e non si riuscivano ancora a immaginare molte soluzioni. Oggi, può invece ricorrere all’esperienza e ai meccanismi che funzionarono e che vennero appresi nel passato. Però, è anche vero che in questi 7 anni l’Europa non è riuscita a definire un approccio unanime alle questioni relative alla migrazione e alla richiesta d’asilo. Quindi, ciò non spiega a pieno il miglioramento dei sistemi di integrazione dei rifugiati.

Sin dall’inizio del conflitto in Ucraina, l’Occidente ha immediatamente identificato il nemico. Uno dei due fronti stava chiaramente attaccando e danneggiando l’altro e l’equilibrio di potere e delle capacità militari di entrambi pendeva da una parte, individuando evidentemente la Russia come l’aggressore. Il continente europeo venne scosso da una guerra come non se ne vedeva da molto tempo e ciò riecheggiava in ogni società. Generando shock e indignazione, essa ha messo in evidenza la solidarietà e il senso di unione delle comunità periferiche. Questa certezza, insieme alla prossimità geografica e sociale al popolo ucraino, ha risvegliato negli europei l’istinto di aiutare, contribuire e lavorare per la pace. C’era una missione non detta, unanime e istintiva che andava combattuta da parte dell’Unione Europea. Tuttavia, aiutare i richiedenti asilo ucraini significa anche opporsi in modo palese alla Russia, ancora fortemente considerata come un antagonista storico dell’Occidente.

Intanto, il conflitto siriano è molto più complesso e un lato oggettivamente “buono”, giusto e che sia vittima del conflitto non è identificabile. Le sue origini risalgono al 2011, preceduto da una rivolta contro il regime repressivo di Bashar al-Assad. Le tensioni tra il governo, i gruppi ribelli e lo Stato Islamico, che quest’ultimo vedeva come un’opportunità per potersi diffondere, si intensificarono terribilmente e intrappolarono i civili in uno scenario insostenibile. Questi furono perciò costretti a cercare riparo nei Paesi vicini, ma le condizioni di vita e il soddisfacimento dei bisogni primari erano scarsi, così molti di loro continuarono il viaggio fino in Europa, una terra distante e una piuttosto utopica realtà con una qualità della vita potenzialmente migliore. Quindi, l’Europa fece i conti con le troppe persone a cui dare rifugio e con la necessità di trovare una soluzione veloce ed efficace. Tuttavia, erano pochi o nulli i vantaggi importanti nel ricevere tale flusso per la comunità europea, che non aveva una posizione ben definita sul conflitto siriano, perciò né i governi né l’opinione pubblica avevano una solida convinzione a favore.

Infatti, la vicinanza geografica ai popoli vulnerabili che tentano di entrare nel territorio della comunità europea e, principalmente, all’ostilità che ha causato l’inizio dell’esodo, gioca un ruolo determinante nell’approccio adottato dal Paese ospitante. Potrebbe stimolare iniziative benefiche oppure provocare dubbi e timori che influenzano direttamente i richiedenti asilo e la fornitura di aiuti urgenti e decisivi. Nel caso slavo/ucraino, esistono numerose somiglianze tra chi arriva e chi accoglie. La prossimità geografica tira fuori il sentimento di appartenenza alla stessa comunità e Bruxelles ha spesso affermato che “l’Ucraina è l’Europa” così come si è aperta ad agevolare la sua integrazione nell’Unione Europea. Anche le somiglianze etniche e culturali costituiscono un enorme vantaggio per i richiedenti dell’Est Europeo.

La vasta maggioranza di queste persone è caucasica, cristiana e condivide radici culturali con le società degli Stati membri, che le considerano facilmente come pari. Ciò innesca naturalmente la volontà ad assumersi la responsabilità politica e sia la sfera dell’opinione pubblica che quella governativa spingono l’un l’altra per l’adozione di un approccio che sia di supporto. Di conseguenza, per i rifugiati ucraini è al momento più facile attraversare i confini, ricevere aiuto e ottenere vantaggi sociali rispetto ad altri rifugiati che arrivano alle stesse frontiere, con gli stessi bisogni e per motivi simili, come nel caso di chi arriva dal Medio Oriente, dall’Africa e così via.

Dall’altra parte, i richiedenti siriani presentano delle diversità più nette con il mondo occidentale. Le differenze etniche allontanano i popoli e creano le basi per la discriminazione. Inoltre, questi rifugiati sono in gran parte musulmani e ciò diverge ancora di più dalla prassi europea e innesca l’islamofobia già presente in queste società. Quest’ultime considerano la cultura mediorientale come un gruppo rigido, inflessibile e chiuso mentalmente, supponendo che la sua integrazione sarebbe più difficile e che verrebbero fatte pressioni per adottare le sue tradizioni. Per di più, il picco della crisi siriana ha coinciso con i molteplici attacchi terroristici rivendicati dalle organizzazioni criminali islamiche, le quali hanno spaventato l’Europa e portato sul tavolo gravi timori concernenti la sicurezza, che sono spesso ricondotti all’entrata dei musulmani nell’Unione. Tutto ciò, insieme alla novità di una tale crisi, ha incentivato la sfiducia tra le società civili e la classe politica, rafforzando le tendenze xenofobe, bloccando le soluzioni e chiudendo le frontiere.

Sebbene queste circostanze abbiano avuto un ruolo importante nei processi decisionali e nella realtà del problema, molte delle preoccupazioni espresse erano piuttosto fallaci e superficiali. L’integrazione dei richiedenti asilo siriani nell’Unione Europea avrebbe potuto persino controbilanciare le conseguenze di una società che invecchia e sviluppare le economie e le industrie nazionali. Eppure, la vicinanza al gruppo in esilio ha dimostrato di avere una notevole influenza sulle politiche e sugli approcci degli Stati membri. Il contrasto tra i due flussi in arrivo si è tradotto in risposte completamente opposte che, alla fine, per gli individui coinvolti volevano dire sopravvivenza o tragedia.

L’Unione Europea dovrebbe definire un approccio unanime e dei processi amministrativi che salvaguardino i bisogni dei richiedenti asilo, assicurandone una sana integrazione nelle società europee. Il modo in cui i rifugiati vengono trattati, deve anch’esso essere imparziale, il fenomeno della discriminazione va costantemente monitorato e rimosso dalle procedure di ingresso. Fino a quando ciò non avverrà, l’Unione Europea non sarà capace di affrontare in modo sistematico le crisi future che potrebbero emergere; anzi, comprometterà più che altro il rispetto dei diritti umani, i propri valori fondamentali, le sue missioni e le migliaia di vite che, prima desiderose di trovare nuove opportunità e di diventare una risorsa per il progetto europeo, adesso periscono disperatamente alle sue frontiere.

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